Sono forte perciò non ti picchio

Sport - Il ruolo delle arti marziali nell'educazione alla non violenza, al rispetto e all'armonia
/ 20.01.2020
di Giancarlo Dionisio

Il ragazzo è steso a terra. In posizione fetale. Quasi non ha più voce per implorare pietà. Pur di farli smettere, ha offerto tutto ciò che aveva: orologio, telefonino, soldi, giubbotto. Niente da fare. La banda di piccoli delinquenti non sente ragione. Insiste con pugni e calci ovunque. Arriva la pattuglia. I persecutori fuggono. Forse, per il ragazzo, è già troppo tardi.

È la squallida, brutale, vile legge del branco. Non ci sono iniziative, petizioni e referendum che la possano abrogare. Serve semplicemente educazione. Educazione alla non violenza, al rispetto, all'armonia. Chi se ne occupa? O meglio, chi se ne dovrebbe occupare? Le istituzioni educative tradizionali sono in crisi. Un numero sempre più elevato di famiglie è alle prese con problemi più primordiali: far quadrare il bilancio, garantire il minimo vitale a tutti i membri, sommando due o più lavori sottopagati.

Situazioni che provocano rabbia, frustrazione, insicurezza. Altri sono invece vittime della smania di incrementare continuamente il proprio capitale e il proprio potere. Altro che trovare tempo e lucidità per applicare sani principi. Dal canto suo la scuola fa fatica a reggere il passo con la tracotante maleducazione di altri modelli educativi. I Social media hanno sdoganato linguaggi e comportamenti che solo 10-15 anni fa erano inimmaginabili. I giovani sono più propensi a seguire quelli. Sono più facili da assimilare, rispetto a quelli che provengono dalla scuola. 

I social media non hanno barriere sociali. I loro valori travalicano ogni filtro e contaminano anche chi ha vissuto l’infanzia e l’adolescenza nella bambagia, ricoperto da regali e denaro. La recente cronaca locale ce ne ha fornito la testimonianza. In questo affresco dalle tinte drammatiche esistono, per fortuna, delle isole felici che possono essere fonte di speranza: le scuole di arti marziali. Che si tratti di Kung fu, Karate, Taekwondo, Judo, o altro, hanno tutte una matrice comune. Sono nate nel lontano Oriente, per aiutare l'individuo a difendersi imparando a combattere con maggiore efficacia. Non a caso il loro nome ricorda Marte, il Dio della guerra. 

Si sono nel tempo trasformate in una sorta di luogo in cui attivare un processo di crescita per il corpo e per la mente. Spesso associate alla meditazione, sono diventate col passare di secoli e decenni, autentiche discipline spirituali. Anni fa un maestro mi disse: «Se entri in una scuola di arti marziali da picchiatore, ne esci in veste di difensore dei deboli». Uno dei concetti fondamentali del loro insegnamento, al di là della capacità di attingere alle forze della mente per sopportare privazioni e dolore, è quello della consapevolezza dei propri limiti e soprattutto della responsabilità della propria energia. 

Come dire: «Ricordati che puoi fare male, molto male». I delinquenti della scena iniziale, con ogni probabilità, non avrebbero aggredito la vittima, se fossero stati da soli. Caso mai questo potrebbe essere un comportamento da squilibrato. No, l'aggressione avviene solo quando e perché si è in tanti contro uno. Ci si sente al sicuro. Il «nemico» non riuscirebbe a sovvertire le sorti del combattimento neppure se fosse Bruce Lee. La garanzia di «successo» è totale!

Come ovviare a questa barbara stupidità? Non esistono ricette. Qualche indicazione tuttavia la può fornire il mondo dello sport. Probabilmente non quello con la «S» maiuscola, quello che brucia e dispensa miliardi su miliardi.

Sicuramente quello di base, che insegna, o dovrebbe insegnare, alcuni semplicissimi valori fondamentali: il rispetto delle regole e delle persone, l'educazione al successo e l'accettazione della sconfitta. In fondo basterebbe pochissimo: da parte di genitori e famigliari un po’ più di tempo per giocare con i propri figli: in casa, su un prato o in un bosco, senza barare, aiutando il pargolo a vincere onestamente e a perdere serenamente. 

Da parte di allenatori e monitori servirebbe un po’ più di consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo. Pensate a quanti giovani trascorrono ore ed ore nell’ambito di un’associazione sportiva, scoutistica o culturale. Perché non immaginare che questi ragazzi possano uscire allo scoperto come testimoni della pace e della non violenza? Perché non ipotizzare che possano ergersi a paladini della lotta al bullismo e alla sopraffazione? 

Fare una classifica fra le varie aree sportive può risultare antipatico, e soprattutto ne uscirebbe una graduatoria figlia di un’ingiusta approssimazione. Ovunque ci sono individui che lavorano bene. Ovunque ce ne sono di quelli (si spera una netta minoranza), che provocano danni a volte irreparabili. Mi sento però di affermare, per esperienza personale, che, in questo ambito, le scuole di arti marziali hanno una carta in più. Anzi tutto possono far sfogare le pulsioni dei loro praticanti su un tatami o su un ring, nel pieno rispetto di regole e di principi etici. Inoltre, sono vincolate da un codice di comportamento rigorosissimo: se sbagli paghi, anche con l’allontanamento dalla palestra. Tuttavia, nessun bravo maestro vorrebbe privarsi di un suo discepolo. Quindi, statene pur certi, farebbe di tutto per mantenerlo sotto le proprie ali protettrici e per farlo crescere sano, forte, ma soprattutto onesto e consapevole.