Canone di locazione massimo: quali (s)vantaggi?

Mercato immobiliare - Analisi della convenienza (o meno) individuale e sociale di calmierare gli affitti
/ 11.06.2018
di Edoardo Beretta

Non c’è dubbio che ci siano Nazioni quali l’Italia dove la tematica legata agli affitti sia residuale, essendo stato nel 2016 circa l’80% degli italiani proprietario di prima casa (1) così come nel 2015 circa il 15% detentore di un immobile secondario (2). Se su tale (davvero unica) peculiarità che rende la penisola italiana un caso particolarmente avvincente si potrebbero spendere «fiumi d’inchiostro», altrettanto netto è il risultato, qualora si prendano in considerazione alcuni dei Paesi limitrofi dove la locazione di un immobile – che sia per vacanza o quale abitazione principale – costituisce la prassi. Alcuni Governi quali quello tedesco rosso-nero (2015) si sono, quindi, fatti paladini della cosiddetta Mietpreisbremse, cioè di quel «limite massimo sui canoni di locazione» esigibili negli agglomerati urbani, allo scopo di evitare che l’elevata domanda di appartamenti ne facesse lievitare il prezzi. Pertanto, chiunque «mastichi» di Germania sa bene quanto poco infrequenti siano visite di case «di massa» con affollamenti sul marciapiede antistante l’immobile. Del resto, comunque, il concetto di «equo canone» è stato nella vicina penisola italiana introdotto con grande dettaglio già nel 1978. Fra i Paesi OCSE che presentano una combinazione fra canone di locazione libero e regolamentato spiccano anche Austria, Danimarca, Francia, Messico, Paesi Bassi, Svezia e Stati Uniti d’America (3).

Se è vero che in molte Nazioni mitteleuropee i loro abitanti stiano scoprendo l’immobile di proprietà (magari finanziato per mezzo di un prestito ipotecario), è altrettanto vero che l’eventuale rincaro del canone d’affitto medio costituisca ancora una «minaccia» concreta sul risparmio netto a fine mese. Del resto, come si può osservare dal grafico, la voce «immobile» è divenuta sempre più onerosa, complici, sicuramente, anche i costi di manutenzione oltre che di tassazione in capo alla stessa proprietà, che possono in certi casi persino rendere poco attrattivo metterla sul mercato delle locazioni. Infatti, non si dimentichi che ciascuna «messa a reddito» di un immobile debba comunque sempre essere scontata di (spesso elevate) addizionali da versarsi su tale reddito. Il «caro affitti» è visto, pertanto, da molti legislatori come una variabile, su cui intervenire per mantenere quella «pax sociale» anche tanto necessaria al loro consenso elettorale. 

Ma quale potrebbe essere l’impatto di tali misure rispettivamente nel breve e medio-lungo periodo? È evidente che l’affittuario ne tragga un risparmio rispetto al canone di locazione in certi casi (a dipendenza di zona, metratura ecc.) potenzialmente esigibile. Nel contempo, fanno letteratura quei casi menzionati in certi libri microeconomici – ma, comunque, reali ‒, per cui il «tetto sugli affitti» introdotto in passato a New York avrebbe permesso anche a certe star hollywoodiane in affitto (certamente, non bisognose) di esserne avvantaggiate. Un classico esempio di overshooting o – per dirla in termini gergali – di «Troppa grazia, Sant’Antonio». Al di là di tali casi borderline, la teoria economica ci insegna che simili limiti massimi possano indurre i proprietari degli immobili migliori ad abbandonare il mercato (in quanto sempre meno remunerativo), lasciando spazio a quelli di qualità inferiore che potranno invece vedere salire il loro prezzo a fronte di una minore concorrenza. Per quanto le tematiche immobiliari debbano sì essere sempre più osservate con la «lente della sostenibilità», che individua nell’eventuale vigorosa ripresa del settore delle costruzioni un possibile rischio ambientale,  ciò non toglie che l’interesse di potenziali locatari così come acquirenti possa essere «convogliato» verso l’usato. Per quest’ultima casistica è da ricordare che un immobile è da sempre un asset, cioè un’attività immobiliare monetizzabile in caso di necessità (ammesso che il legislatore pubblico non introduca scoraggianti tassazioni come oggigiorno sulla base di certe linee guida OCSE tende ad avvenire e, nel contempo, sappia garantire vitalità del mercato della compravendita). In realtà, il rischio è che ipermobilità lavorativa e di studio oltre che precarietà in generale possano contribuire ad un’impennata della domanda di locazioni da parte di giovani, precari, divorziati ed altre categorie potenzialmente in difficoltà, mentre redditi sempre più spesso insufficienti (al netto di altre uscite) rendano il «mattone» inaccessibile ai più. Quest’ultimo (se ben ponderato in termini di prezzo e collocazione geografica) tenderà comunque a riflettere quel tasso d’inflazione, tanto nemico di altre forme di detenzione dei propri averi.

Note

1. http://www.ilsole24ore.com/art/casa/2017-01-03/istat-l-80percento-italiani-vive-una-casa-proprieta-ma-spesso-piccola-e-ristrutturare--152812.shtml?uuid=ADzmTJPC
2. http://www.finanzaoperativa.com/seconde-case-proprietari-il-15-degli-italiani
3. Elaborazione propria di: http://www.oecd.org/els/family/PH6-1-Rental-regulation.pdf