Valeria Doratiotto Prinsi

Una scuola per tutti

Penny Wirton – L’esperienza e l’entusiasmo dei ragazzi del Liceo Lugano 1 che insegnano italiano ai ragazzi migranti. Abbiamo parlato del progetto con la direttrice Valeria Doratiotto Prinsi
/ 03.12.2018
di Alessandra Ostini Sutto

Penny Wirton e sua madre è il titolo di un romanzo per ragazzi di Silvio D’Arzo, pubblicato nel 1978. Racconta la storia di un bambino povero e disprezzato che non ha mai conosciuto il padre e che, passando per numerose prove, riesce a conquistare la propria dignità, grazie anche all’aiuto del supplente della scuola del villaggio.

Simbolo della possibilità di riscatto, questa figura ha ispirato una particolare scuola di lingua italiana rivolta ai migranti, fondata da Eraldo Affinati, scrittore e docente, e sua moglie, Anna Luce Lenzi, tra le altre cose studiosa di Silvio D’Arzo.

La sua storia inizia nel 2004, quando Affinati, trasferito su sua richiesta alla comunità «La Città dei Ragazzi» di Roma, sente la necessità di aiutare gli adolescenti immigrati che posseggono solo un italiano embrionale, insufficiente a trasmettere le esperienze e le emozioni di cui sono portatori. Quattro anni dopo, nella stessa Città, fonda con la moglie la Scuola Penny Wirton, che offre corsi gratuiti di italiano per immigrati. Nel 2010 nasce l’omonima associazione, titolare del marchio Penny Wirton. Da allora in Italia sono nate decine di Scuole Penny Wirton, che operano autonomamente aderendo ai principi espressi nella condivisa Carta d’intesa. Prima scuola Penny Wirton oltre i confini italiani è quella nata all’interno del Liceo di Lugano 1, su suggerimento dello stesso Affinati. «Il presidente dell’Associazione Penny Wirton è stato invitato nel dicembre del 2016 per un incontro con le classi e, in quell’occasione, ha proposto agli allievi di creare una Penny Wirton», spiega Valeria Doratiotto Prinsi, che il primo settembre dello stesso anno ha assunto la carica di direttrice dell’Istituto, affiancata a quella di docente di italiano: «La reazione da parte dei ragazzi è stata impressionante; quando abbiamo organizzato una riunione informativa, dall’aula prevista ci siamo dovuti spostare in Aula magna perché si sono presentati oltre 100 allievi».

All’entusiasmo dei ragazzi si sono aggiunti altri fattori: «Da un lato, a livello di direzione e tra i docenti c’era una forte sensibilità riguardo alla tematica, dall’altro, la scuola pubblica era confrontata dal 2015 con l’arrivo di una sessantina di minori non accompagnati in Ticino, per seguire i quali è stato dato un mandato alla Croce Rossa», continua la direttrice.

Dalla coincidenza di questi due fronti, è nata l’idea di declinare il concetto della Penny Wirton – aperto a qualsiasi tipo di volontario verso qualsiasi tipo di migrante – in un progetto focalizzato sui giovani.

I corsi della Scuola Penny Wirton presso il Liceo luganese sono cominciati in via sperimentale nel maggio del 2017 e poi in modo ufficiale nel settembre dello stesso anno. «L’elemento più difficile è stato confrontarci con le iniziali paure. Dei timori molto concreti, del tipo come iniziare e cosa fare», commenta Valeria Doratiotto Prinsi, «io ed un collega abbiamo quindi fatto visita alla Penny Wirton di Milano, diretta da Laura Bosio, una scrittrice, amica di Eraldo Affinati. In un attimo sono sparite tutte le paure. Se ne può infatti parlare tanto, ma solo quando ci si trova dentro un’aula di una scuola Penny Wirton si capisce davvero cos’è. Di conseguenza, abbiamo invitato Laura Bosio a venire a parlare ai nostri allievi e rispondere alle loro domande».

Una volta partito, il modello luganese è funzionato da subito, tant’è che il secondo ciclo è cominciato a settembre all’insegna della continuità. Le lezioni si tengono ogni mercoledì pomeriggio, in presenza di almeno un docente e della coordinatrice professoressa Michela Maiocchi, e coinvolgono una sessantina di studenti liceali, che a turno impartiscono lezioni a una quindicina di ragazzi di età compresa tra i dodici e i circa vent’anni, provenienti prevalentemente da Siria, Afghanistan, Eritrea ed Etiopia. «Alcuni sono residenti nei foyer di Paradiso e Cadro della Croce Rossa Svizzera Sezione del Sottoceneri, altri sono stati segnalati dalle Scuole medie di Barbengo e Besso; attualmente è in fase di attivazione una collaborazione con S.O.S. Ticino», precisa la direttrice, «il progetto è infatti in espansione: alcuni Istituti stanno considerando se aderirvi – come la scuola media di Chiasso – o prendere spunto da esso per sviluppare un progetto proprio».

Per i liceali non dev’essere facile assumere il ruolo che hanno scelto, soprattutto se si considera che la maggior parte dei loro allievi, nonostante la giovane età, ha affrontato un percorso duro per arrivare sin qui. Per essere pronti a svolgere il loro compito, gli studenti-docenti vengono formati su più livelli. «Per esempio sulla cultura di provenienza degli allievi migranti, attraverso la collaborazione con la Croce Rossa», commenta Valeria Doratiotto Prinsi. L’insegnamento vero e proprio ruota invece attorno ad un grosso manuale rosso, opera di Eraldo Affinati e Anna Luce Lenzi. «Il volume parte dall’alfabetizzazione e, in maniera molto accelerata, attraverso anche disegni e colori, integra i testi. Al giovane insegnante spetta il compito di capire e scegliere quali parti usare in base a chi ha di fronte», spiega la direttrice, «oltre al manuale, vi sono ragazzi che hanno creato dei materiali per rispondere alle esigenze del proprio allievo». E questo corrisponde appieno all’idea della scuola Penny Wirton, che è proprio quella di lavorare al presente, con chi c’è e con quello che si ha, senza classi, senza voti, senza burocrazie. E per farlo la soluzione migliore – secondo i suoi ideatori e chi ne ha sposato la filosofia – è il rapporto uno a uno. Tramite il confine dato dal libro, i ragazzi sono a contatto, si guardano, si raccontano, si conoscono, ridono. «Un elemento caratterizzante della scuola Penny Wirton sono proprio i sorrisi e la spontaneità. Alla fine si tratta semplicemente di due persone che si incontrano», continua la direttrice. L’aria che si respira nell’aula in cui si svolgono le lezioni può essere percepita guardando il documentario (proiettato, su iniziativa della Fondazione Azione Posti Liberi, al Festival dei diritti umani 2018) di Mattia Monticelli, studente del Conservatorio internazionale di scienze audiovisive (CISA), che ha seguito per cinque settimane le lezioni. «Per gli allievi attivi nell’ambito di questo progetto, il fatto di sapere che dentro quell’aula si trovano persone con la loro stessa sensibilità, ha innescato un micromondo. Capita, per esempio, che, pur non avendo il proprio allievo, dei ragazzi si presentino lo stesso, portandosi i propri compiti», spiega Valeria Doratiotto Prinsi, «questi ragazzi sono accomunati dal fatto di sentire in modo forte il tema dell’immigrazione, quindi da un’attenzione all’attualità, unita alla volontà di essere dentro al mondo, in maniera attiva. Oltre a ciò hanno in comune la generosità, il fatto di voler donare il proprio tempo in un gesto che parte da un sentimento di volontariato ma che arriva ad essere altro». Le lezioni della Scuola Penny Wirton sono percepite infatti come uno scambio tra due adolescenti che, pur avendo vissuto esperienze diversissime e pur provenendo da mondi lontani, parlano in fondo un’unica lingua.

Così i giovani migranti, oltre a ricevere un grande aiuto nell’apprendimento della nostra lingua, hanno modo di sentirsi accolti. «Nella grande maggioranza dei casi il destino dei minori non accompagnati è di rimanere in Ticino. È quindi compito del Cantone integrarli a livello di scolarizzazione ed è compito della società tutta – e quindi della scuola – di fare in modo che l’integrazione avvenga anche nella relazione tra le persone», conclude la direttrice: «grazie alla scuola Penny Wirton i nostri studenti imparano che la migrazione, tema complesso filtrato spesso attraverso la comunicazione dei mass media e i discorsi della politica, non tocca solo masse anonime, non è solo l’immagine del barcone che attraversa il Mediterraneo, ma è una persona, che ha un nome e un cognome, che ha dei sogni, che ha un vissuto anche vicino al loro. Questo è un valore di educazione alla cittadinanza che è compito della scuola insegnare».