Una presenza discreta, ma che porta sempre maggiore beneficio all’interno del sistema sanitario, in Ticino e anche nel resto della Svizzera. Quello dei volontari – ma sarebbe meglio dire delle volontarie – è un impegno costante e sempre più richiesto dai pazienti e di conseguenza anche da medici e ospedali. All’OBV di Mendrisio, ad esempio, i volontari sono ormai una quarantina. «Abbiamo cominciato circa 20 anni fa – ricorda Gabriella Grounauer, coordinatrice del Gruppo Volontari dell’Ospedale Beata Vergine – All’inizio c’erano 5 o 6 collaboratori, poi siamo cresciuti. Siamo riusciti ad instaurare un’ottima collaborazione con la direzione dell’ospedale, e in tutti questi anni siamo cresciuti in modo molto soddisfacente».
Il volontario in un certo senso colma un vuoto, si fa presente laddove il professionista della sanità non riesce ad arrivare. «Operiamo principalmente su segnalazione del personale che ci indica se un paziente chiede compagnia o se vuole fare due passi. Siamo presenti in tutto l’ospedale, sette giorni su sette, sempre all’ora dei pasti. Abbiamo un’ottima collaborazione con i reparti, cerchiamo di esser di supporto senza intralciare il lavoro del personale curante». Una presenza non solo interna agli ospedali ma diffusa su tutto il territorio cantonale, per i pazienti che, seppur dimessi, devono ancora curarsi a casa propria. È il caso ad esempio dell’associazione Triangolo che da trent’anni si è data lo scopo di sostenere il paziente oncologico e i suoi famigliari. «La presenza del volontario è una presenza neutra e discreta – ci dice Giada Cometta Balmelli, una delle due coordinatrici dei volontari che operano presso l’associazione – Si tratta di un ruolo delicato ma al tempo stesso di leggerezza. Il paziente sa che con il volontario non verrà assillato da domande relative alla sua salute e che molto spesso si parlerà d’altro. I nostri collaboratori non sentono il coinvolgimento emotivo che avvertono i famigliari. Per questo motivo nei nostri incontri si parla del più e del meno, non solo della malattia. Così facendo il volontario riesce a portare una ventata d’aria fresca nella giornata del paziente che, nel nostro caso, è un paziente oncologico». Situazioni quindi particolarmente delicate, con il volontario chiamato ad operare molto spesso al di fuori delle strutture ospedaliere, direttamente al domicilio della persona ammalata. «In genere chiediamo mezza giornata alla settimana – continua Giada Cometta Balmelli – L’impegno costante è importante. Questo è un compito in cui si impara molto grazie all’esperienza e quindi la continuità diventa essenziale. Oltre a questa mezza giornata abbiamo anche una riunione mensile tra i volontari, le infermiere e gli oncologi. Offriamo vari tipi di servizi attraverso i nostri collaboratori. Accompagniamo i pazienti dal medico o in ospedale, li incontriamo a domicilio, facciamo con loro delle piccole passeggiate, ci vediamo per un caffè, per fare la spesa. C’è chi invece trascorre la propria mezza giornata in uno studio medico o presso una clinica. Quest’ultimo incarico è riservato solo ai volontari più esperti, entrare in una camera di una persona che non sta bene non è per nulla facile». Per questo motivo i volontari chiedono sempre più spesso una formazione specifica, un accompagnamento al loro servizio.
«Siamo molto orgogliosi della nostra formazione – ci dice Gabriella Grounauer, coordinatrice dei volontari dell’OBV – In tutti questi anni siamo riusciti ad offrire ai nostri volontari un valido supporto per poter affrontare al meglio i loro compiti con i pazienti. Una volta al mese abbiamo inoltre una supervisione da parte di uno psicologo che lavora in ospedale. Questo ci permette di affrontare i problemi legati al nostro lavoro e di approfondire diverse tematiche specifiche, legate esempio alle malattie». In altri termini il volontario non è lasciato da solo. «All’inizio con i nuovi volontari facciamo un lavoro di introduzione, presentando le nostre attività e la realtà dell’ospedale, anche per affrontare i tabù che ci possono essere nei confronti della malattia e della sofferenza. Si tratta di capire se la persona è pronta a mettersi in gioco e a confrontarsi con le varie realtà che compongono le cure ospedaliere. Cerchiamo di accompagnarla affinché possa affrontare questa sfida con tranquillità. Da noi all’OBV ci sono tre mesi di prova, con un incarico settimanale prima di decidere se far davvero parte del nostro gruppo».
«Noi all’associazione Triangolo abbiamo al momento un’ottantina di volontari – fa notare la loro coordinatrice Giada Cometta Balmelli – In questi anni ho potuto constatare che ai nostri collaboratori piace molto poter avere una formazione. Si sentono più sicuri. I nostri momenti formativi servono per prendere un po’ di distanza dall’impegno con il paziente. Vedo però che si impara tanto proprio con le persone, con i pazienti. Il dono dell’aiuto e dell’assistenza è in fondo qualcosa di naturale, o uno è dotato oppure non lo è. In ambito oncologico devo dire che c’è uno sforzo particolare da fare, si è confrontati con la morte tutti i giorni».
Ma chi è il volontario? Qual è il profilo umano e professionale di cui deve disporre? «Il nostro gruppo è composto essenzialmente da donne, anche se abbiamo anche qualche uomo – fa notare Giada Cometta Balmelli – Si tratta per la maggior parte di persone pensionate, anche se c’è anche qualcuno che ha un’attività professionale, per loro non è facile riuscire sempre a trovare il tempo per mettersi a disposizione. Per noi il volontario ideale è il pensionato, perché è molto flessibile con gli orari». «Il volontario tipo è all’85% una donna – conferma la signora Groenauer dell’OBV – Abbiamo anche qualche uomo, pochi ma buoni, principalmente di una certa età. Anche per noi il profilo ideale è quello dei neo-pensionati, perché sono in forma e hanno del tempo a disposizione per fare cose che forse non hanno mai fatto in precedenza. C’è quindi una dose di entusiasmo molto importante. Abbiamo anche delle giovani mamme e a volte anche degli studenti, che si lanciano in questa avventura. Noi siamo felici di poter disporre di persone giovani. Per il paziente, che molto spesso è anziano, è una gioia vedere e incontrare persone più giovani». Insomma più che volontari, delle volontarie di una certa età, ma pronte all’aiuto e al sostegno. Un lavoro di cui oggi il sistema sanitario non può proprio fare a meno.