Classe 2001, Valeria Cagnina è una ragazza vulcanica. All’età di 11 anni ha realizzato il suo primo robot e a 16 ha fondato un’impresa tutta sua che conta oggi 10 collaboratori, con età inferiore ai 30 anni. Si tratta di una scuola dove insegna robotica e innovazione a studenti che vengono chiamati «dreamers», sognatori. Iscritta al quarto anno dell’ITIS (Istituto Tecnico Industriale Statale), questa giovane «maker» (una sorta di «artigiano digitale») di Alessandria, partecipa ad eventi e fiere internazionali in Italia, Europa e negli Stati Uniti. Oltre a ciò pratica e insegna ginnastica ritmica ed è pure una tech e travel blogger. Insomma, energia pura.
Un mesetto fa, Valeria è stata ospite di Devoxx4Kids 2018 alla Supsi di Manno. Una giornata che ha per scopo di avvicinare i ragazzi tra gli 11 ed i 15 anni alle materie tecniche – come programmazione, robotica e ingegneria – con un approccio leggero e divertente. Devoxx4kids è un movimento no profit nato nel 2012 in Belgio e organizzato in club locali. Nel nostro Cantone la manifestazione è promossa da ated4kids, un progetto di ated – ICT Ticino.
Abbiamo intervistato Valeria Cagnina – menzionata nel 2015 tra le 100 donne che contano di più in Italia nel digitale – a pochi giorni dalla sua partenza per la fiera tecnologica Maker Faire di San Francisco. La sua storia – ci ha raccontato – inizia nel 2012 al CoderDojo Milano. CoderDojo è un movimento aperto e gratuito costituito da centinaia di club indipendenti in tutto il mondo che impartiscono corsi per avvicinare i bambini al coding e alla robotica. Qui, Valeria vede una pianta digitale realizzata con Arduino di cui subito si innamora. Decide così di acquistare un kit di Arduino e, seguendo e modificando i video di Youtube, all’epoca solo in inglese, realizza il suo primo robot in grado di muoversi evitando gli ostacoli. Questo evento dà una svolta alla sua giovane vita: a 13 anni diventa Digital Champion per la sua Città, a 14 è speaker al TEDxMilanoWomen, al Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Pisa, al Senato della Repubblica e all’opening conference della Maker Faire Rome 2015. A 15 anni trascorre l’estate al MIT di Boston, presso il Dipartimento di Robotica.
Qual era il tuo ruolo al MIT di Boston?
Ero Senior Tester del progetto Duckietown, che si occupa di realizzare veicoli in grado di muoversi in maniera autonoma in una città di papere. Il mio compito era di costruire uno di questi robottini, semplificando al tempo stesso i tutorial dell’Università per renderli accessibili ai ragazzi delle Superiori.
Quella del MIT non è stata l’unica esperienza presso un prestigioso ateneo all’estero; è corretto?
Esatto. Dopo l’esperienza di Boston volevo trovare un politecnico che si occupasse di robotica ed intelligenza artificiale in Europa. Dopo aver visionato il sito del Politecnico di Zurigo, ho cominciato a mandare e-mail ai vari dipartimenti che mi potevano interessare, fino a quando qualcuno mi ha risposto, invitandomi a visitare i loro uffici e laboratori. Pensavo mi avrebbero fatto fare un giretto invece ho passato lì dentro l’intera giornata. Ora collaboro con l’ETH facendo utilizzare ai bambini della mia scuola il kit di Dancebot, un robottino in grado di ballare messo a punto dagli ingegneri zurighesi. Sono poi stata Mentor in un Summer Camp di imprenditoria per ragazzi – il Ginger Camp – presso l’EPFL, il Politenico di Losanna.
Ho letto che l’esperienza al MIT è stata decisiva per l’apertura della tua scuola…
L’estate trascorsa al MIT mi ha permesso di capire che si può imparare divertendosi, che le nozioni non devono per forza essere assimilate passivamente da dietro un banco. Così, tornata in Italia ho iniziato a dare delle lezioni ai bambini. In poco tempo questa attività è diventata più strutturata tanto che a 16 anni ho aperto la mia scuola.
Che tipi di corsi propone?
Ora offre corsi tech, hardware, software e di robotica ad Alessandria e su Skype per bambini e ragazzi, adulti e docenti, associazioni e gruppi, scuole ed aziende. D’estate organizziamo un Summer Camp.
La tua scuola ha un approccio didattico non convenzionale; ce ne vuoi parlare?
La scuola segue 10 regole da me ideate. Innanzitutto chi partecipa agli «incontri» è un «Dreamer», chi facilita l’apprendimento un «Mentor». La prima regola è che «niente è impossibile» e nella scuola non si può dire «non ce la faccio», dal momento che pensiamo sia soltanto un blocco mentale che porta ad arrendersi. Vogliamo invece trasmettere un approccio positivo secondo cui con determinazione, impegno e voglia di fare si può arrivare dove si vuole.
Come si volgono gli «incontri»?
Le attività sono svolte per terra, disposti in cerchio, su tappeti e cuscinoni. Stare distesi sul cuscino non è considerato un segno di maleducazione; quello che conta è la partecipazione, l’interesse e l’apprendimento.
Il cerchio facilita la possibilità trovare il proprio spazio ed evita di avere il secchione in prima fila e quello che disturba nell’ultima. Siamo convinti che i bambini possano imparare anche tra pari e lavorare con compagni che non abbiano per forza la stessa età. Per questo usiamo molto il team working. Agevoliamo pure il brain storming, con l’ausilio di lavagne e pennarelli che i Dreamer possono utilizzare in qualunque momento. Il rumore e il disordine non ci danno fastidio, e nemmeno il fatto di sporcarsi le mani. Facciamo infatti poche lezioni teoriche e molte attività pratiche, utilizzando piuttosto il tech e il digitale come strumenti per aiutare ogni Dreamer a scoprire le proprie passioni, dal momento che il nostro scopo non è creare i programmatori di domani, ma delle persone che possano esprimersi a 360 gradi ed essere uniche e creative nel realizzare quello che vogliono.
E questo lo incentivate in qualche altro modo?
Per esempio evitando le soluzioni pronte. Se qualcuno chiede aiuto, gli stiamo vicini e gli spieghiamo ancora una volta come fare, ma non mettiamo mai le mani sul suo lavoro convinti del fatto che ogni ragazzo possiede le risorse per arrivare al risultato.
È possibile tracciare un profilo dei bambini e ragazzi che frequentano i tuoi corsi?
Fino ai 7-8 anni ci sono sia maschi che femmine. Successivamente, nella maggior parte dei casi si tratta di maschi. Purtroppo le ragazze, e anche delle famiglie, ritengono ancora che materie quali la robotica non siamo «cose da femmine». Anche quando cercavo insegnanti, pur mirando a ragazze della mia età, ho trovato solo maschi e più grandi. Ho fatto dei colloqui con delle ragazze che avevano esperienza, per esempio, in ambito educativo, ma appena vedevano due fili o due motorini dicevano «no, questo non fa per me».
E come ti senti con questi collaboratori più grandi e, soprattutto, ad avere, a soli 17 anni, una tua scuola, dove insegni persino ad adulti?
Mi sembra una cosa, mi verrebbe da dire, «normale», anche se so che non lo è. Ritengo comunque che oggi non sia tanto importante l’età che si ha ma piuttosto in cosa si è specializzati e quali attività si è deciso di intraprendere. In quest’ottica, posso sicuramente trovare, per esempio, un bambino esperto di qualcosa che non conosco che me lo può insegnare. A riprova di ciò, quando insegno agli adulti, mi capita di vederli inizialmente scettici, ma poi, quando capiscono che ho qualcosa da insegnare e che faccio qualcosa di diverso rispetto a loro, mi ascoltano e mi prendono sul serio.
Mi ha impressionato leggere la quantità e la diversità delle attività che riempiono la tua giornata; come riesci a fare tutto?
Sono stra-iperattiva e molto organizzata e così riesco ad incastrare varie cose in una giornata che è di 24 ore come quella di tutti. Il team della mia scuola mi aiuta molto perché riesce a gestire le lezioni anche senza di me. Mezza giornata a settimana comunque non vado a scuola e salto delle lezioni quando partecipo agli eventi. Per mia fortuna ho una buona memoria e riesco a mantenere una media alta.
Hai dei progetti che vorresti segnalare?
L’idea è di estendere la nostra attività tramite degli Ambassador, delle persone cioè che abbraccino la filosofia della nostra scuola e vogliano replicarne la struttura in altre realtà.
Nonostante la tua giovane età hai già fatto molto; come ti vedi da grande?
Ho ancora un anno di superiori dopodiché vorrei studiare ingegneria informatica al Politecnico di Milano. Dopo non lo so... Di sicuro vorrei insegnare al maggior numero possibile di bambini in maniera giocosa e divertente e rendere la scuola un punto d’incontro per realtà diverse, estendendo le attività ad altri campi e ad altre fasce di persone.