Stare insieme in famiglia

Psicologia – I genitori dovrebbero educare i bambini allo stare insieme fin dalla nascita: un lavoro di «senso di appartenenza familiare» indispensabile per il benessere individuale come spiega lo psicologo Pierre Kahn
/ 22.07.2019
di Alessandra Ostini Sutto

Ci troviamo circa a metà delle tanto agognate vacanze estive dei nostri bambini o ragazzi. Un periodo relativamente lungo, caratterizzato da un ritmo diverso da quello del resto dell’anno e che comporta il fatto di passare più tempo assieme, sia a casa che quando si parte per la meta prescelta per le ferie.

Queste considerazioni ci hanno portato a riflettere sul concetto di «stare insieme in famiglia» e sulla necessità di educare i propri figli in tal senso. La famiglia non è infatti qualcosa di acquisito – per mezzo dei vincoli di sangue che ne accomunano i membri – ma qualcosa che va costruito e coltivato.
Di queste tematiche abbiamo parlato con lo psicologo e psicoterapeuta Pierre Kahn, che esercita nel suo studio di Mendrisio. 

Signor Kahn, nel suo lavoro lei applica una psicoterapia sistemica. In che misura essa è pertinente con il tema di cui vogliamo parlare?
Il mio modello di lavoro come psicoterapeuta diventa, in questo caso, una sorta di griglia di lettura, dal momento che considera la famiglia come un sistema, composto da singole persone: se funziona bene, i singoli ne beneficiano per la loro crescita, rinforzando al contempo il sistema stesso. Si parla in questo caso di «auto-rinforzo reciproco», un concetto sicuramente importante in relazione al tema di cui ci stiamo occupando.

E a tal proposito, cominciamo con l’esplicitare perché è importante educare i bambini allo stare insieme in famiglia…
Ciò è importante sia per il loro sviluppo individuale, sia per accrescere il loro sentimento di appartenenza, protezione e benessere.

Nel 1954 lo psicologo Abraham Maslow propose un modello motivazionale dello sviluppo umano basato su una gerarchia di bisogni, nel quale la soddisfazione di quelli più elementari è la condizione per fare emergere quelli di ordine superiore. In questa piramide dove si situa la tematica che stiamo trattando?
Alla base della Piramide di Maslow ci sono i bisogni primari, fisiologici. Con il nostro tema, ci situiamo al secondo e terzo livello, rispettivamente quello della sicurezza fisica e psicologica e quello dell’appartenenza e dell’affettività familiare. Ricevere risposta a questi bisogni risulta indispensabile per raggiungere i livelli più alti della piramide, quello relativo all’autostima e quello nel quale il soggetto potrà realizzarsi attraverso dei progetti sognati, attendibili e possibili. Questo perché nel frattempo avrà imparato nel sistema familiare la moralità e altri valori come la creatività e la capacità di risolvere situazioni difficili.

Vista l’importanza dell’educazione allo stare insieme, concretamente, in che modo essa va attuata?
Implicando quotidianamente i bambini – naturalmente tenendo conto della loro età – in tutti gli aspetti dello stare insieme. E con questo intendo nei momenti belli, condividendo e spiegando, ma pure in quelli difficili, che diventano esperienza del dolore momentaneo che ci può essere in qualsiasi situazione e di come esso possa venir superato. Questo lavoro di «senso di appartenenza familiare», ma anche di benessere individuale, va intrapreso fin dalla nascita del bambino. Se ciò non avviene, avremmo – prendendo l’immagine della casa – delle fondamenta fragili, che potrebbero crollare nel tempo.

Con quali rischi evolutivi?
Inizialmente i rischi riguardano la visione o la «lettura» che il bambino ha del proprio sistema di appartenenza. Concretamente, egli potrebbe cominciare ad avere pensieri del tipo «devo contare solo su di me» oppure «è meglio non contare sugli altri» che possono portarlo troppo precocemente da un lato a distanziarsi dagli altri, dall’altro a sovrastimarsi, o ancora ad evitare le relazioni perché fonte di indifferenza da parte dell’altro o di sofferenza più che di piacere. Gli mancherà inoltre probabilmente il valore del rispetto reciproco e la capacità di immedesimarsi nell’altro. Un individuo con questo tipo di vissuto farà poi verosimilmente fatica a salire i piani della piramide di Maslow di cui parlavamo e rischierà di perdere dei pezzi essenziali per la sua costruzione individuale coerente evolutiva.

Dall’altro lato invece in che modo i momenti di qualità trascorsi in famiglia possono influenzare lo sviluppo psicofisico dei bambini?
Questi momenti influenzano la crescita individuale, in particolare il sentirsi sicuri, capiti, accettati, capaci, ma anche il piacere di stare assieme e di condividere i vari aspetti della vita di tutti giorni.

Lo stare insieme cambia nel tempo; qual è la situazione attuale e da quali fattori è principalmente influenzata?
Lo stare assieme è effettivamente molto cambiato rispetto al passato. Nelle famiglie patriarcali o matriarcali, per esempio, era legato al podere, quindi ad una situazione economica determinante per la coesione del nucleo familiare. I figli, allora, erano una necessità, per avere forza lavoro e per la successione. Oggi, al contrario, sono spesso visti come un onere finanziario gravoso, quasi un lusso. Le statistiche di nascita, perlomeno in Europa, ci danno la misura di questa affermazione. Oggi, inoltre, bisogna voler stare assieme. Bisogna cioè creare un progetto di vita familiare e avere la volontà di condividerlo.

In che misura, nelle odierne famiglie, i dispositivi elettronici influenzano lo stare assieme?
Essi possono indubbiamente essere un freno o un ostacolo alle relazioni. Dal mio punto di vista quindi più tardi arrivano nella vita del bambino meglio è. Considerando però che la tendenza in atto è l’esatto opposto, diventa fondamentale il ruolo limitativo dell’adulto, che deve educare il bambino a gestire questi strumenti, sia in termini di qualità che di quantità di tempo, ma soprattutto deve attivarsi per creare delle alternative accattivanti che riescano a fare emergere il piacere di stare insieme senza questi mezzi.

Dal punto di vista dei genitori, sembra più facile proporre delle attività per stare assieme quando i bambini sono piccoli piuttosto che, per esempio, durante l’adolescenza. Che consigli si sente di dare a riguardo?
Innanzitutto ribadisco che è anche in vista di queste fasi critiche che vanno poste delle basi solide durante la prima infanzia. Detto ciò, effettivamente, nell’adolescenza, per questa e per altre tematiche, ci può essere un momento di apparente «rottura» o comunque di forte contrasto, che può portare il genitore a pensare che tutto quanto costruito in precedenza sia sbagliato. Se però abbiamo seminato bene, abbiamo cioè instaurato una relazione significativa prima, questo momento passerà e ci sarà di nuovo il piacere di stare assieme. Bisogna saper essere pazienti. Ai genitori consiglio sempre di non scoraggiarsi ma di continuare ad esprimersi, di dire la loro, di dare i propri consigli senza aspettarsi che i figli li seguano immediatamente come succedeva quando avevano sei o sette anni. Però loro sono in ascolto e ne tengono conto; registrano, elaborano e modificano. Questa è la mia esperienza con gli adolescenti.

Tra le attuali tendenze, c’è quella di occupare molto del tempo libero dei figli, con la conseguenza che i genitori assumono un ruolo passivo, di «accompagnatori»…
Fare svolgere delle attività ai figli – fisiche, creative, musicali,... – permette al bambino di fare nuove esperienze esplorative, stare e confrontarsi con gli altri, misurarsi con se stesso. Le attività extra-scolastiche possono, tra l’altro, essere degli ottimi antidoti ai dispositivi elettronici di cui parlavamo prima, a patto, ovviamente, di non essere dei semplici riempitivi. In questo ambito, il tragitto per accompagnare i figli, che ha spesso una connotazione negativa, dovrebbe invece essere visto come un’occasione di scambio, di confidenze, di rassicurazione, comunque come un momento di condivisione.

Signor Kahn, lei è padre di due figli, poco meno che trentenni. Come giudica la sua esperienza genitoriale nell’ottica del tema di cui ci stiamo occupando?
Io ho sempre sostenuto un «mio» concetto: mi sono sempre detto, ho sempre detto a mia moglie e anche i nostri figli, che quando avrebbero avuto una certa maturità, sarebbe arrivato il momento in cui loro avrebbero potuto giudicare il nostro operato e in cui gli eventuali nodi sarebbero venuti al pettine. Questo significa che bisogna investire tanto, dare il meglio, anche in funzione di questo momento. Perché superare questo esame dà una gioia enorme e ricompensa i tanti sacrifici fatti.