In giapponese esiste una parola per indicare l’azione di comprare nuovi libri che si accumulano, in attesa di essere letti: tsundoku. Chiunque si riconosca in questa pratica e si ritrovi sempre con qualche nuovo titolo ogni volta che esce da una libreria, non deve più sentirsi in colpa. I libri, infatti, anche quelli non – ancora – letti, fanno bene. Secondo uno studio dell’Australian National University e dell’Università del Nevada, pubblicato di recente sulla rivista «Social Science Research», abitare tra i libri migliora i risultati scolastici e non solo. Gli adulti con la laurea, cresciuti in case dove i libri scarseggiano, hanno competenze di lettura e scrittura simili a chi, pur con un livello di studio inferiore (il primo anno della scuola secondaria superiore, secondo l’ordinamento statunitense) abbia avuto la possibilità di vivere tra romanzi e saggi.
Joanna Sikora, sociologa dell’Australian National University, è coordinatrice della ricerca e sostiene che essere stati a contatto quotidiano con i libri durante l’adolescenza fornisca le basi per diventare persone erudite e dia benefici, in termini di apprendimento, lungo tutto il corso della vita. Il potere educativo dei libri è stato riscontrato indipendentemente dal lavoro, dall’età e dal genere di appartenenza, su un campione di individui di trentuno paesi, tra i venticinque e i sessantacinque anni. I risultati non sorprendono, se si considera un’altra indagine del 2010, coordinata da Mariah Evans, sociologa dell’Università del Nevada, pubblicata sulla rivista scientifica «Research in Social Stratification and Mobility». In quell’occasione sono stati esaminati i dati provenienti da ventisette diversi Paesi ed è stata considerata la quantità di libri presenti in casa: chi cresce in un’abitazione con cinquecento volumi ha, in media, un vantaggio di tre anni e due mesi nel percorso scolastico rispetto a chi ha la libreria vuota. Evans spiega: «I libri hanno una conseguenza importante sull’educazione, sia in termini generali, sia in relazione ad altri fattori. Un bambino di una famiglia con la casa arricchita dai libri ha il diciannove per cento di probabilità in più di finire l’università di quante non ne abbia un coetaneo senza libreria. Crescere a contatto con i libri stimola il piacere di leggere, incoraggia discussioni familiari sui testi affrontati, fornisce informazioni, vocabolario, ricchezza di immaginazione, ampiezza di orizzonti e abilità di scoperta e gioco».
I benefici di una biblioteca personale erano stati teorizzati già da Umberto Eco, filosofo, medievista, semiologo, massmediologo e grande amante dei libri: nella sua casa a Milano, in piazza Castello, ne aveva trentacinquemila, di cui milleduecento antichi. «Una biblioteca di casa non è solo un luogo in cui si raccolgono libri: è anche un luogo che li legge per conto nostro» scrisse nel 1998 su «L’Espresso», nella sua rubrica La bustina di Minerva. «Credo che sia capitato a tutti coloro che hanno in casa un numero abbastanza alto di libri di vivere con il rimorso di non averne letti alcuni, che per anni ci hanno fissato dagli scaffali come a ricordarci il nostro peccato di omissione. Poi un giorno accade che prendiamo in mano uno di questi libri trascurati, incominciamo a leggerlo, e ci accorgiamo che sapevamo già tutto quel che diceva». Secondo Eco, la trasmissione del sapere dai libri che possediamo, anche se non li abbiamo ancora letti, avviene per una sorta di osmosi: spolverandoli oppure spostandoli per afferrarne altri, qualcosa del loro contenuto si trasmette, attraverso i polpastrelli, al nostro cervello. Inoltre, ogni volta che gettiamo uno sguardo, sbirciamo il retro di copertina, apriamo una pagina a caso, ne assorbiamo una parte.
Un’indagine delle scorse settimane, realizzata dall’Università di Newcastle, guidata da James Law, professore di Scienze del linguaggio, rivela che leggere con bambini e bambine dà loro un vantaggio linguistico di otto mesi. Potrebbero sembrare pochi ma non lo sono, soprattutto se tarati su chi ha meno di cinque anni. Il team ha scoperto che le abilità linguistiche ricettive, le capacità cioè di comprendere le informazioni, sono influenzate positivamente quando i piccoli in età prescolare leggono in compagnia di qualcuno che si prende cura di loro. Lo studio è stato condotto sia considerando i libri cartacei sia i supporti elettronici; sono stati esaminati gli effetti sulla comprensione dei testi, sull’espressione linguistica (come i bambini riescono a tradurre in parole i loro pensieri) e sulle capacità pre-lettura (come le parole sono strutturate).
Perdersi tra le pagine è salutare anche in età adulta. Non solo, come diceva Eco, «chi non legge, a settant’anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto cinquemila anni». Le persone che leggono regolarmente hanno livelli di stress minori di chi trascorre il tempo libero guardando la televisione oppure lo impiega su dispositivi elettronici come smartphone e computer. Sue Wilkinson, amministratrice delegata di The Reading Agency, organizzazione benefica britannica con la missione di promuovere la lettura, ha spiegato al quotidiano «The Standard» che «gli effetti curativi di un buon libro possono non sembrare un’idea rivoluzionaria, ma molti sono ancora all’oscuro dell’impatto tangibile sulla salute. È provato che leggere sia più efficace del sessantotto per cento nel ridurre lo stress piuttosto che ascoltare musica, del cento per cento di una tazza di tè, del trecento per cento di uscire per una passeggiata». Parole che trovano conferma in un sondaggio dello scorso aprile, condotto da una casa editrice italiana. Chi «consuma» almeno tre libri all’anno tende a dichiararsi più felice di chi non lo fa. L’ottantasette per cento delle lettrici e dei lettori assidui, inoltre, afferma di riuscire ad instaurare migliori relazioni con gli altri.