Storie di straordinaria follia

Sport - Un record, che non è un record. Il keniano Eliud Kipchoge ha abbattuto il muro delle due ore nella maratona. Per la gloria, e non solo
/ 28.10.2019
di Giancarlo Dionisio

Provate a correre su una comoda pista di atletica, dandovi un ritmo regolare. Contate bene nella vostra testa: uno, due, uno, due… Sono certo che inconsciamente, il meccanismo perfetto che mette in relazione mente e fisico, piano piano, comincerebbe ad avere un calo di regime. Magari dopo uno o due minuti, forse più tardi. Dipende dalla vostra condizione fisica. Provate invece a svolgere lo stesso esercizio con un ritmo che vi viene dall’esterno, da una macchina che non sgarra neppure di una frazione infinitesimale di secondo. Sono convinto che riuscireste a mantenerlo più a lungo. Azzardo: per tre, quattro minuti, forse di più, se avete la tempra del combattente, e siete disposti a farvi del male. Tuttavia voi non siete delle macchine. Il vostro corpo tenderà a difendersi, quindi manterrà il ritmo suggerito dalla macchina, ma inconsciamente accorcerà la falcata.

Da ultimo immaginatevi la stessa situazione con un’ulteriore variante. Davanti a voi, su dei binari, corrono dei fantocci che viaggiano in modo regolare, programmati per il conseguimento di un determinato riscontro cronometrico. Ebbene, scommetto che, grazie allo spirito di emulazione, anche il vostro rendimento ne otterrebbe un beneficio. Così si sono svolti i fatti lo scorso 12 ottobre al Prater di Vienna, quando Eliud Kipchoge ha infranto per la prima volta il muro delle 2 ore. Il 35enne keniano ha percorso i 42 km e 195 metri della maratona in 1 ora, 59 minuti e 40 secondi. Ciò significa 2’50 al km, a una media oraria di 21 km e 156 metri. Pazzesco!

La IAAF, Federazione Internazionale di atletica, non riconoscerà questa prestazione stratosferica come nuovo primato mondiale, poiché ottenuta in condizioni anomale. Kipchoge ha potuto beneficiare di 41 lepri, suddivise in più gruppi, che gli hanno garantito il ritmo ideale per firmare l’impresa. C’erano lepri iper-illustri, come i fortissimi amici Bernard Lagat ed Eric Kiptanui, lo svizzero Julien Wanders, recordman europeo della mezza maratona, lo statunitense Matt Centrowitz, oro ai Giochi Olimpici di Rio de Janeiro sui 1500 metri, i tre formidabili fratelli norvegesi Henrik, Filip e Jakob Ingebrigtsen. Insomma, Kipchoge è stato pilotato da uomini di fondo, e di mezzofondo, che si sono alternati ad arte, secondo una tabella prestabilita.

Certo, non si deve sottovalutare il fatto che in definitiva il ritmo imposto dalle lepri andava seguito, e in questo Eliud Kipchoge è stato impeccabile. Qualcuno obietterà che anche nei normali meeting di atletica ci sono le lepri, ciò nonostante gli eventuali record ottenuti vengono omologati. Vero. Tuttavia, in quelle circostanze, il numero delle lepri è ridotto all’osso. Inoltre, dettaglio tutt’altro che insignificante, in pista ci sono anche gli avversari, che lottano per la vittoria, che spezzano il ritmo, che dettano coordinate tattiche non necessariamente tese al conseguimento di un primato. In sostanza è gara vera, così non è stato al Prater di Vienna.

Allora è lecito chiedersi: perché tanta fatica? Da un lato posso immaginare la smania del protagonista di proiettarsi ulteriormente nella storia dell’atletica. Tutti coloro che abbattono muri emblematici vengono ricordati più a lungo. D’altro canto è facile intravedere una robusta operazione di marketing. L’evento viennese è stato sponsorizzato da un importantissimo marchio britannico attivo nell’ambito energetico, lo stesso che dallo scorso maggio sostiene il team ciclistico di Froome, Thomas e Bernal. Così come da un colosso dell’abbigliamento sportivo, che aveva già sostenuto una manifestazione simile il 6 maggio del 2017 nell’autodromo di Monza. In quella circostanza Kipchoge aveva fallito l’obiettivo per 25’’.

A Vienna, le lepri hanno preso il via con una canotta nera, mentre l’eroe keniano era in bianco. Tutte le casacche rispettavano una linea sobria con il nome della multinazionale del petrolio sul petto, e la mitologica virgoletta all’altezza del cuore. Credo che anche la IAAF, pur non riconoscendo il record, abbia guardato all’evento con soddisfazione. L’atletica mondiale è alla ricerca di personaggi e di storie che possano compensare l’uscita di scena dell’unico vero fenomeno mediatico dell’ultimo decennio: Fulmine Usain Bolt.

Non so se questa sia la via giusta. A me ha ricordato la fabbrica di Tempi moderni di Charlie Chaplin, in cui, come del resto accade nella realtà industriale, è la macchina a imporre il ritmo all’essere umano. Mi restano tuttavia una consolazione e una certezza. Kipchoge è un campione vero. Un campione di serietà e di longevità. Non a caso, nel lontano 2003 a Parigi, si era laureato campione mondiale dei 5000 metri, quando non aveva ancora compiuto 19 anni. Non a caso è il campione olimpico in carica della maratona. Non a caso è il detentore del record mondiale sulla distanza: 2 ore, 1 minuto, 39 secondi, corsi il 16 settembre del 2018, a Berlino, in un contesto in cui si sono affrontati, diciamo così, migliaia di «umani».