Una pagina cupa della nostra storia

Internamenti amministrativi – Il prossimo 2 settembre la Commissione peritale indipendente di esperti consegnerà l’ultimo dei 10 volumi frutto delle sue ricerche: si stima che furono circa 60mila le persone vittime dei provvedimenti
/ 05.08.2019
di Roberto Porta

Senza un processo, senza un avvocato che si occupasse della loro difesa e senza un verdetto emesso da un tribunale. Può essere riassunto così il vergognoso capitolo dei cosiddetti internamenti amministrativi. Privazioni della libertà che dall’inizio del secolo scorso e fino al 1981 sconvolsero nel nostro Paese il destino di circa 60mila persone, così almeno stima la Commissione peritale indipendente che dal 2014 ha lavorato per far luce su questa pagina della storia recente svizzera. La legge in materia era stata introdotta per «ripulire» la società, ed è proprio il caso di dire così, dalle persone che non rispettavano le norme sociali e morali di quel momento storico e per rieducarle attraverso il lavoro forzato. «In generale gli internamenti amministrativi sono stati utilizzati per dare una risposta a problemi sociali e morali, come ad esempio la povertà, l’alcolismo, la prostituzione, la mendicità e il vagabondaggio – ricorda Vanessa Bignasca, storica e collaboratrice scientifica della Commissione di esperti – Si tratta di categorie sociali che erano già nel mirino di alcune leggi dell’Ottocento e che nel Novecento saranno poi oggetto di specifiche normative a livello federale e cantonale. Si procedeva all’internamento senza nessun procedimento giudiziario e senza che queste persone avessero commesso un reato vero e proprio». 

Nel marzo scorso la Commissione di storici ha pubblicato il suo primo volume, con i risultati delle proprie ricerche. Da allora ne sono stati pubblicati altri otto, che affrontano tematiche specifiche legate a questo fenomeno. «Una pagina cupa della storia svizzera», come ha fatto notare il presidente della Commissione, Markus Notter. Ma come avvenivano questi internamenti? E chi erano le persone, i profili che più di altri rischiavano di perdere la loro libertà? «Facciamo un esempio concreto – ci dice ancora Vanessa Bignasca – Prendiamo il caso di un uomo alcolizzato che fa schiamazzi sulla pubblica via, che magari commette violenze contro la moglie e i figli e che non può più garantire un apporto finanziario alla propria famiglia. Una persona di questo tipo rischiava di certo una misura coercitiva in un istituto. Con la legge sull’internamento era possibile farlo in modo rapido e senza le formalità di un processo giudiziario. Le autorità dichiaravano che l’intento di questi provvedimenti era rieducativo, affinché venissero rispettate le norme morali dell’epoca e per favorire un ritorno al lavoro della persona interessata». 

Si trattava di un provvedimento amministrativo, deciso da un funzionario e con il nullaosta definitivo, in Ticino, del consigliere di Stato direttore dell’allora Dipartimento degli interni. «Occorreva anche stabilirne la durata, che poteva anche essere a tempo indeterminato. In Ticino solitamente si andava da un minimo di sei mesi ad un massimo di due anni, prorogabili». 

Una pratica che è durata per diversi decenni e che coinvolgeva in modo differenziato uomini, donne e giovani, destinati a istituti e lavori diversi tra loro a seconda appunto del sesso e dell’età. «Nel tempo le ragioni di un internamento sono cambiate – fa notare ancora la storica Vanessa Bignasca – Per gli uomini prevalevano motivi di questo tipo: il discostarsi dal modello sociale ideale, non riuscire a garantire il sostentamento della famiglia, il consumo di alcol, l’assenza di una dimora e di un lavoro fissi. Per le donne invece la causa principale era legata principalmente a una sessualità al di fuori della sfera matrimoniale, a gravidanze illegittime e al fatto di non essere considerata in grado di sapersi occupare della famiglia. In altri termini si sanzionava questo tipo di stili di vita». 

Dopo il 1981 le autorità impiegarono ancora parecchio tempo prima di finalmente affrontare questo capitolo della nostra storia e adottare delle misure per poter almeno in parte riparare il danno e le ingiustizie commesse. Solo nel 2010 la Consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf porse le scuse ufficiali della Confederazione, a cui fecero seguito nel 2013 quelle di Simonetta Sommaruga. Oltre ad avere creato la Commissione di esperti, il Consiglio federale ha anche istituito un fondo dotato di 300 milioni di franchi per risarcire le persone ancora in vita e vittime di queste pratiche. L’Ufficio federale di giustizia ha ricevuto globalmente 9018 richieste di indennizzo, che sono state quasi tutti accettate. Ad ogni singola persona spetta un massimo di 25mila franchi. In meno di 90 casi questa richiesta è stata rifiutata.

Pratiche e persone che hanno coinvolto il canton Ticino, come ci ricorda Cristiana Finzi, Delegata per l’aiuto alle vittime di reati. «Le richieste per il contributo di solidarietà pervenute dal Ticino sono state 188. Le vittime devono testimoniare che hanno subito un internamento e che la loro integrità fisica, psichica o sessuale come pure il loro sviluppo intellettivo sono stati lesi in modo grave», sottolinea la signora Finzi. 

«In Ticino erano davvero parecchi gli istituti utilizzati per questi internamenti – aggiunge la storica Vanessa Bignasca – Per gli adulti c’era ad esempio la casa per intemperanti La Valletta di Mendrisio, oltre ad altri reparti, anche per le donne, presso l’allora Ospedale neuro-psichiatrico. C’era poi l’Istituto Santa Maria di Pollegio, dove venivano destinati i ragazzi adolescenti. E in più le autorità disponevano di una vasta schiera di altri istituti, anche religiosi, per i ragazzi più piccoli in regime di collocamento extra-famigliare. A volte capitava che il padre o entrambi i genitori venissero internati e allora, non di rado, si prelevavano anche i bambini. Anche in questo caso senza l’intervento di un giudice. Molte persone furono internate più volte nel corso della loro vita. È molto difficile stabilire delle cifre esatte, possiamo dire, per farci un’idea, che verso la fine degli anni 50 del secolo scorso le persone internate in Ticino erano già state oltre un migliaio».

Il prossimo 2 settembre vi sarà la consegna dell’ultimo dei 10 volumi frutto delle ricerche della Commissione indipendente di esperti. Si tratta di un riassunto di tutte le nuove pubblicazioni a cui sono state aggiunte diverse testimonianze scritte dalle persone internate. La Commissione presenterà pure una serie di proprie raccomandazioni all’indirizzo del Consiglio federale, anche per evitare il rischio di dimenticare e per poter mantenere questo tema al centro dei dibattiti. Essenziale in questo senso sarà la scuola e la sensibilizzazione delle nuove generazioni.