Ritrovare un lavoro

Disoccupazione – La Fondazione Integrazione Per Tutti è un’organizzazione attiva nel reinserimento professionale dei disoccupati grazie a programmi personalizzati, abbiamo incontrato la direttrice Debora Banchini-Fersini
/ 04.02.2019
di Fabio Dozio

Naser ce l’ha fatta. 45 anni, rifugiato politico proveniente dall’Iran, assistente di farmacia di formazione, cintura nera di taekwondo, un’arte marziale coreana. Dopo un periodo di disoccupazione è riuscito a inserirsi nel mercato del lavoro in Ticino grazie anche alla Fondazione Integrazione Per Tutti (IPT). «Sono molto riconoscente nei confronti della Fondazione, – dice – il lavoro fa parte del mio equilibrio personale. La mia mentalità non mi permette di restare inattivo. Ho bisogno di rendermi utile». IPT ha sostenuto e accompagnato Naser nella sua riqualificazione professionale e nella ricerca di una nuova attività.

La Fondazione è presente in Svizzera da più di 45 anni. Fondata nel 1972 su impulso di alcuni imprenditori romandi, all’inizio si occupava soprattutto di persone escluse dal mondo del lavoro per problemi di salute. Oggi la missione è più ampia e riguarda tutti coloro che cercano un reinserimento professionale dopo aver perso il diritto agli aiuti sociali. Si tratta di un ufficio di collocamento specializzato che agisce in partenariato con le aziende, le assicurazioni sociali e private, i servizi sociali e i professionisti della sanità.

A livello svizzero nel 2017 sono state assistite 4694 persone, la metà di queste ricollocate in un’attività professionale. Sono stati organizzati 2812 stage e la durata media del processo di inserimento è stata di 5,5 mesi. L’identikit dei disoccupati che si affidano a IPT è variegato. Dal profilo dell’età c’è un certo equilibrio. Un quarto sono giovani tra i venti e i trent’anni. Un quinto trentenni. Un altro quarto sono quarantenni e il rimanente sono cinquantenni. La maggioranza dei disoccupati proviene dagli Uffici regionali di collocamento, altrimenti dai servizi sociali pubblici e privati, da medici e ospedali. Interessante anche notare la durata della mancata attività. Per la maggioranza dei casi (35%) un anno al massimo, per il 18% dei casi fino a due anni. Più del 20% è rimasto senza lavoro da due a cinque anni e più. E ancora, il 18% delle persone che si presentano a IPT non hanno mai avuto un impiego.

In Ticino la Fondazione è attiva da una dozzina di anni e i disoccupati che fanno ricorso a IPT sono circa 350 in un anno, di cui la metà ritrova un lavoro. «La nostra Fondazione – ci dice la direttrice Debora Banchini-Fersini – ha un ruolo importante nella nostra società, perché essere senza lavoro significa perdere l’identità. Vediamo che emergono problemi anche in persone insospettabili, che fino al giorno prima stavano bene. Noi cerchiamo di lavorare sulle cose positive, di infondere fiducia, mettendo in rilievo le competenze di ognuno. Competenze di cui non sempre il disoccupato è cosciente. Bisogna mettere in luce le risorse e non i limiti. C’è chi ha qualità e conoscenze che non sono mai state utilizzate in ambito professionale perché fanno parte della vita privata».

Il concetto di reinserimento professionale di IPT è originale e innovativo e si basa sulla cultura del possibile e sul principio di corresponsabilità. Gli operatori della Fondazione offrono un programma su misura e personalizzato in quattro tappe: un bilancio socioprofessionale completo, seguito da una valutazione delle risorse ed eventualmente da uno stage in un’azienda per valutare le capacità della persona. Poi segue la preparazione all’impiego, dove il candidato diventa attore del proprio progetto, per poi passare al vero e proprio collocamento, preceduto di solito da uno stage. Una volta ricollocato il candidato viene comunque ancora seguito da IPT e anche il datore di lavoro usufruisce del sostegno della Fondazione.

«Ogni persona che arriva da noi ha un consulente di riferimento, poi ci sono i formatori e, se necessario, anche lo psicologo. – spiega la direttrice di IPT – Un sostegno a tutto campo per cercare un posto di lavoro. Noi lavoriamo con le aziende: in Ticino sono più di mille quelle che ci conoscono e circa 400 quelle con cui lavoriamo. L’80% delle offerte di lavoro non sono pubblicate sui giornali o sul web. Sono indispensabili i contatti e le conoscenze. Noi facilitiamo l’incontro con le aziende, e queste sono più disponibili nei confronti del disoccupato, perché sanno che ha già fatto una preparazione con noi, un processo approfondito di conoscenza che deve basarsi sulla trasparenza».

In Ticino i disoccupati lo scorso dicembre erano 5390, il 3,3% dei lavoratori, mentre in Svizzera il tasso di disoccupazione ammontava al 2,7%. In cerca d’impiego, alla fine dell’anno scorso, erano però più di 9mila. Questi sono i dati della SECO, che registra i disoccupati che si annunciano agli uffici del lavoro. I dati ILO, che contano anche coloro che non si iscrivono agli uffici e sono raccolti tramite sondaggi, indicano una disoccupazione del 7% in Ticino per l’ultimo trimestre del 2018. La disoccupazione non è più al primissimo posto fra le preoccupazioni degli svizzeri (secondo il sondaggio annuale del Credit Suisse), ma rimane fra i timori maggiori e soprattutto resta un fenomeno endemico. Lo Stato, le associazioni padronali e i sindacati si preoccupano e si muovono per contrastarla. Il direttore del Dipartimento ticinese delle finanze e dell’economia, Christian Vitta, non perde occasione per ribadire che il fenomeno della disoccupazione deve essere gestito attivamente e il lavoro va tutelato e protetto. Vitta ha visitato lo scorso mese di novembre la sede luganese di IPT, sottolineando l’importanza del processo di ricollocamento professionale. Il Dipartimento sottolinea che la visita a IPT è stato «un prezioso momento di approfondimento e di confronto, volto a riflettere congiuntamente sulle prospettive e sulle opportunità esistenti nel delicato ambito del sostegno al collocamento, un ambito di azione prioritario per il DFE, che si impegna a mettere al centro della sua azione il singolo individuo, con le sue caratteristiche, le sue competenze e i suoi percorsi».

«La risposta delle aziende alle nostre sollecitazioni è buona. – precisa la direttrice Banchini-Fersini – Negli ultimi tempi mi sembra che ci sia una maggiore apertura da parte dei datori di lavoro, tanti cercano manodopera. Noi riusciamo a collocare la metà dei nostri disoccupati nel giro di sei mesi. Comunque ci sono persone che non riescono a reinserirsi. Bisogna fare il possibile per non lasciare per troppo tempo una persona disoccupata. Più passa il tempo, più si accumulano delusioni e frustrazioni, e questo non aiuta».

Le testimonianze di chi si rivolge a IPT sono sintomatiche del disagio con cui è confrontato chi non ha un lavoro, come questa di un disoccupato quarantaquatrenne: «Sembra che tutto vada bene e poi, all’improvviso, il baratro. È come una collana di perle: se la cordicella si rompe non cadono solo una o due perle, ma tutte, e tutte assieme. Tutto ciò che aveva valore crolla, non resta niente, quindi che fare? Solitamente è così, perché tutto è collegato, la sfera affettiva, quella personale e quella professionale: una cosa tira l’altra».

La direttrice Debora Banchini-Fersini sottolinea che in questi anni si sta lavorando bene nell’ambito del ricollocamento. Ci sono diverse realtà attive in questo campo: «Siamo in tanti, ma ognuno coltiva il suo orticello. Sarebbe opportuno coordinare maggiormente, sviluppare una rete, con gli Uffici regionali di collocamento, le aziende, i diversi servizi attivi sul territorio».