La storia geologica delle Alpi, la sua complessità, e la presenza di numerosi tipi di rocce acide (gneiss, graniti, scisti, porfidi e serpentini) e di rocce carbonatiche (calcari, dolomie, gessi e, in parte, i calcescisti) sono all’origine della ricca flora che possiamo ammirare fino alle più alte quote durante le escursioni alpine. E questo, grazie ai differenti tipi di suoli che derivano da questa notevole varietà di rocce (litologia): sia per dissoluzione chimica delle rocce carbonatiche, sia per la disgregazione e frantumazione (le rocce acide). Nel corso dei millenni si è lentamente insediata e prospera tuttora una flora altrettanto differenziata, multiforme e colorata. Dodici specie di piante con fiori sono state osservate oltre i 4000 metri nelle Alpi Bernesi, sul Cervino e nel massiccio del Monte Rosa. Il record di altitudine è detenuto dal ranuncolo dei ghiacciai (Ranunculus glacialis) osservato poco sotto la vetta del Finsteraarhorn a 4272 metri slm.
Una cinquantina di specie è nota tra 3500 e 3900 metri slm sulle massime vette del «tetto d’Europa». Si tratta di piante con fiori, dunque organismi molto evoluti, e caratterizzati da una notevole complessità biologica. Ma, vegetali primitivi, molto più semplici per struttura come i licheni e i muschi sono stati osservati fino sulla vetta della Punta Dufour (Monte Rosa) a 4638 metri slm, clamorosa evidenza del fatto che la vita vegetale macroscopica non conosce ostacoli per insediarsi fino alle quote più elevate non solo nell’Eurasia, ma anche nelle Americhe. I rigori del clima alto-alpino, evidenziati da una accentuata radiazione solare accompagnata con un aumento dei raggi ultravioletti (UV), luminosità e ventosità, forti scarti termici, e da una altrettanto notevole siccità atmosferica, sono tutti fattori fisici selettivi all’origine di una serie di adattamenti fisiologici che consentono la vita anche in condizioni estreme sopra la superficie del suolo e delle rocce, e delle loro fessure – per esempio le piante a cuscinetto nonostante il corto periodo vegetativo.
Sotto il manto nevoso, che può perdurare durante 9-10 mesi all’anno, è assicurata la continuità (seppure rallentata) delle funzioni vitali. Inoltre, le temperature non sono tali da ostacolare la vita. Si può dire che il vegetale ha più da temere durante la corta stagione estiva quando è fuori terra, che non durante la lunga stagione invernale. Questa flora alpina ha origini molto antiche, e la sua provenienza è altrettanto arcaica, quando le terre emerse avevano una configurazione geografica completamente diversa rispetto a quella attuale, Una flora che, grazie a recenti studi, mostra significativi segnali di una differente collocazione in funzione dell’altitudine, sotto la spinta di un contingente floristico di più basse altitudini a seguito dei cambiamenti climatici ormai in atto da diversi decenni. Specie boreali giunte da Nord, specie asiatiche di clima temperato come la stella alpina (Leontopodium alpinum) e molte altre sono giunte da quell’enorme serbatoio di vita vegetale (e animale) costituito dalle alte terre, dal Tibet, dall’Asia centrale, dal Caucaso e dall’Anatolia. È sufficiente osservare una carta geografica a piccola scala per rendersi conto di quali enormi territori di milioni di chilometri quadrati incombono ad Oriente fino all’Oceano Pacifico, e quanto la nostra Europa sia una ben modesta entità geografica in confronto a quello che si estende verso Est.
Nel cuore delle Alpi Lepontine, formate e dominate da imponenti affioramenti di rocce silicee, principalmente gneiss, esistono diverse «isole» di rocce carbonatiche. Sono montagne che anche l’occhio del profano riesce a distinguere a causa del loro biancheggiare, che si perde entro vaste distese grigiastre. La zona del Campolungo sui due versanti tra la Valle Maggia e la Leventina, l’alta Val Piora, la zona del Pizzo Forca nell’alta Valle Malvaglia (Valle Blenio). E, proprio su quest’ultima montagna merita dilungarsi, perché ha un valore emblematico del fenomeno litologico, per il suo isolamento e per le sue peculiarità floristiche. L’apertura (anno 2000) della Capanna Quarnei posta a 2107 metri slm. nel maestoso bacino iniziale dell’alta Valle Malvaglia, facilita l’accesso e lo studio di un settore alpino del massimo interesse naturalistico. Territorio che, finora, era rimasto pressoché sconosciuto e negletto a causa delle concrete difficoltà logistiche e di soggiorno. Il Pizzo Forca 2583 metri slm. è chiaramente individuabile ad Ovest della Capanna Quarnei.
Il biancore della montagna contrasta con le oscure masse gneissiche delle cime contigue: a Nord verso i contrafforti dell’Adula, verso Sud la cresta degradante alla Cima di Piancabella ed al Simano che domina Acquarossa. Dall’Alpe Quarnei, sotto la Capanna, il sentiero si inerpica ripidamente per superare l’antica morena. È un ammasso di sfasciumi di vario calibro, già ricoperto da una rigogliosa vegetazione erbacea ed arbustiva tipica dei suoli silicei, con molto rododendro (Rhododendron ferrugineum). Superata la morena, il pendio diventa più blando, e un piccolo ripiano glaciale racchiude il Laghetto dei Corti, a 2181 metri slm. Si punta verso il dominante Pizzo Forca all’inizio del vallone. In corrispondenza di un visibile «ometto» di sassi ammonticchiati, entriamo nella zona calcarea. Se osserviamo con attenzione, notiamo che in poche decine di metri il suolo, è più chiaro (se esposto), molto scuro e nerastro tra le chiazze di vegetazione. Quest’ultimo è tale per l’accumulo di humus, assorbe più calore grazie alla sua colorazione, e trattiene maggiore umidità a causa della sua struttura più minuta.
Marcato ed evidente è pure il cambiamento della flora: i gialli ranuncoli sono sostituiti dai densi tappeti del camedrio alpino (Dryas octopetala), con le sue brillanti e lucide foglie, dalla stella alpina (Leontopodium alpinum, Edelweiss), inoltre, dalle ampie corolle rosso-vino dell’astro alpino (Aster alpinus), ed i rotondeggianti capolini della globularia. Tutto vivacizza il variopinto e differente quadro. Sono piante «calcicole» e la loro modesta statura (3-5 centimetri) indica che qui la neve perdura a lungo. Più in alto (2500 metri) siamo alla base del Pizzo Forca: un’ampia e biancheggiante colata di detriti (ganna) fascia la base della parete. Pare essere priva di vita, ma tra i massi ombreggiati spicca il brillante giallo del doronico dei macereti (Doronicum grandiflorum), con le foglie spesso mangiucchiate dalle larve e dagli adulti di un bel coleottero di un nero intenso (Oreina melancholica).
Ed è interessante ricordare che sono note due specie di doronici: una su carbonati (Doronicum grandiflorum) con il suo coleottero nero. Un’altra (Doronicum clusii) su rocce silicee. Quest’ultima nutre la specie di coleottero sorella di Oreina: O. melanocephala, che si distingue per il suo colore di un bel rosso-corallo. È un significativo esempio di «vicarianza alimentare» (=sostituzione), sia a livello vegetale, sia a quello animale. Esso testimonia la netta separazione biologica su rocce completamente differenti, instaurata in micro-ambienti che occupano le stesse aree geografiche. Ma il cammino evolutivo di queste comunità di piante ed insetti è stato lungo e complesso, quanto la venerabile età delle Alpi.