Come il mondo sta cambiando

Geopolitica del virus – Mai come ora le conseguenze economiche e non solo di un morbo non particolarmente letale, ma rivelatore di grandi cambiamenti, sono state tanto importanti
/ 02.03.2020
di Lucio Caracciolo

Il coronavirus è un formidabile indicatore geopolitico di come sta cambiando il mondo. Il modo in cui i diversi paesi stanno reagendo a questa emergenza sanitaria è rivelatore della loro identità, della loro coesione sociale e culturale, del funzionamento delle istituzioni. E quindi del rispettivo rango su scala planetaria.

Cominciamo dalla Cina, epicentro del virus. Non è la prima e non sarà l’ultima volta che epidemie influenzali colpiscono il Paese più popoloso al mondo. Mai come ora però le conseguenze economiche e geopolitiche di un morbo nemmeno particolarmente letale sono state tanto importanti. Alcune centinaia di morti già dagli inizi di febbraio hanno significato il blocco quasi totale dell’economia cinese, la crisi delle Borse asiatiche subito rimbalzata ovunque, la chiusura di frontiere internazionali come quella con la Russia. Il che indica come la percezione stessa della vita umana sia mutata in Cina.

Fino a ieri lo stato cinese non dava gran peso all’esistenza dei suoi cittadini. Il valore della comunità dominava nettamente quello degli individui. La reazione tardiva quindi estremizzata del regime cinese allo scoppio dell’epidemia a Wuhan e nello Hubei indica che il potere del Partito comunista è meno stabile di quanto si immaginasse, perché la Cina è più fragile e il cittadino medio più sensibile alle emergenze di quanto siano mai stati.

Se basta così poco – secondo gli standard di un Paese dove nel Dopoguerra milioni di persone sono state uccise da malattie poco o nulla curate – per far scattare l’allarme rosso, vuol dire che Xi Jinping non è sicuro di controllare un Paese in cui il panico da coronavirus rischiava (e rischia) di metterne in questione la legittimità. O, come dicono i cinesi, il mandato del Cielo. Insomma, per cantarla alla Sting, anche i cinesi amano i loro bambini – e se stessi. Non sono più così disposti a sacrificarsi per il «bene comune», per lo Stato.

La grave crisi cinese si è quasi immediatamente trasferita nel resto del pianeta, generando ansia, addirittura panico. E innescando una reazione a catena, a partire dalla sconsiderata decisione italiana di chiudere tutti i voli da e per la Cina.

E qui veniamo a noi europei. A partire dall’Italia, che da fine febbraio si è improvvisamente scoperta specialmente esposta al coronavirus. Probabilmente perché, a differenza di altri paesi, che considerano il morbo alla stregua di un’influenza abbastanza normale, in Italia si è deciso di avviare una campagna di controllo capillare su quote rilevanti della popolazione. Con un doppio, interessante effetto geopolitico.

In primo luogo, sono venute clamorosamente a galla le divisioni interne. I presidenti di Regione – pomposamente ribattezzati «governatori», quasi equivalessero al capo di uno Stato federato americano – si sono mossi in ordine sparso, spesso contraddicendo il governo centrale. La carta della reazione al coronavirus ridisegna i vecchi Stati preunitari. Il Lombardo-Veneto è rinato sotto specie sanitaria. Tutta l’Italia settentrionale è inizialmente stata trattata e quindi separata dal resto del Paese come fosse entità a sé. E si è comportata per tale, in una cacofonia di espressioni e nel disordine decisionale più grave. Ciò ha contribuito a diffondere il panico, precisamente quello che si voleva evitare.

In secondo luogo, l’Italia è stata percepita divisa anche dall’estero. Così ad esempio il Ministero degli esteri russo ha sconsigliato il viaggio nell’«Italia del Nord». Ma da quando esiste un tale paese? O forse si considera la linea gotica come partizione fra Nord e Sud, e il coronavirus come soggetto geopolitico in grado di bisecare il Belpaese? Inoltre, alcuni paesi europei hanno trattato lo Stivale come pericoloso focolaio di infezione, prendendo misure speciali nei confronti dei cittadini italiani, sempre distinguendo fra nordici e meridionali – questi ultimi improvvisamente elevati a paradigma di virtù.

Non è ovviamente il caso di stilare bilanci sanitari del coronavirus. Quando, speriamo presto, l’emergenza sarà superata, dovremo constatare gli enormi danni economici, sociali e geopolitici che questa epidemia di paura ha provocato nel sistema internazionale e nelle stesse nazioni.