La dottoressa Sonia Lucini di Caslano, specialista in medicina interna, medico di famiglia (Stefano Spinelli)

Un mestiere da rivalutare

Anche nel nostro Cantone è allarmante la penuria di medici di famiglia
/ 16.09.2019
di Maria Grazia Buletti

Il medico tradizionale è una figura storicamente collocabile dalla metà del XIX secolo. Secondo lo storico Edward Shorter, che molto bene ne definisce il profilo nel suo libro La tormentata storia del rapporto medico-paziente (Feltrinelli, Milano, 1986), egli dedicava molto tempo alle visite domiciliari: «Nel 1800 un medico poteva visitare lo stesso paziente anche tre o quattro volte al giorno, trattenendosi a lungo in casa a parlare coi parenti». L’esame del malato iniziava con l’anamnesi: «Cioè la storia delle condizioni di salute e di vita di un malato e dei suoi precedenti famigliari». Ma nel lavoro del medico tradizionale l’anamnesi poteva essere molto lunga e dettagliata, risalendo, se necessario, «alla fanciullezza del paziente». Infatti: «Essa era importante, più della visita diretta, per stimare con maggiore precisione il grado di morbidezza delle fibre o quello di irritabilità dei nervi, a seconda del sistema sanitario adottato dal medico in questione». Tutto ciò anche perché, all’epoca, sembra non avessero molta importanza, al contrario di oggi, la visita organica e gli esami di laboratorio: «Quindi l’anamnesi era considerata fondamentale per diagnosi e terapia». 

In buona sostanza la storia ci ha consegnato il medico di famiglia come una delle categorie da sempre più rappresentate in letteratura per la capacità di curare e di prendersi cura. Un professionista più vicino al demiurgo che si possa avere: non in grado di dare la vita, ma con la capacità di allontanare la morte, spesso confessore ancor più potente di un sacerdote perché si può mentire al confessionale, ma non conviene mentire al proprio medico. E in fondo non è davvero cambiato, oggi, come conferma la dottoressa Sonia Lucini ci accoglie nel suo studio medico di Caslano dove, da specialista in medicina interna, svolge il ruolo di medico di famiglia.

«Il ruolo del medico di famiglia è rimasto sostanzialmente invariato nel tempo: ci prendiamo cura globalmente del paziente dal punto di vista prettamente fisico e da quello psicologico, accogliamo la persona malata o quella sana con necessità sociali, professionali o legate al lavoro, che le arrecano disagio, conosciamo profondamente il nostro paziente e il suo contesto socio-famigliare». La dottoressa Lucini cerca di aiutarci a capire in cosa consiste il suo lavoro contestualizzato al giorno d’oggi, in risposta al nostro tentativo di dare un senso all’incipiente allarme di penuria di medici di famiglia che si riscontra in Ticino e nel resto della Svizzera. 

Di fatto, uno studio della Supsi del 2012 indica che nei prossimi 20 anni servirebbero 16 nuovi camici bianchi l’anno. Mentre il presidente dell’associazione che riunisce i medici di famiglia in Ticino, Alberto Chiesa, indica che «in realtà non arriviamo nemmeno alla metà, e tra qualche anno a farne le spese saranno soprattutto le valli, dove l’emergenza medici di famiglia si farà sentire». Una professione alla base della quale, ci racconta la dottoressa Lucini, deve esistere una profonda vocazione: «Il carico di lavoro è piuttosto pesante, le giornate lunghe e vissute intensamente: siamo sollecitati dall’inizio alla fine con urgenze, imprevisti, telefonate da evadere e molta (direi accresciuta) burocrazia». 

La nostra interlocutrice ammette che bisogna avere un’ottima resistenza fisica, psicologica e una certa flessibilità per gestire tutto ciò che capita durante la giornata, senza dimenticare il sacrificio di parte del proprio tempo libero dedicato inevitabilmente a quel carico burocratico che non ci si può esimere di evadere. Eppure il sorriso della dottoressa anticipa l’idea della grande soddisfazione che il suo lavoro comporta: «Senza passione questo lavoro non si può proprio pensare, ma d’altronde anche gli studi di medicina necessitano di profonda vocazione, costanza e perseveranza. Ti ripagano i pazienti con le loro storie, i rapporti interpersonali che si creano, gli scambi quotidiani umani e di vita che sono spesso molto belli e appaganti». 

Chiediamo se dispone di una ricetta per tamponare l’emergenza e fare del medico di famiglia un mestiere rivalutato. La dottoressa Lucini ritiene che una soluzione potrebbe essere quella di «creare negli studi dei posti di stage per i giovani medici: di primo acchito la nostra professione potrebbe essere vista come un ruolo minore in relazione all’ospedale dove si pensa ci siano molti più stimoli, ma non è così. Permettere ai giovani laureati di praticare in uno studio medico sarebbe per loro una bella opportunità per comprendere la varietà di questa professione». 

E già si stanno cercando soluzioni per far sì che il medico di famiglia riesca a occuparsi del suo stagista: «Per seguire bene un giovane collega che desidera avvicinarsi alla professione, il medico di famiglia dovrebbe verosimilmente adattare la propria attività lavorativa in funzione del giovane collega. Ma sarebbe ripagato dall’esperienza molto gratificante e da uno scambio di conoscenze: esperienza in cambio di nozioni fresche del giovane collega». Incrementare il numero di medici di famiglia sul territorio significherebbe anche fare capo al Pronto Soccorso dell’ospedale solo per le urgenze del caso, come pure, per il paziente, essere indirizzato dallo specialista adeguato alla sua situazione, senza dispendio economico, di tempo e di energie: «Diventiamo un po’ registi e coordinatori delle cure: siamo chi ha in mano il quadro completo dello stato psico-fisico del nostro paziente, e ne coordina il piano di cure».

Il medico di famiglia aiuta nella scelta dello specialista: «Da qual è più indicato andare? Ortopedico? Reumatologo? Neurologo? Tutto questo permette ai pazienti di arrivare subito e in modo efficace alla diagnosi e alla terapia più indicate, per la conoscenza che abbiamo dei nostri pazienti e della loro storia personale». Anche la relazione tra paziente e medico di famiglia assume sfumature positive: «Si arriva a discorsi molto personali, quasi intimi, e si parla di temi importanti come la fine della vita, le direttive anticipate. Il rapporto umano crea sensazioni che trascendono dalla nostra professione». Questo, ci racconta la dottoressa, lascia un segno anche al medico che beneficia del privilegio di alcuni discorsi: «Uno scambio che ci arricchisce, insieme alla palese soddisfazione del paziente: tutto ciò gratifica e controbilancia anche i lati faticosi che d’altronde si vivono in tutte le professioni».

Il medico di famiglia, ancora oggi, tanto può nell’ascolto e nella presa di coscienza: «Dinanzi ad alcune scelte dobbiamo sapere che non è sempre nostro compito consigliare, ma al paziente dobbiamo accompagnamento e ascolto». Grandi i vantaggi offerti da questa figura professionale che deve tornare a riprendere la centralità forse un po’ dispersa nella nostra società e nella politica sanitaria cantonale.