Uno studio del Dipartimento cantonale dell’economia e del lavoro del canton Zurigo, reso noto (forse non casualmente) alla vigilia del dibattito alle Camere federali sull’applicazione dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa, solleva nuovi interrogativi sull’immigrazione di forze lavorative in Svizzera. Lo studio permette infatti di concludere che una gran parte delle forze lavorative estere, immigrate dal 2007 in Svizzera, nel 2014 erano attive in settori in cui non mancavano forze lavorative residenti.
Soltanto il 20 per cento delle persone attive immigrate operavano infatti in settori caratterizzati da una forte mancanza di specialisti svizzeri. La stessa percentuale, nel caso di mano d’opera frontaliera, scendeva perfino al 16,6 per cento. Lo studio non dice se questa occupazione di mano d’opera estera corrispondeva a necessità effettive. Esso si basa però su alcuni indicatori, elaborati dal Dipartimento, sulla base di quattro variabili che permettono di misurare la mancanza effettiva di personale in 97 diverse professioni.
Secondo gli autori dello studio, i risultati non dimostrano un effetto di sostituzione della mano d’opera indigena con quella straniera. Si constata però che in settori dove la mancanza di specialisti è ridotta, di regola si riscontrano molte domande di lavoro da parte di mano d’opera indigena. È possibile che per il reclutamento di specialisti e dirigenti si sia fatto ricorso spesso al mercato internazionale.
È anche vero che in settori non specialistici, come ad esempio nella costruzione o nella gastronomia, il grado elevato di disoccupazione della mano d’opera indigena può essere posto in diretta correlazione con il forte afflusso di mano d’opera estera. La situazione varia comunque molto a seconda dei gruppi di professioni o anche delle posizioni all’interno di una professione, nonché da cantone a cantone.
Il caso dell’edilizia è emblematico. Nonostante la buona congiuntura nel settore duri ormai da alcuni anni, il settore mostra sempre una disoccupazione superiore alla media. Nel contempo l’immigrazione di forze lavorative dall’estero è sempre elevata con qualche variazione stagionale. Fino a due terzi dei lavoratori provengono dall’estero. È un caso estremo ma significativo del fatto che quattro lavoratori esteri su cinque non sono specialisti e sono occupati in settori dove non c’è una mancanza di specialisti. Nella stessa edilizia si constata che la mano d’opera estera occupa anche posti di specialisti e di dirigenti. Il fenomeno viene poi accentuato in cantoni come il Ticino, dove si osserva un forte impiego di frontalieri.
L’interpretazione dello studio del canton Zurigo contrasta sensibilmente con altri studi che hanno invece escluso un effetto di sostituzione di mano d’opera indigena con lavoratori stranieri. È noto il caso dello studio dell’IRE (commissionato dal SECO) che aveva suscitato ampie polemiche in Ticino. I risultati e le conclusioni dello studio erano poi state confermate da due indagini analoghe dell’Università di Ginevra e di quella di Neuchâtel.
Quest’ultimo studio, con parecchie analogie con quello sul Ticino, constatava che i dati sulla disoccupazione (6,1 per cento su una media svizzera del 3,7 per cento) evolvevano in parallelo con quelli sui frontalieri. Anch’esso concludeva – come per il Ticino – che non è però possibile spiegare il fenomeno con una semplice correlazione matematica.
Le ricerche dello studio di Zurigo partivano in realtà da presupposti diversi. Ci si chiedeva come mai le mancanze talvolta acute di specialisti in alcuni settori non siano state compensate dalla forte immigrazione. Una prima risposta è che soltanto un immigrato su quattro è uno specialista ricercato. Nel settore dei frontalieri questa proporzione scende persino a uno su sei. Di conseguenza, la Svizzera ha importato molta mano d’opera, ma spesso non quella di cui ha bisogno.
Molti immigrati lavorano quindi in settori in cui vi è anche una forte disoccupazione (gastronomia e costruzioni). Paradossalmente mancano però specialisti anche in un settore come quello dell’edilizia. In realtà, in nessun cantone la mano d’opera estera riesce a coprire più del 27 per cento delle mancanze di personale specialistico. A Ginevra (14,6 per cento) e in Ticino (15,1 per cento), questa copertura è persino molto più bassa.