VITA nello Spazio, ma che vita?

Ricerca medica - La nuova missione sulla Stazione Spaziale si occuperà soprattutto della salute degli astronauti
/ 03.07.2017
di Loris Fedele

Il lancio programmato per la fine di maggio è stato rinviato di un paio di mesi per problemi tecnici legati al funzionamento delle navette russe che assicurano i rifornimenti alla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) ma la sostanza della missione non cambia per nulla. VITA è il nome scelto dall’Agenzia spaziale italiana (Asi) per l’Expedition 52/53 sulla ISS nella quale si svolgeranno molti esperimenti, di cui tredici interamente italiani, riguardanti indagini biologiche e fisiologiche sul corpo stesso degli astronauti. 

Ricordo che l’Italia, terzo contribuente dell’Agenzia spaziale europea (ESA) ha ottenuto dalla NASA con un accordo bilaterale l’opportunità di effettuare con i propri astronauti voli di lunga durata sulla ISS, in contropartita ai moduli cargo italiani MPLM usati per il rifornimento delle missioni sia Space Shuttle sia ISS. L’ultimo modulo, battezzato Leonardo, debitamente modificato rispetto agli altri, è rimasto dal 2011 attaccato alla ISS diventandone parte integrante. 

L’Asi ha sfruttato l’accordo per portare per sei mesi nello spazio Paolo Nespoli (nel 2010 con la Missione MagISStra), Luca Parmitano (nel 2013 Missione Volare) e Samantha Cristoforetti (nel 2014-15 Missione Futura). Quest’anno Paolo Nespoli (nella foto) a 60 anni ritorna a vivere per cinque o sei mesi in assenza di peso ma, permettete il gioco di parole, ben attaccato alla vita. VITA si chiama la missione e l’emblema, il logo se volete, disegnato dagli italiani è un’interpretazione deformata del simbolo dell’infinito (un 8 orizzontale); nell’estensione ideata dall’artista Michelangelo Pistoletto il segno diventa triplo, con un cerchio più grande al centro, affiancato dagli altri due, più piccoli e a forma d’uovo. Nel centro la figura della Terra: per l’esattezza si vede l’Europa e un poco del Nord Africa, inserite in una forma rotonda che vuole ricordare la pupilla dell’astronauta che la guarda. Nel cerchio di sinistra il simbolo della doppia elica del DNA, il codice genetico, per sottolineare proprio l’aspetto della vita biologica. A destra invece un libro, che vuol ricordare la conoscenza, lo studio, l’aspetto educativo. Un logo bello ed evocativo, come la parola VITA, scelta per descrivere la missione, che in realtà è l’acronimo dell’inglese Vitality, Innovation, Technology, Ability, quattro aspetti indispensabili per la buona riuscita delle missioni umane e per la sopravvivenza degli equipaggi. 

Su questa sigla si concentrano i nuovi esperimenti. Si sa che in questi lunghi soggiorni il fisico umano è sottoposto a continue verifiche intese a prepararlo a vivere nello spazio. Non siamo fatti per stare a lungo in assenza di peso, non siamo fatti per essere bombardati continuamente da raggi cosmici. Il nostro fisico patisce il nuovo ambiente, reagisce a suo modo, deve abituarsi, evolversi magari, per poter sopravvivere. 

Fare l’extraterrestre è un compito arduo: affascinante, certo, ma può essere mortale. L’esposizione continua ai raggi cosmici, ricchi di particelle cariche molto penetranti e dannose per il corpo (per fortuna sulla terra sono parzialmente schermati dall’atmosfera) è il principale ostacolo alla colonizzazione dello spazio da parte dell’essere umano. Fin dai primi voli spaziali se ne misurano quantità e conseguenze e anche nella Missione VITA un esperimento dell’Istituto nazionale di fisica nucleare e dell’Università di Roma misurerà il flusso di radiazioni che investiranno la ISS durante tutta la missione. 

Quando venne in Ticino, Paolo Nespoli ci illustrò con lucidità la sua condizione di cavia umana durante tutte le missioni che – sono le sue parole – lo facevano invecchiare più in fretta di chi sta a terra. Diceva anche che stare lassù è come farsi fare cento radiografie al mese. Il nostro corpo ha grandi capacità di adattamento e di reazione agli attacchi esterni e le nostre cellule sanno rigenerarsi, ma fino a che punto? Dov’è il limite? Quando il danno diventa permanente? Tanto sappiamo, ma tanto dobbiamo ancora conoscere, in particolare sulla vita in un ambiente alieno. Arriveremo davvero a superare tutti questi ostacoli? Il nostro corpo si modificherà ed evolverà al punto di poter sopravvivere in un ambiente spaziale? Ci sono tante e tali domande che non sono pochi sulla terra quelli che si chiedono: ma chi ce lo fa fare? Vale ancora la pena di andare fisicamente nello spazio? 

Per gli astronauti non vi sono dubbi, diranno sempre di sì. L’esperienza unica di poter guardare la Terra da centinaia di chilometri, di veder il cielo nero, di vivere situazioni irripetibili e di poter fare avanzare la conoscenza umana con i loro esperimenti, basta e avanza per motivarli e farne i primi sostenitori della ricerca spaziale. Senza parlare dei benefici e delle ricadute tecnologiche positive legate allo sviluppo dei programmi spaziali. 

Ma torniamo all’aspetto medico-fisiologico di una vita umana lontano dal nostro pianeta. Tra gli esperimenti della Missione VITA alcuni analizzeranno l’occhio e i danni subiti dalla retina in condizioni di microgravità. Si cercano conoscenze utili in prospettiva per scongiurare il glaucoma e la degenerazione maculare senile. Si studieranno in orbita le cellule muscolari dello stesso Paolo Nespoli paragonate con altre a terra in microgravità simulata, perché la degenerazione cellulare degli astronauti è cosa accertata e se ne vogliono capire bene le cause, anche per aiutare chi soffre di atrofia muscolare. Ci si occuperà poi di cellule cardiache. Inoltre col tessuto osseo delle cellule staminali presenti nel sangue, studiato in orbita, si analizzerà la capacità di rigenerarlo. La decalcificazione delle ossa in assenza di peso, che porta all’osteoporosi, è un fenomeno accertato su tutti gli astronauti e che va assolutamente ostacolato e, se possibile, risolto. Un lettore di nove parametri fisiologici diversi estratti dalla saliva di Nespoli misurerà tra gli altri i livelli di cortisolo, un ormone prodotto dalle glandole surrenali associato allo stress e legato all’iperglicemia. 

L’elenco degli esperimenti potrebbe diventare lungo e noioso. Ricordo semplicemente che per coinvolgere il pubblico e indirizzarlo a seguire l’attività sulla ISS, sarà disponibile una App gratuita (per Android e iOS) chiamata #Spac3 che permetterà agli utenti di scattare foto della vita sulla Terra o della salute e di sovrapporle alle immagini spaziali che Nespoli pubblicherà sui social.