Il professor Andrea Rocci (CdT-Gonnella)

Una Facoltà cambia nome

USI – Scienze della comunicazione si chiamerà Facoltà di comunicazione, cultura e società, un cambiamento che vuole mettere in evidenza la forte componente umanistica. Intervista al Decano Andrea Rocci
/ 10.02.2020
di Natascha Fioretti

Se il mondo corre e si trasforma altrettanto devono fare le università se vogliono essere attrattive e formare giovani all’altezza del futuro che verrà. Di più, devono fungere anche da filtro verso le realtà professionali esterne, anticipare il corso delle innovazioni, riconoscendo prima e selezionando poi quegli elementi indispensabili e formativi da trasmettere alle nuove generazioni. Compito non facile considerando il ritmo vertiginoso con il quale il progresso tecnologico sta evolvendo modificando il nostro modo di relazionarci con gli altri ma, più profondamente, il nostro modo di essere e di vivere. Ecco allora che si può ben comprendere la scelta della Facoltà di scienze della comunicazione dell’Università della Svizzera italiana di cambiare nome in «Facoltà di comunicazione, cultura e società» (grazie all’approvazione del Gran Consiglio ticinese, nella seduta di lunedì 9 dicembre 2019). Il nuovo nome, si legge nel comunicato, risponde meglio alle attuali sfide della società, valorizza i punti di forza sviluppati negli anni dalla Facoltà ed è più aderente alla sua offerta formativa attuale. Dunque non solo un cambio di forma ma anche di sostanza.

Per capire meglio di che cosa si tratta e quali strategie accompagneranno la Facoltà nata nel 1996 insieme all’USI abbiamo fatto qualche domanda al Decano Andrea Rocci.

Professor Rocci, quali considerazioni vi hanno portato a cambiare nome?
«Negli ultimi anni, a fronte dei grandi cambiamenti in ambito tecnologico e digitale, al nostro interno abbiamo promosso una riflessione su chi siamo e chi vogliamo essere. Abbiamo deciso che l’intreccio tra comunicazione, che è la matrice originaria, cultura e società meglio esprime e connota la nostra identità anche di fronte alle sfide future promuovendo al contempo una riflessione sulle tecnologie, sui media e sulla comunicazione ma con una forte componente umanistica».

Quando siete nati nel 1996 il Web era agli albori, oggi siamo nel bel mezzo di una rivoluzione di usi e costumi e occorrono strumenti specifici per sapersi orientare. Come e dove si sono spostati i vostri interessi?
«In quegli anni tanti nostri laureati sono andati ad occuparsi di comunicazione sul web, design di siti, c’era l’idea che potessero nascere dei nuovi professionisti della comunicazione. Oggi le nuove tecnologie entrano nella vita di tutti, professionisti e non. Sono diventate qualcosa di pervasivo cambiando i nostri rapporti sociali. La professoressa Katharina Lobinger dell’Istituto di tecnologie digitali per la comunicazione sta conducendo una ricerca finanziata dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica su tecnologie e relazioni interpersonali da un punto di vista antropologico, psicologico e anche etico. C’è da considerare tutto un aspetto di cambiamento della società, del modo di vivere e di trasmettere la cultura. La lettura per esempio. I giovani non leggono più? Leggono in un altro modo? Quali sono i modi con cui si può trasmettere la cultura oggi? Questo è un tema che vogliamo mettere a fuoco in una delle tre specializzazioni del nuovo bachelor di comunicazione che partirà l’anno prossimo, incentrata su cultura e tecnologie digitali».

Il mondo del lavoro è in piena rivoluzione, non è difficile formare i giovani in questa condizione che offre poche certezze?
«Ci vuole il giusto equilibrio tra solidità dei contenuti e capacità di anticipare certe tendenze, lavorare sui settori più innovativi. Ci vuole l’attenzione a formare delle persone che usino la ragione in modo critico, che abbiano delle solide basi su dei quadri interpretativi fondamentali, su delle grandi linee culturali e che possano in futuro adattarsi ai cambiamenti del mercato del lavoro. È una caratteristica della formazione universitaria quella di puntare alla formazione della persona, delle sue capacità critiche, delle sue soft skills, che non passeranno di moda. Ci saranno nuove tecnologie, nuovi modi di rapportarsi ma certe capacità di valutazione critica, di decisione e anche di relazione con gli altri muteranno contesto ma non cambieranno».

La vostra facoltà offre un Master in Digital fashion communication, significa che il settore della moda è in trasformazione?
«Pensiamo ai pacchi che arrivano a noi o ai nostri vicini grazie agli acquisti online, alle promozioni e al lancio di nuove tendenze da parte degli influencer, di cui si possono dire tante cose, ma che segnalano un cambiamento culturale molto importante. Le case di moda, grandi o piccole che siano, stanno vivendo una trasformazione digitale importante e hanno bisogno di persone competenti, profili capaci di comunicare la moda con tutta la sua dimensione emotiva ed esperienziale grazie ai media digitali».

Quanto conta la sostenibilità nella moda?
«È sensato produrre grandi masse di vestiti a poco prezzo? Quante risorse naturali, quanta acqua si consuma per la produzione di certi capi? Il mondo della moda non è esente da domande su modalità di produzione e di consumo. Il master coniuga l’uso delle tecnologie più avanzate con un’attenzione per l’impatto ambientale e sociale e una comprensione più generale della moda intesa come fenomeno di costume, fenomeno storico e aspetto culturale nelle diverse società. La moda è spesso veicolo di trasmissione e ibridazione di simboli, colori e forme che ci vengono da diverse parti del mondo».

Un’altra novità che si inserisce nell’offerta della vostra facoltà è il Master in marketing e trasformative economy. Che cos’è esattamente?
«Siamo passati da un’economia industriale incentrata sui prodotti ad una economia dei servizi; e ora siamo ad un’economia dell’esperienza in cui conta la dimensione delle emozioni, dell’immaginazione, e l’arte dello storytelling. Se da un lato c’è la tendenza a sfruttare l’irrazionalità delle persone, l’istintività, l’immediatezza dei social media per spingere all’acquisto, dall’altro c’è l’idea di pensare al marketing come qualche cosa che produce contenuti interessanti e informativi tenendo conto di una dimensione sociale e sostenibile. L’economia trasformativa, legata a nuove forme di scambio facilitate dai media digitali, non si ferma al consumo ma lascia delle tracce più solide e più stabili. Si può notare un’attenzione particolare alle ricadute sociali del marketing e alla sua sostenibilità. Pensiamo soltanto alle potenzialità anche positive di fenomeni come il crowdfunding online. Posso finanziare il nuovo disco di una band giovanile, ma anche chiedere fondi per portare in vacanza al mare un gruppo di anziani di un paese di montagna o, magari, le due cose insieme. È un mondo ibrido».

Pensandoci anche la parola marketing sembra obsoleta, non crede?
«È nata in una società che ormai non c’è più: o acquisirà un nuovo significato, più consapevole delle sue ricadute, positive e negative, o si troverà un’altra parola».

Un importante ramo di tutte le Facoltà delle scienze della comunicazione è sempre stato quello dei media e del giornalismo. Come la mettiamo oggi, c’è ancora, guardando dal vostro osservatorio accademico, l’esigenza di un’informazione di qualità?
«Se pensiamo anche a quello che accade a livello internazionale, alle situazioni di conflitto, se pensiamo alla politica più in generale, credo che l’esigenza di informazione di qualità sia sentita oggi in modo ancora più acuto che dieci o vent’anni fa. Nell’era delle Fake News la domanda sociale di giornalismo e di professionisti capaci di fornire un’informazione fattualmente accurata, critica, comprensibile, che aiuti le persone a formarsi delle opinioni e a decidere sulle scelte importanti è più che mai cruciale. Il tema del giornalismo rimane centrale. Ciò che cambia sono le modalità di lavoro delle redazioni che sono in grande trasformazione, cambiano le piattaforme di distribuzione dei contenuti e c’è la questione del finanziamento: chi paga per la buona informazione? Abbiamo aperto un concorso per la posizione di professore di giornalismo digitale e abbiamo diversi importanti progetti in questo campo in rapida evoluzione».