Elena Pasotti, cardiologa invasiva e del servizio di ricerca cardiovascolare del Cardiocentro di Lugano


Una differenziazione che fa bene

A Lugano si è cominciato a fare ricerca in campo medico con una prospettiva di gender. Ne abbiamo parlato con la responsabile Elena Pasotti, cardiologa invasiva al Cardiocentro
/ 10.06.2019
di Simona Sala

«Genere», gender in inglese, è una parola che può creare una certa confusione, ma con cui nei prossimi anni saremo confrontati sempre più spesso e negli ambiti più disparati. Secondo la definizione data dall’Agenzia delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile (UN Women) «il genere si riferisce agli attributi e alle opportunità sociali associate al fatto di essere maschio o femmina e alle relazioni tra donne e uomini, ragazze e ragazzi, così come alle relazioni tra donne e tra uomini (…) Il genere determina ciò che ci si aspetta, è consentito e valutato in una donna o un uomo in un determinato contesto».

Uno dei contesti in cui si comincia a lavorare tenendo conto della prospettiva di genere, cioè della differenza intrinseca tra uomo e donna, è quello medico; ciò avviene in tutto il mondo attraverso la nascita di collaborazioni tra scienziati al fine di analizzare le modalità con cui il genere influenza il funzionamento umano e la malattia. Sulla scia di questo trend piuttosto recente, anche in Ticino si cominciano a muovere i primi passi nella creazione di una medicina di genere.

Alle nostre latitudini ciò è avvenuto nel contesto della cardiologia, grazie alla dottoressa Elena Pasotti, cardiologa invasiva e responsabile del servizio di ricerca cardiovascolare (SRC) al Cardiocentro di Lugano (dal 1987) e alla nascita di un gruppo di interesse avviato dalla cardiologa Susanna Grego insieme a dottoresse generiche o operanti in campi diversi.

Le migliaia di casi seguiti nel corso degli anni, il contatto con i pazienti e il vantaggio di operare in un Cantone i cui abitanti fanno nella quasi totalità dei casi riferimento al Cardiocentro di Lugano per le patologie cardiache, creano un terreno adatto per la ricerca, ci spiega la Dottoressa Pasotti, che nella medicina di genere più che una sfida vede un naturale desiderio di «curare le donne ancora meglio».

Dottoressa Pasotti, come è nata la medicina di genere?
Negli anni 90 la cardiologa americana Bernardine Healy pubblicò un editoriale sul «New England» in cui spiegava le importanti differenze tra il cuore della donna e quello dell’uomo che, in presenza di un malessere, si manifestano anche nei sintomi. Fino agli anni 90 in presenza di infarto in una donna non si procedeva necessariamente a una coronarografia. Per questo fenomeno fu coniata l’espressione «Sindrome di Yentl», mutuata dal celebre racconto di Isaac B. Singer Yentl il ragazzo della yeshiva, poi divenuto un film di Barbra Streisand, in cui una ragazza è costretta a fingersi maschio per accedere allo studio dei testi sacri.

Come è partita l’idea di fare una ricerca di genere?
Al Cardiocentro abbiamo una casistica enorme. Sebbene esistesse un servizio di ricerca cardiovascolare, non era mai stato fatto uno studio che permettesse di mettere in luce le differenze tra uomini e donne. Eppure sappiamo che tra il cuore della donna e quello dell’uomo esiste una differenza anatomica: le coronarie della donna sono più sottili e tortuose e a volte, in presenza di un infarto, si comportano diversamente. Se prendiamo ad esempio le donne giovani, constatiamo che non sempre presentano una rottura della placca arteriosclerotica, bensì una dissezione spontanea, che si manifesta con un’erosione nella coronaria e occlusione. Come dicevo poc’anzi anche i sintomi del malessere possono essere molto diversi: l’uomo sente spesso un peso al petto mentre la donna presenta sintomi simili all’influenza, stanchezza o fiato corto.

Vi sono anche delle differenze di atteggiamento davanti alla malattia?
Sappiamo che la donna va dal medico più tardi dell’uomo, perché prima di tutto tende a mettere a posto il suo entourage: si occupa del marito, dei figli e della casa, a volte rifà perfino i letti, sempre nella speranza che il disagio passi da sé. Questo atteggiamento comporta il rischio di un maggiore danno al muscolo e quindi maggiori complicanze durante il trattamento interventistico e in un eventuale bypass.Poi però ci sono anche patologie tipicamente femminili, in ambito cardiaco penso alla sindrome di Tako-Tsubo, intimamente correlata con la sensibilità e l’emotività della donna.
La sindrome di Tako-Tsubo (in giapponese «vaso da polipo»), nota anche come sindrome di crepacuore o apical ballooning, si manifesta dopo una violenta emozione – un lutto, una gioia, terrore o stress – con i sintomi tipici dell’infarto e ha luogo soprattutto nella prima parte della menopausa. Si tratta di una disfunzione del muscolo cardiaco determinata da una scarica di catecolamine che paralizzano le cellule, fortunatamente in modo transitorio. Oggi abbiamo un’attenzione particolare verso questa sindrome, poiché la conosciamo meglio.

Alla luce di queste scoperte mediche nate da osservazione e ricerca sembra importante continuare a valorizzare la medicina di genere… le donne sono pur sempre la metà della popolazione.
Stiamo procedendo con un approccio sistematico. Cominciamo a seguire i due gruppi, quello maschile e quello femminile, nelle diverse patologie. Prossimamente ad esempio, in occasione di un importante congresso a Zurigo, presenteremo un rapporto scientifico con i risultati di uno studio sulla riparazione della valvola mitrale con mitraclip: analizzando i dati del registro svizzero condotto dal Cardiocentro si è visto come la mortalità tra i due gruppi sia uguale. Si tratta di un tema a 360 gradi che coinvolge tutti, medici, paramedici, ecc.

Nel campo della ricerca dunque il genere non ha mai rappresentato una caratteristica fondamentale, ma è stato a lungo una variabile?
Certo, è sempre stato così, ma non in malafede. Semplicemente uomini e donne venivano considerati uguali per molti aspetti del corpo umano. Basti pensare che solo recentemente ci si è accorti che forse sarebbe opportuno creare due gruppi di interesse negli esperimenti sui topi da laboratorio. Fino a poco tempo fa essi venivano fatti in modo indifferenziato. Ricordo anche che nella sperimentazione farmacologica negli studi internazionali multicentrici venivano arruolati soprattutto uomini.

Riscontrate delle resistenze verso la medicina di genere?
Al Cardiocentro sicuramente no, anche se ad occuparsene spesso sono unicamente le donne. Nella comunità internazionale c’è ancora una certa indifferenza, o forse è mancanza di curiosità. A noi il settore ovviamente interessa molto, poiché siamo donne, e assistendo pazienti tutti i giorni ci rendiamo conto delle differenze. Sarebbe bello se anche i medici uomini trasmettessero questo messaggio, ma per ora sono pochi.

Secondo lei come è possibile aumentare la sensibilità verso questo tema?
L’argomento deve essere divulgato. Tra cardiologi vi è chi ancora oggi non crede alle differenze tra uomo e donna. Ma quello della medicina di genere è un argomento emergente e all’avanguardia e siamo solamente agli inizi. Stiamo pensando a un congresso divulgativo rivolto alle pazienti donne, in cui mettere in luce le varie branchie della cardiologia in cui esse si comportano in modo diverso dall’uomo. Inoltre desideriamo divulgare quanto acquisito grazie alla ricerca anche tra chi lavora direttamente sul campo (medici generici e specialisti), così da garantire alle donne le migliori cure possibili.
Attenzione però a non confondere la medicina di genere con i posizionamenti delle donne in medicina, come sta succedendo. Proprio recentemente è uscito un articolo dal titolo «Women in cardiology»: solo leggendolo mi sono resa conto che non parlava di patologie femminili, bensì di quante donne sono attive nella cardiologia. Sono comunque fiduciosa che presto cominceranno ad occuparsi del tema anche altre importanti discipline ticinesi come ad esempio l’Istituto oncologico della Svizzera italiana.