Tra le industrie di punta dell’economia svizzera sicuramente l’orologeria occupa uno dei posti più alti. Il settore per decenni è stato uno dei simboli, assieme a cioccolata, formaggi e banche, dell’essenza stessa della Svizzera, perlomeno agli occhi di chi guarda il nostro paese dall’estero. E se cioccolata, formaggi e banche si potevano trovare dappertutto, l’orologio era forse quel simbolo che più di altri stuzzicava l’orgoglio nazionale. Un settore però che ha dovuto e deve combattere ferocemente contro la concorrenza. Prima sono arrivati i giapponesi e ad inizio degli anni 80 sembrava che gli orologi elvetici, quelli di medio e basso costo, fossero destinati all’estinzione. Poi a salvare il tutto arrivò Nicolas Hayek che riuscì a mettere ordine in un settore alla deriva. Fondò la Swatch, e il resto è storia.
Negli ultimi tempi però l’industria è tornata a soffrire. L’apertura di nuovi mercati, primo tra tutti la Cina, ha dato grosse soddisfazioni, soprattutto alle marche più prestigiose. Ma dopo 10 anni di crescita ininterrotta con il valore delle esportazioni passato dagli 11 miliardi di franchi del 2004 ai 22 del 2014, ecco che dal 2015 le cose sono peggiorate.
Tra le cause la forza del franco svizzero, le campagne contro la corruzione volute dal governo di Pechino, (l’orologio di prestigio era uno degli oggetti più «regalati») il rallentamento economico. Ma non solo. Bisogna tener conto anche di una certa ritrosia da parte dei grossi gruppi, Swatch compresa, a lanciarsi nelle nuove tecnologie, come l’orologio connesso, senza dimenticare anche un cambio culturale, con le nuove generazioni che non vedono più l’orologio di lusso come un simbolo di ricchezza e benessere.
Una situazione che si riflette anche sulle grandi manifestazioni fieristiche di settore. Tra tutte Baselworld, la più importante al mondo, che ogni mese di marzo apre i battenti per sei giorni, per permettere di mostrare al pubblico il meglio dell’orologeria svizzera e mondiale.
Ma su questo appuntamento si addensano nuvole nere. E le cifre sono impietose. L’edizione 2019 si è chiusa con 81’200 visitatori, il 20% in meno rispetto allo scorso anno. Stessa cosa per gli espositori, che sono stati 520, anche qui un meno 20%.
A mancare molti grossi nomi, su tutti il più grande, una sorta di «padrone di casa», ovvero la Swatch. Nel comunicare la rinuncia alla partecipazione, il patron Nick Hayek ha dichiarato che «le esposizioni tradizionali non sono utili per Swatch Group». Un gruppo al quale fanno capo marchi come Omega, Tissot e Longines vere e proprie icone elvetiche.
I motivi del malcontento tra gli espositori sono riassunti nella forza del franco svizzero, che fa lievitare i costi di affitti e di pernottamenti, ma soprattutto nel modello stesso di Baselworld, giudicato datato e non in linea con i tempi.
Secondo gli esperti questo genere di appuntamenti ha perso lo spirito originale. Non sono più un luogo nel quale si concludono gli affari. Oggigiorno infatti non vi è più la necessità fisica di incontrarsi, e questo grazie alle nuove tecnologie. Inoltre, si predilige un rapporto diretto con la clientela, che non attraverso le fiere. Sensibilità che, a parole, vengono percepite dagli organizzatori, spesso accusati di arroganza nel non voler ascoltare gli espositori.
Le cifre, impietose, dell’edizione appena conclusa non hanno sorpreso gli organizzatori, che l’anno definita di transizione e hanno già presentato un nuovo concetto per il 2020, nella speranza di arginare l’emorragia di espositori.
Prima di tutto Baselworld diventerà una piattaforma sulla quale poter interagire per 365 giorni l’anno. La fiera, che durerà sempre una settimana, sarà poi il corollario di un anno di contatti. Insomma, prima il digitale, poi il personale. Inoltre, verranno ridotti i costi per le case produttrici presenti, fino al 30% in meno, il tutto accompagnato da una maggiore presenza e disponibilità al confronto dei responsabili delle varie marche.
Molte idee dunque, che hanno già avuto un effetto positivo. Alcuni espositori assenti quest’anno hanno detto che ritorneranno.
A beneficiare della rinascita, se ci sarà, di Baselworld soprattutto i piccoli imprenditori, i quali approfittano di questi incontri per presentare le loro novità, a volte strabilianti. Ma tutto questo ha un costo, e senza i grossi nomi che coprono buona parte delle spese e attirano visitatori e clienti, anche queste piccole realtà potrebbero non più trovare spazio.
Il problema comunque non riguarda solo Baselworld, ma il concetto di fiera in generale. Già quando si parla di esposizioni universali, come ad esempio all’epoca di Expo 2015 a Milano, si erano sollevate critiche sul senso di queste grandi manifestazioni concepite per presentare prodotti che oggigiorno si possono trovare dappertutto in rete.
Eppure, questi appuntamenti sono duri a morire, purtroppo o per fortuna a dipendenza dei punti di vista. Per l’anno prossimo addirittura si è deciso di avvicinare i due maggiori appuntamenti del settore, ovvero Baselworld con il Salone dell’alta orologeria di Ginevra. Un salone, quest’ultimo, che non passa momenti migliori di Basilea in quanto per l’anno prossimo sono già state annunciate le defezioni di due grandi marchi come Audemars Piguet e Richard Mille.
L’idea è quella di fare seguire l’uno all’altro nello spazio di due settimane, creando una sorta di maxi-evento a livello nazionale. E si parla di fine aprile, inizio maggio.
Un’idea però giudicata «stupida» da Jean Claude Biver, oggi numero uno della divisione orologi del marchio del lusso LVMH, e in passato personaggio di spicco del mondo orologiero elvetico. Secondo lui infatti le due fiere dovrebbero essere concomitanti «da Ginevra a Basilea ci sono solo due ore e mezza di treno» ha sottolineato.
E se il futuro di queste fiere sarà soprattutto di carattere conviviale, visto che il grosso degli affari sarà stato fatto sulle piattaforme digitali, si dovranno mettere gli ospiti nelle migliori condizioni di poter approfittare dei due appuntamenti, senza dover far fronte alle spese di due trasferte, soprattutto perché mai come in questo ambiente, il tempo è denaro.