«Cari Militari, l’Esercito deve essere impiegato quando necessario, come succede oggi in Svizzera. Qualche giorno fa siete stati chiamati in servizio: si tratta della più grande mobilitazione dalla seconda guerra mondiale. È necessaria. Ed è stata decisa dopo attente riflessioni», sono le parole pronunciate lo scorso 9 marzo dalla Consigliera federale Viola Amherd. A causa dell’emergenza Coronavirus, l’esercito svizzero ha così chiamato in servizio i militari delle truppe sanitarie e della logistica in supporto al sistema sanitario pubblico elvetico, sia per quanto attiene al personale che alle prestazioni logistiche. «Le chiamate in servizio per la mobilitazione hanno avuto luogo come queste circostanze esigono: mediante allarme sms. Chi riceve un messaggio di questo genere deve inviare una conferma ed entrare in servizio secondo le direttive impartite»: il colonnello Nicola Guerini è comandante del Comando forze speciali e ci riceve sulla Piazza d’Armi del Monte Ceneri dove ora confluiscono compagnie sanitarie e di trasporti che entrano in servizio. Otto i Cantoni che hanno chiesto l’intervento dell’esercito. Oltre al Ticino, che è stato il primo, anche Basilea Campagna, Grigioni, Neuchâtel, Turgovia, Vallese, Vaud e Berna.
Al colonnello Guerini chiediamo cosa è cambiato sulle Piazze d’Armi di Isone e del Monte Ceneri per far fronte a questa nuova situazione che deve pure tenere conto dell’emergenza e delle relative direttive di protezione individuale e sociale. Ci spiega il significato della preziosa presenza dell’esercito sul territorio: «Le truppe dispiegate hanno il compito di sgravare la sanità pubblica sul piano del personale e appoggiarla con prestazioni logistiche: supporto nei trasporti sanitari, logistica ospedaliera (disinfezione dei letti, cucina, lavanderia, pulizia), cura e sorveglianza dei pazienti, collaborazione nell’allestimento di infrastrutture improvvisate e nel settore della sicurezza dove, se richiesto, hanno il compito di sgravare il lavoro della polizia cantonale e delle guardie di confine alle frontiere e agli aeroporti». A Isone staziona la scuola reclute, mentre il Monte Ceneri ospita diversi partner: «Le truppe fisse delle Forze speciali, il Centro di reclutamento (momentaneamente chiuso e riconvertito per far fronte alla situazione) e il Centro della Base logistica dell’Esercito. Ora la nostra infrastruttura ha il compito supplementare di dare sostegno alla Compagnia sanitaria 2 mobilitata al lavoro negli ospedali».
Il Colonnello racconta che sono stati mobilitati pure i soldati «a ferma lunga» nell’ambito sanitario dell’anno 2016: «Gente che, avendo terminato il servizio militare, non disponeva più dell’equipaggiamento. Malgrado ciò, sono entrati in servizio ben 95 uomini su un effettivo di 114». Secondo le richieste del Cantone gli impieghi sono valutati e coordinati dalla coordinazione sanitaria comando operazioni dell’esercito in base alla priorità e alle proiezioni della crisi. Sulla Piazza d’armi del Monte Ceneri non ci sono riserve: «Tutti gli uomini sono impiegati in supporto agli ospedali, mentre il personale medico e infermieristico di milizia è già stato liberato per permettere il suo impiego nel lavoro civile».
Quando è necessario l’esercito agisce in aiuto e supporto della popolazione: «Come Comando delle Forze speciali siamo avvezzi alla gestione di crisi anche internazionali, dunque siamo pronti a gestire questo nuovo nemico a cui non eravamo certo abituati; il nostro ruolo però ora è nell’ombra, dando tutto il sostegno possibile alle truppe sanitarie che operano al fronte». Perciò egli spiega di aver coinvolto tutti i partner della caserma nella coordinazione e nelle decisioni da prendere. «Il virus ci ha obbligati a rivedere diverse misure ora adattate in osservanza delle direttive di norme igieniche e distanza sociale». Ci mostra qualche esempio: «Quelle organizzative concernono le sale riunioni più grandi dove rispettare la distanza sociale, il lavoro telematico più diffuso per limitare i contatti personali, le videoconferenze che ci evitano gli spostamenti a Berna (questo è uno degli aspetti positivi che ci permette di risparmiare parecchio tempo). Abbiamo attuato misure di comportamento per la tutela della salute collettiva (2 metri di distanza sociale, ad esempio, anche attraverso misure improvvisate come la protezione di plastica in mensa tra personale di cucina e militi). Laddove non è possibile rispettare la distanza sociale (ad esempio nell’istruzione sanitaria) si lavora con i presidi adatti come mascherine, guanti e camici monouso».
È tutelato pure il benessere psicofisico dei militi che per lungo tempo non possono tornare a casa: «Abbiamo coordinato diverse misure per rendere sopportabile il servizio di questi soldati portati via da casa, con le famiglie lontane e talvolta preoccupati per questo: di norma nelle caserme si lavora e si dorme, non sono fatte per la vita quotidiana e per il tempo libero che oggi deve essere gestito nel migliore dei modi». Racconta di un nuovo locale biblioteca e studio («per i soldati che hanno esami da affrontare»), zone di privacy con la possibilità di collegarsi via skype con le famiglie, una piccola officina per il lavoro manuale e il tempo libero («una soldatessa falegname ad esempio porta cose sue»), e l’uso delle risorse individuali dei militi di milizia: «Un maestro insegna italiano ai militi svizzerotedeschi che devono lavorare nei nostri ospedali, lezioni di yoga e percorsi fitness per il tempo libero, biciclette e altri presidi per rendere la vita più vivibile anche in questa situazione». Infine, visitiamo la palestra, per ora vuota, convertita in centro Covid positivi, nella consapevolezza che pure i militi sono esposti al rischio di contagio: «La prima ondata ha portato 8 militi testati, ne abbiamo isolati 50 con sintomi e oggi sono rimasti in 2. Tutti hanno avuto decorso senza complicazioni, gli spazi sono stati ben organizzati e la caserma ora è uno dei luoghi più puliti dal virus, una delle zone più sicure nel Cantone: per evitare nuovi contagi dall’esterno, siamo chiusi qui da tre settimane e nessuno ha avuto il permesso di tornare a casa».
Tante rassicurazioni: «Saremo qui tutto il tempo necessario, la scuola recluta non va chiusa perché mancherebbe una generazione di quadri, ufficiali e sottoufficiali che oggi vediamo essere indispensabili…». Alcune riflessioni: «Dovremo ripensare alla costruzione delle caserme tenendo conto di questa esperienza, e tutto il mondo economico che vi è implicato dovrà rivedere alcune strategie». Infine: «L’Esercito c’è per aiutare e non per mettere in pericolo la società; deve proseguire nell’istruzione adattandola alle esigenze del suo impiego per la popolazione».