Anche quest’anno la Confederazione chiuderà i conti con un utile di circa 2,8 miliardi di franchi, contro un preventivo di 1,2 miliardi. È da 14 anni consecutivi che i conti chiudono meglio del previsto. Il debito pubblico è quindi sceso al 25% del PIL e da anni ci si chiede come utilizzare meglio questi soldi.
Finora non si è osato adottare provvedimenti drastici, come per esempio una riduzione delle imposte o la soppressione del freno alle spese. Ma oggi – di fronte alla prospettiva di un lungo periodo di tassi di interesse bassi o perfino negativi – la problematica cambia aspetto. Tra le molte idee avanzate ve n’è una che esce un po’ dal coro e propone perfino di aumentare l’indebitamento pubblico.
L’evoluzione più recente dei rendimenti della Confederazione potrebbe offrire anche qualche spunto positivo. Infatti, il rendimento annuo dei prestiti a dieci anni è attualmente del –1%. Perfino quello del prestito a lunga scadenza in corso (30 anni) ha un rendimento negativo del –0,6%. Anche il prestito emesso nel 2014 e la cui durata è ancora di quasi 45 anni, alle quotazioni attuali, presenta un rendimento del –0,4%.
Cifre che permettono di pensare – come fa un articolo del redattore economico della «Neue Zürcher Zeitung» – che la Confederazione potrebbe emettere oggi prestiti di lunga durata e ricavarne un profitto di circa il mezzo per cento all’anno. L’idea è attraente e potrebbe raccogliere qualche consenso anche fra responsabili politici delle finanze federali. Così la Confederazione potrebbe andare oltre i suoi bisogni finanziari ed emettere, per esempio, un prestito supplementare di 10 miliardi di franchi, con scadenza a 30 o 40 anni e ricavarne praticamente un guadagno di 500 milioni all’anno, grazie all’interesse negativo. O anche di più se investisse a sua volta il mezzo miliardo ottenuto.
Del resto, già lo scorso anno, un gruppo di esperti del ramo delle finanze e della previdenza aveva raccomandato di emettere un prestito di 300 milioni e di investirne il ricavato in azioni che promettono buoni dividendi a lunga scadenza. Globalmente, dal 1899, le azioni, tradotte in franchi, avrebbero reso il 7,7% all’anno. Anche un rendimento di soltanto la metà – conclude il gruppo di esperti – sarebbe un ottimo affare per la Confederazione.
Troppo bello per essere vero – commenta la NZZ – aggiungendo che nella maggior parte dei casi il «troppo bello» è anche «non vero». In pratica, si presenterebbero subito problemi di diritto. La legge permette, infatti, alla Confederazione di chiedere soldi al mercato dei capitali «per garantire la solvibilità» del debitore. In ogni caso non è prevista la possibilità di investire in azioni. Probabilmente si potrebbe creare un fondo speciale per investire in azioni una parte del capitale. Sarebbe però necessaria una base legale.
C’è però anche un altro problema di fondo: l’investimento in azioni comporta un rischio. In realtà è prevedibile che se un «fondo azioni» della Confederazione dovesse vivere un periodo di borse deboli e quindi perdere parecchio del suo valore iniziale, si verificherebbero sicuramente reazioni nervose anche in campo politico. Non solo, ma se fosse evidente che, nei prossimi decenni, le azioni rendessero meglio dei prestiti federali, gli investitori di lungo periodo preferirebbero le prime ai secondi e il prestito federale incontrerebbe difficoltà di piazzamento. Di conseguenza, il mercato azionario subirebbe altre spinte al rialzo e i prestiti federali al ribasso. Inoltre, il mercato chiederebbe un premio di rischio più alto spingendo al rialzo il rendimento dei prestiti federali.
Quali altri investimenti rivolti al futuro si potrebbero realizzare? Qui torniamo alle risposte di tipo politico. Ad esempio, più investimenti nella formazione, nella ricerca, nel traffico, nell’AVS, nell’agricoltura, nella difesa militare e nell’aiuto allo sviluppo. Il freno alla spesa però non lo permetterebbe, per cui si dovrebbe cambiarlo, come alcuni politici già chiedono, tanto più che i previsti guadagni ridurrebbero l’impatto sul debito pubblico.
Ma questi guadagni sono proprio sicuri? Intanto, ogni investimento della Confederazione sarebbe sottoposto a un’analisi costi/benefici. Tanto i costi, quanto i benefici non sono sempre sicuri, come non lo sono i presunti redditi dell’eventuale fondo azionario. A livello macro-economico, se durante la durata del prestito la svizzera dovesse subire un periodo di deflazione, la Confederazione dovrebbe probabilmente rimborsare il prestito in termini reali a livello superiore a quello del momento dell’accensione. Problemi potrebbero nascere anche per l’emissione di nuovi prestiti o l’aumento di quelli in corso e rincarare l’emissione.
In sostanza, né il capitale apparentemente a buon mercato, né gli interessi negativi bastano per indurre la Confederazione a cambiare atteggiamento nel finanziamento di nuove spese. Tanto più che la situazione attuale non è tale da impedire nuovi investimenti. Infine, bisogna anche tener conto che l’attuale periodo di «denaro facile» potrebbe terminare e non si sa né come né quando. Per il momento le prospettive di un periodo piuttosto lungo di tassi di interesse bassi o negativi sono buone, almeno per la Svizzera. Ma la tendenza è in atto a livello mondiale ed è partita dalla crisi finanziaria dal 2008 e dai molti interventi delle banche nazionali che l’hanno rinforzata, provocando anche la ricerca di luoghi sicuri, tra cui il franco svizzero e proprio i prestiti statali.