C’è una strada a Zurigo...

La Spiegelgasse, nel cuore della città vecchia, accolse personaggi che hanno fatto la storia, oltre ad ospitare il Cabaret Voltaire, dove nacque il Dadaismo
/ 16.04.2018
di Franco Facchini

C’è una strada a Zurigo che, a percorrerla, sembra dentro un interminabile ricordo, un lungo ascolto di voci che sembrano sostare nell’aria. È una stradina stretta e lunga poche decine di metri nel cuore della vecchia città. Antiche case la accompagnano nel suo breve tragitto, chiudendola ai suoi lati quasi a preservarla da intrusioni che le possano far dimenticare il suo passato, la sua intimità.

Sale su da Münstergasse e sfocia, dopo una piccola discesa, in Neumarkt.

Tra le mura di alcune delle sue abitazioni hanno vissuto personalità che hanno contribuito a cambiare la storia della politica, dell’arte, della letteratura degli ultimi duecento anni. Ed è curioso come possa essere accaduto in uno spazio così piccolo, in una stradina che quasi non si vede.

La imbocco, quando c’è un cielo grigio sopra di me, e, all’angolo sinistro, al numero 1, posso vedere il Cabaret Voltaire, che ora è tuttaltro da quello che era un secolo fa. È, diciamo, una sorta di monumento che ha conservato solo l’antico nome, perdendo tutta la vivacità che lo aveva caratterizzato. Credo che, molto probabilmente, la neutralità della Svizzera durante la prima guerra mondiale abbia molto contribuito alla sua fondazione.

Arrivarono, in quel periodo, molti artisti e intelletuali da tutta Europa. E questo brulichio di nuove idee, di nuove energie, fu certamente una delle ragioni che spinsero il pittore Hugo Ball e la poetessa Emy Hennings a prendere accordi col proprietario del Meitrei bar, per avere in uso la sala sul retro del locale e lì allestirvi manifestazioni culturali.

Così, il 5 febbraio 1916 venne inaugurato il Cabaret Voltaire, che servì al poeta Tristan Tzara come luogo di aggregazione ed elaborazione teorica del movimento Dada da lui fondato. La sua apertura sarà resa pubblica il 28 luglio di quello stesso anno. Tra i suoi membri figuravano alcuni dei più importanti, eversivi e innovativi artisti e scrittori dell’epoca. Guillaume Apollinaire, Hans Arp, Marcel Duchamp, Francis Picabia, Max Ernst, Kandinskij, De Chirico e altri ancora animarono questo piccolo angolo di strada, irradiando nel mondo nuovi e, qualche volta, eccentrici modi espressivi, che avranno importanti ripercussioni su tutto il novecento artistico e letterario.

Riprendo a camminare lungo quel angusto tratto di strada. Faccio pochi passi e arrivo lì dove c’è un po’ più di luce, nel piccolo slargo dove si staglia, di fronte a me, sulla destra della via, la Brunnenturm (chiamata così per via della fontana lì accanto) detta anche Gawerschenturm (Torre degli usurai) o Lamparterturm (Torre dei Lombardi) o Escherturm (dal nome del politico e pioniere della ferrovia svizzero), che riporta, lungo tutto il muro, una antica scritta in caratteri gotici a testimoniare la presenza, nel medioevo, di banchieri lombardi, che la abitarono dal 1357 al 1429 e, in seguito, di rappresentanti della classe dei Gawerschen, che, come dice la parola tedesca, erano usurai.

Lì vicino, al numero 11, abitò, dal 1741 al 1778, il teologo zurighese Johann Caspar Lavater, teologo e scrittore divenuto famoso per i suoi studi di fisiognomica. Tentò di capire la personalità umana attraverso l’osservazione di ogni parte del corpo, associando le peculiarità fisiche a quelle psicologiche e comportamentali. Le sue ricerche, forse, non hanno dato i risultati voluti, ma attraverso di esse è stato creato un mondo, un sogno, una nuova possibile via. E mentre riprendo il cammino, penso a Wolfgang Goethe che fu suo ospite nel 1775, in una delle sue visite a Zurigo. E penso a cosa avrà potuto pensare veramente di questa disciplina non propriamente scientifica. L’avrà considerata una ricerca seria e fondata o, invece, una visione poetica dell’esistenza?

Faccio ancora qualche passo e, sulla mia destra, al numero 12, vedo una targa a ricordare che lì il 19 febbraio 1837, in quello stabile morì Georg Büchner. Era arrivato dalla Germania circa quattro mesi prima, il 14 ottobre 1836, per sfuggire alla polizia che lo ricercava a causa della sua attività politica, che si era esplicata con la pubblicazione di alcuni scritti rivoluzionari sull’opuscolo Hessischer Landbote. Pace alle capanne, guerra ai palazzi: questo era il suo motto. In quel breve periodo insegnò anatomia comparata all’università e in una qualche stanza di questo edificio scrisse il dramma Woyzeck, opera che ha contribuito enormemente allo sviluppo del teatro europeo.

Allungo l’occhio, e noto che, al numero 14, proprio sulla porta accanto, sul muro della facciata, un’altra targa è lì a raccontare del soggiorno, tra il 1916 e il 1917, di un uomo che di lì a poco avrebbe condotto un intero popolo a impossessarsi del potere. Wladimir Ilic Uljanov, meglio conosciuto come Lenin, con la sua compagna Nadiejda Kroupskaia, visse in questo palazzo e qui elaborò la sua concezione marxiana della società. Arrivò a Zurigo lo stesso anno in cui il Cabaret Voltaire venne inaugurato, e c’è chi sostiene che questa concomitanza e alcuni indizi abbastanza concreti indichino in Lenin un simpatizzante del movimento Dada e che, anzi, probabilmente fu lui a chiamarlo così. Mi pare di vederlo, quello che, di lì a poco, sarebbe diventato il capo di tutta la Russia, tornarsene in patria su quel treno che collegava la Svizzera a Pietrogrado, con lo sguardo un po’ rivolto ai futuri e severi impegni rivoluzionari e un po’ a quella stradina stretta che non avrebbe più rivisto.

Ora la strada scende, e io la seguo, lasciandomi alle spalle il numero 23, dove Robert Walser trascorse un breve tratto della sua esistenza e dove forse scrisse o abbozzò qualcuno dei suoi racconti.

Quando arrivo alla fine di Spiegelgasse, mi sembra di aver fatto un lunghissimo viaggio, di aver vissuto molte vite, visto il tempo scorrere dentro di me. Un timido raggio di sole illumina la fontana di Neumarkt, e io mi trovo sperduto in altri pensieri.