Un «affascinante» disastro ambientale

Uomo e natura - Le cave di Carrara pur avendo dato origine a opere d’arte meravigliose hanno procurato una ferita aperta e insanabile lungo i fianchi della montagna
/ 18.11.2019
di Luigi Baldelli, testo e foto

Le Alpi Apuane sono una catena montuosa che si stende lungo il confine tra la Toscana e la Liguria, e arriva fino al mare. Sin dai tempi dei romani, è proprio qui che si estrae il marmo più pregiato del mondo. È da queste montagne, da questo mondo unico che i grandi artisti e architetti hanno preso da sempre la loro materia prima, il marmo appunto, per creare le loro opere. Viene da queste cave quello usato da Michelangelo per la sua Pietà e per il David. L’artista amava scegliere personalmente i blocchi di marmo e oggi una delle cave porta il suo nome. 

La città di Carrara, con il suo cuore anarchico (qui fu fondata la Federazione Anarchica Italiana nel 1945) si identifica molto con il suo marmo. Se si guarda il paesaggio delle cave da lontano, le montagne sembrano innevate, e in altri momenti ricordano paesaggi lunari come ogni mente fervida può immaginare: pareti bianche, lisce che sembrano le pagine della montagna apertasi al mondo per mostrare le sue viscere. Un anfiteatro bellissimo, con il Monte dell’Uccellina, Borla, Brugiana, le cime del Sagro e Gioia, sia dentro sia ai confini del parco naturale delle Alpi Apuane. 

Ma basta avvicinarsi e iniziare a salire per le ripide strade sterrate che tagliano le montagne per avere subito una diversa sensazione, per capire che quel bianco non è neve che si scioglie ma lo sfregio inferto alla natura per lo sfruttamento intensivo delle cave di marmo. Le alture sono mutilate, ferite aperte lungo i fianchi, le cime tagliate di netto. 

Il bianco della pietra riflette la luce e amplifica ancora di più, se mai ce ne fosse bisogno, il disastro ambientale. Evidenti i segni che si trovano nei grandi crateri delle cave, profondi, formati da giganteschi scalini alti anche dieci metri, nelle pareti tagliate di netto, nei crinali della montagna ancora coperti dalla vegetazione che si interrompe bruscamente per dare spazio agli scavi. Un orizzonte frastagliato, violato, con ettari ed ettari di bosco distrutti, che mette in primo piano come il lavoro dell’uomo stia erodendo, portando via, fetta dopo fetta, parti di questi rilievi montuosi per cercare un oro bianco che viene spedito in tutti e cinque i continenti. 

Un inquinamento ambientale tra i più gravi della terra, tanto che le cave di Carrara sono state inserite nella lista dei 43 paesaggi più distrutti al mondo nel nuovo documentario «Antropocene – L’Epoca Umana». Ogni anno, vengono scavati cinque milioni di tonnellate di marmo. Ma solo un quarto sono blocchi usati a livello artistico, mentre il resto, il vero affare, sono detriti di marmo che vengono trasformati in scaglie e poi in polvere, ottenendo così il carbonato, che viene usato per lavorazioni industriali, dalla pasta dentifricia alla carta e a tanti altri prodotti. 

Certamente qui si estrae il più pregiato e richiesto marmo al mondo. Sì, perché il marmo di Carrara, che è anche sinonimo di ricchezza e lusso: si trova nelle case, negli hotel, nei ristoranti e in importanti uffici pubblici da New York a Pechino, da Dubai a Nuova Delhi.

Estrazione che tiene in piedi l’economia della zona. Ma questo non ha impedito un confronto duro e serrato tra imprenditori ed ecologisti sull’apertura di nuove cave. Ad oggi ci sono circa cento cave che danno lavoro a poco più di mille dipendenti, i così detti cavatori, una comunità lavorativa con un forte senso di appartenenza. Poi c’è l’indotto, dai camionisti alla trasformazione e lavorazione. Si parla di più di 10mila addetti. Anche se il numero di chi è impegnato nella trasformazione e lavorazione va diminuendo di anno in anno. 

La monocultura del marmo ha dato da mangiare a molte famiglie della zona, ma il lavoro del cavatore è sempre stato un lavoro pericoloso e gli incidenti mortali sono ancora molti: dodici negli ultimi tredici anni. E più di 1200 feriti. Così come le conseguenze per la salute di chi respira la polvere di marmo ogni giorno. Un lavoro cambiato nel tempo grazie alla tecnologia ma che ha aumentato l’impatto ambientale. 

Una volta si usavano mazze e scalpelli e si estraevano piccoli blocchi di marmo, che venivano trasportati dai buoi e poi dai treni fino alle aree di lavorazione o di stoccaggio giù al porto, dove venivano imbarcati sulle navi. Per il taglio della pietra si è passati al filo elicoidale e per finire al filo diamantato dei nostri giorni. Accompagnato da macchinari, ruspe, scavatrici, camion. E così quello che una volta era il lavoro di un mese, oggi viene fatto in pochi giorni, aumentando l’impatto ambientale sulle montagne e l’inquinamento nella zona a causa di polveri, rumore, smog. 

A tutto questo si aggiunge la grave contaminazione causata dalla marmettola, la polvere di marmo, che viene abbandonata nelle cave e si disperde nell’ambiente a causa del vento, inquina le falde acquifere o viene portata via dalle piogge facendo diventare i fiumi della zona di colore bianco. 

Nella classifica del 2018 di Lega Ambiente sull’ecosistema urbano, la provincia di Massa-Carrara era alla posizione 102 su 104 totali. Le Alpi Apuane hanno una natura aspra e selvaggia ma occorre assolutamente riconoscere che l’impatto ambientale dell’escavazione del marmo è fortissimo e irreversibile. E bisogna avere bene in mente che il marmo è una risorsa che si esaurisce, non si rigenera, non è infinito e queste ferite, queste cicatrici sulle montagne rimarranno per sempre. 

Dall’alto delle cave il panorama è bellissimo: si vede la città di Carrara, con la sua forma a clessidra, che si allunga fino al mare. Ma bisogna aspettare il tardo pomeriggio per poter ammirare questo paesaggio senza i rumori dei macchinari estrattivi. E tenere lo sguardo fisso verso l’infinito senza guardare in basso la moltitudine dei bianchi, immensi, crateri delle cave.