Lo si diceva già da tempo: la possibilità di misurare le onde gravitazionali avrebbe segnato l’inizio di una nuova era per l’astronomia. A due anni di distanza dalla prima conferma sperimentale, il potenziale scientifico dell’astronomia gravitazionale appare più imponente che mai.
Finora, ben quattro misurazioni di onde gravitazionali (l’ultima delle quali compiuta anche dal rilevatore europeo Virgo, costruito nei pressi di Pisa) hanno permesso di identificare uno scontro tra due buchi neri all’origine di ogni segnale, e sono valse il premio Nobel per la fisica di quest’anno a Kip Thorne, Rainer Weiss e Barry Barish, personalità che giocarono a loro tempo un ruolo decisivo per il successo dell’esperimento. Come discusso in un precedente articolo [«Azione» del 25 luglio 2016], si è trattato di un balzo in avanti formidabile: i buchi neri, fino a quel momento osservabili solo in modo indiretto, sono infine entrati a pieno titolo nel panorama astronomico.
Ma la storia delle onde gravitazionali ha un secondo protagonista, altrettanto importante: la stella di neutroni. Furono infatti i sistemi binari di stelle di neutroni ad essere ipotizzati, ancor prima dei buchi neri, come potenziali sorgenti di onde gravitazionali, e fu sempre una binaria di questo tipo, scoperta da Hulse e Taylor negli anni 70, a fornire la prima evidenza indiretta dell’esistenza di onde gravitazionali [si veda anche «Azione» del 27 giugno 2016]. Si tratta di oggetti estremamente densi, ultimi residui di una stella di grandi dimensioni che ha ormai esaurito tutto il suo combustibile nucleare, e la cui materia è di fatto ridotta a neutroni schiacciati l’uno contro l’altro per far fronte all’enorme attrazione gravitazionale. La struttura di una stella di neutroni è governata dalle leggi della fisica nucleare, quasi come se si trattasse di un unico, enorme nucleo atomico, poco più pesante del Sole e del diametro di una ventina di chilometri. Ma, anche a causa dell’impossibilità di riprodurre queste condizioni estreme in laboratorio, i modelli teorici finora a disposizione sono ancora soggetti a grande incertezza.
Come detto, già da molti anni si teorizza che uno scontro tra due stelle di neutroni possa emettere onde gravitazionali, in modo simile a quello che succede nel caso di due buchi neri. Due stelle di neutroni che si trovino abbastanza vicine da cadere sotto l’influsso gravitazionale reciproco comincerebbero a ruotare l’una attorno all’altra, emettendo onde gravitazionali e muovendosi lungo cerchi sempre più stretti fino all’inevitabile collisione. Il risultato finale sarà la fusione dei due oggetti in un’unica stella di neutroni, o addirittura in un buco nero.
Ma se nel caso di uno scontro di due buchi neri non viene emessa luce, dal momento che la loro superficie è una barriera da cui nulla può uscire, ci si aspetta che una collisione tra due stelle di neutroni sia al contrario molto luminosa, e dunque osservabile anche con altri strumenti. E questo le rende, in un certo senso, degli oggetti ancora più interessanti.
A questo punto dobbiamo aprire una parentesi, perché stiamo affrontando un concetto complesso, e accennare ai cosiddetti lampi gamma (in inglese gamma-ray bursts). Si tratta di intensi flash di raggi gamma scoperti per caso negli anni 60 da satelliti statunitensi che erano stati messi in orbita con lo scopo di monitorare le radiazioni gamma dovuti all’attività nucleare sovietica. Vennero infatti misurati alcuni segnali che non sembravano corrispondere a nessun test atomico, e in seguito, grazie all’uso combinato di più satelliti, si poté stabilire che la provenienza di questi segnali non era terrestre. Da allora, capire quale fosse l’origine dei lampi gamma è rimasta una delle domande irrisolte dell’astrofisica. Negli anni 90 si osservò che i lampi gamma possono provenire da ogni direzione, senza alcuna preferenza per le regioni del cielo dove è collocato il disco della nostra galassia. Questo significava che la loro origine fosse da ricercare in altre galassie, ponendo però un nuovo problema. Per essere degli eventi così lontani da noi, erano incredibilmente luminosi. Era difficile immaginare un meccanismo in grado di emettere quantità di energia tanto grandi in così poco tempo. Col passare degli anni si è capito che i lampi gamma sono in realtà dei fasci emessi in una direzione ben precisa, dunque estremamente concentrati, il che permetteva di spiegare un po’ meglio la loro intensità. Sarebbero stati osservati solo nel caso in cui questo fascio fosse orientato in direzione della Terra. Di recente si è cominciato a sospettare che i più brevi fra i lampi gamma (della durata massima di pochi secondi) siano dovuti proprio a uno scontro tra stelle di neutroni.
Inoltre, nel 2010, un modello teorico portò all’ipotesi che una collisione di stelle di neutroni avrebbe causato anche un altro tipo di fenomeno luminoso, che è stato definito una «kilonova»: più debole di una supernova e della durata di qualche giorno soltanto, nel cielo apparirebbe come una stella luminosa quanto una piccola galassia. Il motivo di tutta questa luce è da ricercare nel decadimento di atomi radioattivi formati al momento dello scontro, come se un’immensa bomba atomica a fissione venisse creata e poi fatta immediatamente esplodere. Nel 2013 fu osservato un evento che corrispondeva alla descrizione, ma non c’era modo di collegare la sua origine alle stelle di neutroni.
Onde gravitazionali, lampi gamma, kilonove: una serie di fenomeni che si sospettava dunque fossero in stretta relazione, ma il tutto restava niente di più di un’ipotesi. Non si era mai riusciti a osservare con un telescopio ottico un evento luminoso che facesse seguito a un lampo gamma corto, e nemmeno si era osservata un’onda gravitazionale dovuta allo scontro tra due stelle di neutroni. Fino allo scorso 17 agosto. Una successione inaspettata di eventi ha scandito i tempi di quel giorno memorabile per l’astronomia, dando alla ricerca scientifica una trama quasi drammatica. Ne parleremo nella seconda parte di questo articolo.