Sulla pista, accanto agli ombrelloni gialli e ai tavolini disposti in modo regolare, ora c’è un tappeto di erba sintetica. La sabbia su cui un tempo schioccavano le lisce sfere colorate è stata spazzata via dalla plastica verde. «L’ultima partita di bocce? Sarà stata due anni fa. Ora non si gioca più», spiega il cameriere. Nel centro di Chiasso un tempo la Trattoria della Zocca era un punto di riferimento nei lunghi pomeriggi domenicali. Si arrivava, si beveva un bicchierino di vino in compagnia, le schiene si piegavano incessantemente, l’occhio attento a prendere la mira, ore e ore su e giù per la pista, una gazzosa ghiacciata o un bicchiere di vino per dissetarsi sotto il sole. «Ora è tanto se qualcuno arriva a giocare a scopa».
È un destino ineluttabile: i campi da bocce stanno scomparendo uno dopo l’altro. Non solo a Chiasso, ma in tutto il Ticino. E dove non scompaiono sono relegati ad un folclore artificiale. Un giorno come nel 1800, recitava qualche tempo fa lo slogan di un ristorante di Lugano che, per rendere più interessante il suo menu rigorosamente ticinese, offriva anche un paio di ore a giocare a bocce con un membro della società bocciofila locale. Boccia im Grotto: rund und gesund, dice invece lo slogan in rima di un’altra promozione turistica, in cui si spiega che «le bocce combinano esercizio fisico, piacere e convivialità». Come dire: giocate a bocce: è sempre meglio che iscriversi in palestra.
C’è poco da fare. I tempi sono cambiati. «Un tempo quasi tutti i grotti avevano una pista in terra battuta dove giocare a bocce dopo pranzo o dopo cena. Oggi sono quasi tutte abbandonate, la tradizione è scomparsa», dice Claudio Knecht, che lo scorso mese di marzo, dopo molti anni, ha rimesso il mandato di presidente della Federazione svizzera di bocce. Cartina di tornasole è il numero dei membri delle varie bocciofile, in caduta libera. «Fino a qualche anno fa nel cantone c’erano 8mila tesserati. Oggi arrivano a malapena a 2mila». Una costante diminuzione, causata da molti fattori. I viali di terra richiedono una grande manutenzione, e pochi esercenti oggi vogliono assumersi costi e investire. E poi c’è la speculazione edilizia. «Molti bocciodromi sono in zona edificabile e vengono distrutti per costruire nuovi edifici», spiega Knecht.
Basta guardare i dipinti del pittore ticinese Emilio Rissone, scomparso due anni fa, per capire che prezioso patrimonio sociale abbiamo perduto. Il suo ciclo di opere dedicato al gioco delle bocce è un malinconico tuffo nel passato. I suoi tratti restituiscono l’atmosfera gioviale del canvetto. Si beve, si balla sotto i pergolati, le biciclette appoggiate ai muretti, cani e gatti se ne vanno in giro scodinzolanti. E in mezzo a tutto c’è sempre il grande protagonista: il campo da bocce, centro del mondo, gremito come la piazza di un villaggio in festa. Eppure già venti anni fa anche l’artista di Viganello presentiva la fine di questa realtà. «Sta finendo una grande invenzione ticinese», diceva sconsolato in una intervista. «Quella del grotto, del canvetto, della trattoria, dove tante persone contente passavano il tempo meglio di come lo passiamo oggi».
Ma forse non è tutto perso. Le piste nei grotti stanno sparendo, è vero. Alcuni bocciodromi al coperto resistono però stoicamente – e con instancabile speranza. Al Palapenz di Chiasso è arrivato il tempo di rifare la pista. A vedere il lavoro, sembra la semina a mano del grano sulla terra nuda: si va su e giù per i viali, attingendo a un secchio infilato nel braccio, spargendo la sabbia sulla pista in cemento. Bisogna farlo almeno due volte all’anno. Ad assicurarsi che tutto vada per il meglio c’è Arturo Marinoni. Ha iniziato a giocare a bocce quando aveva 13 anni, a 77 non ha ancora smesso. «Tutti pensano che il gioco delle bocce sia quello del vecchietto con la sigaretta in bocca e il bicchiere di vino in mano. Non è così. C’è da sudare sette camicie. In un pomeriggio di gioco si percorrono fino a 6 chilometri e si lanciano centinaia di chili di bocce». Sorride, la fierezza di chi conosce qualcosa che molti hanno dimenticato. Da oltre un ventennio insegna ai più giovani. La bacheca del circolo custodisce come un altarino le foto degli allievi. «Ci sono dei ragazzi bravissimi che oggi battono i nostri veterani. Li ho conosciuti che erano bambini: ora sono appena tornati dai mondiali in Argentina e presto andranno in Germania».
Non resta che questo: investire nei giovani. Sono sei le scuole di bocce attive nel Cantone, da Cavergno a Castione, da Lugano a Riva San Vitale e Rancate. Ci si allena il mercoledì pomeriggio, dopo la scuola. Spiega Knecht: «Si parte dai 10 anni, si comincia con dei giochi sul campo per imparare i movimenti. Poi però a continuare sono pochi. Pochi ma buoni: oggi abbiamo diciottenni molto forti».
In alcune scuole del Canton Neuchâtel le bocce sono state inserite nel programma sportivo, due volte al mese si va al bocciodromo. E così anche proprio fuori confine, a Cernobbio: l’anno scorso le lezioni di ginnastica di un gruppo di ragazzi di prima media sono state sostituite per qualche mese da un corso di bocce, con tanto di torneo finale. L’esperimento è stato «un successo», ed è stato allargato anche a giovani con difficoltà psichiche. Una partita a bocce, attività dall’alto valore propedeutico e sociale. E da noi? «Anche a Chiasso qualche tempo fa abbiamo proposto una tre giorni nelle scuole elementari», spiega Arturo Marinoni. «Due classi di seconda, due di terza e una di quinta. A livello sportivo… un disastro, non ne azzeccavano una. Ma l’entusiasmo era alle stelle». Un caso isolato, più unico che raro però. A differenza dei nostri vicini, in Ticino le scuole rimangono un territorio inesplorato. «Abbiamo provato molte volte a entrare nelle scuole. Senza successo. Da noi è quasi impossibile» lamenta Knecht. Eppure nel nostro cantone l’attenzione per la tradizione non manca. L’anno scorso, per esempio, alcuni granconsiglieri hanno proposto di introdurre l’insegnamento facoltativo del dialetto nelle scuole elementari e medie. Per far conoscere ai più piccoli la storia del territorio, un giorno forse qualcuno proporrà le bocce.
Del resto questo gioco che è insieme arte e sport ha avuto nella Svizzera italiana uno dei suoi centri di eccellenza a livello mondiale. Basta citare un nome: Brenno Poletti di Ascona, classe 1927. Nel 1985, davanti agli 8mila spettatori del PalaLido di Milano, riuscì a battere in casa i fortissimi campioni della Nazionale azzurra e conquistare il titolo di campione del mondo.
Fino a qualche mese fa il futuro si chiamava Olimpiadi. La speranza era che le bocce entrassero sul palcoscenico olimpico trovando spazio nel programma di Parigi 2024. Non è accaduto, le bocce sono state spazzate via dalla break dance e dal surf. «Le Olimpiadi sarebbero state un’ottima occasione per promuovere il gioco in Ticino, creare più interesse tra i giovani e rilanciare le bocce. Purtroppo dobbiamo ancora aspettare», dice Knecht. Queste lisce sfere colorate: dopo il passato glorioso, oggi rotolano verso un futuro fumoso.