Tempi tecnologici e società

All’Università della Svizzera italiana un ciclo di conferenze esplora il significato del tempo
/ 06.02.2017
di Loris Fedele

Se avete tempo parliamo di tempo. Non l’hanno detto così, ma sembra questo lo spirito che ha animato e animerà una iniziativa della Società ticinese di scienze naturali in collaborazione con L’ideatorio. Si tratta di un ciclo di conferenze tenuto presso l’Università della svizzera italiana sotto il titolo di Il tempo. Parlare del tempo, non di quello meteorologico, è forse facile, ma capire veramente cosa sia e darne una definizione univoca è difficilissimo. Filosofi, poeti, scienziati l’hanno studiato e propongono le loro risposte. 

Il ciclo di conferenze cerca di vederlo con gli occhi dei biologi, degli astronomi, dei paleontologi e di chi si occupa di tecnologie. «Diamo tempo al tempo» non vuol dire comandarlo e concedergli qualcosa, ma piuttosto di lasciare che il tempo scorra per vedere cosa succederà. In effetti il tempo riusciamo a coglierlo solo in termini di evoluzione e cambiamento, anche se avvertiamo che deve esserci dell’altro. 

Il primo incontro nel ciclo di conferenze è stato dedicato alla tecnologia e alla comunicazione: «Come cambia il tempo nel mondo tecnologico», tema presentato dal giornalista Paolo Attivissimo e dal professor Lorenzo Cantoni. Parlare di tempo sembra per lo più un argomento filosofico ma, di fatto, è parlare della nostra società e di come evolve. Non c’è più il tempo di una volta, possiamo dirlo. Ci sembrava di avere più tempo, ci sembrava che i nostri giorni fossero più lunghi, con più spazi da riempire. Poi è arrivata la tecnologia, che in un certo senso ci ha spiazzato. Abbiamo computer, telefonini, tablet, orologi che scandiscono la giornata e le nostre azioni, ma la dimensione vera del tempo ci sfugge completamente. Con tutte le macchine che abbiamo in giro e che utilizziamo non abbiamo mai tempo. La tecnologia ci ha tradito? O forse siamo noi che ci siamo illusi di comandare il tempo con le nostre macchine? Facile per noi muoversi nello spazio, avanti e indietro, ma il tempo è un’altra cosa: ogni minuto che passa è un tempo che non torna. Allora dobbiamo trovarci una tecnologia che ce lo faccia risparmiare. La tecnologia, per esempio, ci ha dato gli elettrodomestici, come la lavatrice: meravigliosa soluzione! Ci fa risparmiare molta fatica e ben venga. Ma in termini di tempo? Sì, anche quello, però ci invoglia anche a fare più macchine, a lavare di più. Allora il tempo guadagnato si allunga: laviamo di più, stiriamo di più e alla fine abbiamo meno tempo. 

La colpa non è della tecnologia, è colpa nostra. È colpa dell’uso che ne facciamo. La tecnologia modifica la nostra vita e controlla la società. L’arrivo del computer, di internet e degli smartphone ha cambiato il modo di vivere nei paesi industrializzati, e non solo. Il nostro tempo viene anche stabilito dall’attenzione che oggi regaliamo ai social network. Quel tempo che noi pensavamo di guadagnare con la tecnologia lo stiamo spendendo per alimentarla. Quando usiamo queste nuove tecnologie in pratica lavoriamo anche per qualcun altro, e non ce ne accorgiamo. Siamo noi che diamo i contenuti, con i nostri messaggi, con la condivisione delle nostre fotografie, intorno ai quali il social network inserisce delle pubblicità sulle quali guadagna. Un dato ufficiale indica che ogni mese Facebook guadagna, in pratica sul nostro lavoro, un miliardo di dollari. Nel mondo il consumo di tempo su internet per persona, tra i 16 e 24 anni, è di 168 minuti al giorno. Un dato Swisscom indica che negli ultimi 2 anni le connessioni da noi sono aumentate del 25%, con circa 2,5 ore passate giornalmente sul telefonino o su un tablet. 

Forse non è nemmeno giusto dire che passiamo tot minuti al giorno su internet: se abbiamo acceso in tasca un telefonino con diverse funzioni, che ci collegano agli amici, ai parenti e al mondo, siamo connessi sempre. Nel momento in cui riceviamo un messaggio entriamo nel meccanismo dell’impiego del nostro tempo. È molto utile poter comunicare con qualcuno in maniera asimmetrica, a prescindere persino dal luogo in cui si trova: poter lasciare un messaggio che prima o poi verrà letto e al quale il destinatario risponderà, gestendo asimmetricamente il suo tempo e il nostro.

Qui si inserisce un altro fenomeno perché, quando si scrive sul telefonino o altro supporto, il tempo che ci si mette è decisamente superiore a quello di una conversazione verbale diretta, simmetrica. Per quanto siate veloci nel digitare, in un minuto direte molte meno parole di una normale comunicazione verbale. Quindi paradossalmente questa tecnologia ci rallenta. L’utilità non si discute, ma in termini di tempo si perde, e anche in valore e qualità dell’informazione. Questo modo di comunicare ci impone di essere brevi, scarni e concisi. Per esprimere un’idea si usano sempre meno parole e sempre quelle. L’essere più elementari porta anche a perdere contenuti. Se poi guardiamo alla miriade di prodotti preconfezionati che la rete ci propone si riscontra una tendenza pericolosa: prendiamo quel che c’è e per mancanza di tempo siamo propensi a delegare ad altri l’approfondimento delle informazioni. Nasce una deresponsabilizzazione pericolosa.

Un altro pericolo sta nel credere che tutte le informazioni che troviamo sulla rete siano vere. È difficile distinguere la differenza qualitativa delle fonti: le immagini sono tutte uguali, la grafica è simile, il sito più attendibile è messo in rete sullo stesso piano del messaggio di un qualsiasi creatore di «bufale». È ciò che ci porta alle «fake news», le post-verità false, di cui si è molto parlato verso la fine della campagna elettorale americana. Se poi la notizia non porta la data, è difficile capire se è fresca o passata. Si assiste al fenomeno del cosiddetto «presente eterno». Tutto è come se fosse successo adesso e si perde la prospettiva temporale. 

Facciamo fatica a gestire il tempo ma il tempo è nostro, come nostra è la tecnologia, inventata da noi per rispondere a un bisogno. È solo quando deleghiamo passivamente alla tecnologia la gestione del nostro tempo che rischiamo di farci male. Cerchiamo quindi di vivere il tempo della tecnologia godendone i vantaggi, ma non perdiamo la nostra umanità.

I prossimi appuntamenti del ciclo sono: lunedì 13 febbraio, Il tempo nelle cellule. Perchè la vita non è eterna? Con Andrea Alimonti; lunedì 6 marzo, Il tempo dell’umanità. Da dove veniamo? Con Telmo Pievani.