Servizio della giornalista Maria Grazia Buletti (video di Vincenzo Cammarata)


Un sostegno nel lutto

Auto aiuto – Nella condivisione del proprio vissuto si creano spazi privilegiati di parola che danno conforto
/ 22.10.2018
di Maria Grazia Buletti

«…comunque la vita chiama tutti, non possiamo ignorarlo, anche se quanto stiamo vivendo è molto doloroso, una parte di noi rimane vitale. La vita “spinge” e dobbiamo trovare le risorse per andare avanti, ritornare al quotidiano…», sono le parole di Rossana, che perde il compagno a febbraio dello scorso anno, dopo un lungo percorso di malattia durante il quale gli è stata al fianco. «Gli ultimi periodi sono stati molto duri: nel percorso della malattia si vuole essere d’aiuto, presenti; ci si vuole adoperare nel quotidiano e nel nuovo ritmo spesso frenetico delle visite mediche e delle cure. Ci si annulla, ci si mette da parte, si tiene duro e si pensa “per ora vado avanti così, poi penserò a me stessa”…». Rossana vive quel «grande vuoto» che la perdita del proprio compagno comporta e si rende conto che, malgrado la consapevolezza del decorso infausto «non sei mai pronto e ti vedi spiazzato, annientato, anche se quel momento lo vedi arrivare». Ci racconta di essersi sentita sola, «con le batterie scariche all’uno percento»: «Dopo i primi momenti, le persone che ti stanno attorno tendono a fuggire, si sentono a disagio e a giusta ragione ritornano alla loro vita. Tu, invece, rimani sola con il tuo dolore, con la tua stanchezza, con il tuo sgomento». La nostra società, oggi, fatica a fare i conti con la morte e tende a evitare chi è in questa situazione: «Spesso, per farti coraggio, ti esorta ad andare avanti, a vivere, a non pensarci, e quella non è la via migliore per elaborare il proprio dolore perché il tempo di un lutto diventa un tempo più lento, meno frenetico di quanto la società richiede». 

Un tempo lento e necessario, perché vedere sfuggire la vita di una persona amata e perderla è una delle prove più dolorose della nostra esistenza: un evento al quale siamo sempre impreparati. Chiunque sia mancato, perdiamo una parte di noi stessi ed entriamo in un periodo di grande sofferenza e difficoltà al quale spesso non si riesce a fare fronte da soli. Rossana racconta di aver cominciato un percorso psicologico già durante la malattia del suo compagno, ma di aver poi trovato sollievo, ascolto, condivisione, empatia e «conosciuto preziose persone con cui condividere un simile dolore» nel frequentare i gruppi AMA-TI (Auto Mutuo Aiuto nel Lutto) promossi dalla Lega ticinese contro il cancro e dalla Fondazione Hospice Ticino, che quest’anno giungono al traguardo dei 10 anni di attività. «Il lutto è un percorso diverso da persona a persona per qualità, intensità e durata delle reazioni emozionali, ma a tutti richiede tempo e un vero e proprio lavoro per essere metabolizzato. Non vi sono soluzioni semplici, ma noi cerchiamo di offrire uno spazio di condivisione e ascolto fra persone che hanno subito un’esperienza simile, in un ambiente privo di giudizio», esordisce il direttore della Fondazione Hospice Ticino Omar Vanoni. «Questi gruppi di Auto Mutuo Aiuto nel Lutto sono attivi nei distretti di Bellinzona, Lugano e Mendrisio, mentre da pochi mesi ne è stato creato uno anche nel Locarnese», prosegue il direttore illustrando l’accompagnamento discreto di pazienti e dei loro parenti che Hospice Ticino opera: «Durante i percorsi di malattia non lasciamo pazienti e parenti da soli, ma li informiamo sulla possibilità della mano tesa dei nostri gruppi, senza trascurare quei lutti dati dall’improvvisa morte di un caro, quando le difficoltà di chi rimane possono presentarsi ancora più pressanti». A nessuno è dunque preclusa la frequentazione di questi gruppi la cui creazione, per quanto attiene a Hospice Ticino, nasce dall’esigenza di presentare e prestare cure palliative. 

Il direttore Vanoni afferma che il percorso che si crea in ciascun gruppo attivo è caratterizzato dalla sua autonomia e dal colloquio tra pari: «Anche se non dobbiamo dimenticare che ogni partecipante ha la possibilità di confrontarsi con i collaboratori professionali di Hospice Ticino e della Lega ticinese contro il cancro, sporadicamente presenti agli incontri». Dal canto suo, Rossana dice di aver superato ampiamente la titubanza iniziale e aver aderito al gruppo nel quale ha trovato condivisione, ascolto privo di giudizio e anche tanta solidarietà reciproca nel darsi una mano quando ci si sente «in quei momenti di sconforto inevitabili»: «Ogni incontro settimanale dura circa un’ora e mezza; la partecipazione non è vincolante e può essere occasionale; abbiamo creato un gruppo WhatsApp nel quale ciascuno di noi può sentirsi e sostenere l’altro al bisogno, anche nel quotidiano, e in ogni gruppo siamo da 4 a 10 partecipanti; possiamo ascoltare l’esperienza dell’altro ed esprimere reciprocamente il proprio vissuto, nella condivisione essenziale del lutto che sì, è un fatto molto personale, ma nel contempo universale». Tutti insieme vivono un tempo comune nel quale elaborano con il proprio ritmo e le proprie risorse quel doloroso percorso che la perdita di un proprio caro rappresenta: «Condivisione, solidarietà umana e sostegno tramite l’ascolto ci permettono di ricomporre noi stessi nella ricostruzione della vita che va avanti». Tutto resta strettamente riservato e privo di giudizio. «Si crea un ambiente protetto, nel quale si può piangere, parlare o tacere, permettendo alle emozioni di non essere soffocate ma di emergere e, quindi, di essere elaborate», spiega Vanoni caratterizzando la dinamicità dei gruppi nei quali vi restano dei «senior» a condurre i nuovi arrivati, sempre sotto la sporadica supervisione del personale di Hospice Ticino e della Lega contro il cancro. Lentamente questi incontri lasciano spazio alla dolcezza del ricordo e alla pienezza della vita, come Rossana racconta: «La vita, a un certo punto, spinge…». 

Una vita che, afferma la filosofa Alexandrine Schniewind: «deve sapersi interrogare sulle questioni legate al morire, nella consapevolezza che non si tratta di un affare puramente filosofico, ma che in divenire è una realtà appartenente non solo a medici o curanti, bensì a tutta la società». La filosofa pone l’accento proprio sulla nostra società che oggi più che mai deve riprendere questo confronto con la fine della vita.