Sopravvivere allo smartphone

Si può ancora evitare che le serate in famiglia diventino dei soliloqui con il cellulare?
/ 11.12.2017
di Simona Ravizza

Il grido è ripetuto in una giornata da praticamente tutti i genitori: «Metti via quel cellulare». Adesso l’appello/supplica, che si trasforma spesso in rimprovero/fonte di arrabbiatura, diventa il titolo di un libro dello scrittore e giornalista Aldo Cazzullo (ed. Mondadori, settembre 2017): in una conversazione con i figli Francesco e Rossana, a rischio di rimbecillirsi come tutti gli adolescenti eternamente attaccati allo smartphone, emerge lo sfogo di un padre desideroso di riuscire a conversare in famiglia senza vedere volti perennemente inchiodati sul telefonino, ma contemporaneamente c’è la replica dei due giovani e del perché per loro il cellulare è tanto importante.

È il dialogo che ormai accompagna la famiglia contemporanea e che allo stesso tempo rappresenta uno spaccato della nostra società. Il primo smartphone di solito viene regalato a undici anni per la promozione di quinta elementare: da quel momento (se non prima ancora) iniziano serrate trattative di regole per l’uso quotidiano e soprattutto nei fine settimana. Limiti indispensabili perché, da mamme e papà, è difficile non condividere la provocazione di Cazzullo: «La rivoluzione digitale è il più grande rincoglionimento di massa nella storia dell’umanità». Con serate in famiglia che non sono più serate, ma soliloqui con il cellulare: lo stesso vale per le cene e le vacanze. In una perenne lotta contro il telefonino. C’è da capire se è una battaglia che gli adulti possono vincere e, successivamente, come comportarsi. L’impegno è spingere i figli a vivere una vita reale e non una virtuale. 

Non usare il telefonino durante i pasti, non tirarlo fuori quando ci sono ospiti in casa né tantomeno «whatsappare» quando mamma e papà chiacchierano con te, non sostituirlo mai al gioco con gli amici, spegnerlo la notte sono le regole-base. Ma regolamentare tutte le situazioni e prevedere tutte le insidie del cellulare è impossibile. L’unico vero limite da imporre sarebbe quello utile ad evitare il rimbecillimento da smartphone. Ma qual è? E soprattutto fino a che punto possiamo spingerci nei divieti? 

Michele Facci, psicologo clinico e forense di Trento, si occupa in particolare di infanzia, adolescenza e genitorialità ed è autore del manuale Generazione Cloud. Essere genitori ai tempi di smartphone e tablet (ed. Erickson, 2013): «È soprattutto una questione di background educativo – spiega ad “Azione” –. Se le prime regole che i genitori danno ai figli arrivano con la preadolescenza e il telefonino, è certamente difficile essere ascoltati. I bambini devono crescere fin da piccoli con l’autorevolezza e non con l’autorità: il problema non è l’uso del cellulare, ma riuscire a impostare con loro durante la crescita un dialogo costruttivo su come bisogna comportarsi. Può essere utile, in ogni caso, farli immedesimare nelle situazioni con frasi del tipo: “Se quando parli con una tua amica, lei fissa il cellulare e ti ascolta con un orecchio solo, sei contento? Lo stesso vale per te quando sei con gli altri, a partire da mamma e papà”». Nel libro Le nostre anime di notte di Kent Haruf, la coppia di settantenni Addie Moore e Louis Waters riesce a strappare dal telefonino Jamie, nipote di sette anni di Addie, con il baseball, l’amicizia di un cane e il dialogo. Senza mai vietare l’uso del cellulare che, semplicemente, a un certo punto smette di essere la cosa più interessante per il bimbo. Ma la regola più importante, forse, è il buon esempio: «Se i figli ci vedono perennemente connessi, anche quando siamo con loro – ragiona Facci –, come possiamo pretendere un comportamento contrario?».

Del resto, il pensiero degli adolescenti è lo stesso dei figli di Cazzullo: «Non e vero che il telefonino ci isola dal mondo, ce lo crea. Possiamo decidere di stare soli, o possiamo decidere di stare con gli altri. Possiamo spegnerlo e uscire con gli amici, o confrontarci con gli stessi amici stando a casa. Ormai ci è indispensabile per studiare, per leggere, per scrivere; anche a scuola, se usato bene». Ma da Francesco e Rossana arriva anche un’ammissione importante: «I cellulari possono portare a qualcosa anche peggiore dei litigi: l’indifferenza. Ci capita spesso di vedere famiglie in un ristorante che sono sedute insieme, ma non si parlano, perché sono tutti incollati a uno schermo, ognuno il suo. E ci dispiace ammetterlo, ma ogni tanto capita anche a noi di venire risucchiati in questo vortice, quasi senza rendercene conto».

Un’applicazione appena messa sul mercato USA da Google, la app Family link, permette ai genitori sia di decidere la tipologia dei file che i bambini possono scaricare sia di impostare limiti di tempo. Una sorta di vigile dello smartphone, che controlla le applicazioni scaricate e permette di capire in base ai minuti di utilizzo puntualmente riportati, come i bambini usano il cellulare. Ma prima d’affidarci alla tecnologia per imporre ai nostri figli i limiti che come genitori non riusciamo a far loro rispettare, bisogna riflettere su un aspetto: il telefonino troppo spesso rischia di essere un alibi delle mamme e dei papà. È quel che spiegano bene al padre Francesco e Rossana: «I cellulari non vi impediscono di parlarci, non ci rendono completamente alienati e incapaci di apprezzare gli stimoli che ci date. Sai che odiamo sentirci dire che usiamo i telefonini come una barriera per isolarci, anche se a volte è più facile rifugiarci nei nostri piccoli mondi ed evitare il confronto diretto. Ma non devi pensare che lo smartphone possa sostituire la figura del genitore, semmai spesso sono i genitori a utilizzarli per distrarre i loro figli, come magari anche tu da piccolo venivi messo davanti alla televisione. Voi mantenete sempre il vostro ruolo fondamentale di trasmettere valori, passioni e interessi». Una riflessione che può essere un monito importante per tutti noi genitori.