«La malattia è come un viaggio. Pensiamo ad esempio di essere in viaggio per Hong Kong, seduti nella sala d’attesa dell’aeroporto. Non diamo tutto per scontato a questo mondo e diciamo che talvolta un ambiente del genere, con il via vai e la sua confusione, potrebbe disorientarci per un momento. Ecco: se qualcuno ci indica la strada, allora potremmo sentirci rassicurati e proseguire più serenamente il nostro cammino. Pensate ad esempio a come potremmo sentirci se nessuno ci annunciasse un ritardo dell’imbarco… Se, per contro, il personale ci indica subito cosa succede, dove possiamo attendere, e ci chiede se abbiamo bisogno di altro, allora siamo più sereni e affrontiamo il nostro viaggio fiduciosi e con un animo tranquillo». Questo è l’esempio di accoglienza, cura e percorso di riabilitazione muscolo-scheletrica riservato ai pazienti della Clinica Hildebrand centro di riabilitazione dal dottor Claudio Petrillo, caposervizio di Fisiatria.
Tutti, di fatto, possono essere soggetti nel corso della propria vita a traumi che toccano il nostro corpo, che si tratti di persone giovani o di anziani: «I pazienti di cui ci prendiamo cura sono persone di ogni età e possono giungere in riabilitazione in seguito a un evento chirurgico programmato, dopo il quale devono riacquisire le funzioni della parte corporea operata nel minor tempo possibile…»; in questo caso il medico porta ad esempio un intervento all’anca o al ginocchio pianificati, ai quali fa seguito un percorso riabilitativo. Mentre un altro genere di pazienti comprende, a detta del medico, quelli «meno fortunati, i quali si trovano in uno stato di necessità improvviso con un carico di problemi neuro-traumatologici di variabile gravità». Possiamo portare ad esempio i pazienti reduci da incidenti: «Pensiamo ai politraumi o ad altre patologie di origine muscolo scheletrica che sopraggiungono senza preavviso».
Il paziente che accede a questo tipo di percorso giunge in Clinica annunciato dagli specialisti che lo hanno accolto e curato nell’immediato, vale a dire nella fase cosiddetta acuta. Poi: «Al momento del ricovero la persona entra in un itinerario in cui incontrerà i vari professionisti della riabilitazione, infermiere, medico specialista della riabilitazione, fisioterapista, ergoterapista, assistente sociale e cosi via, in modo che già durante le prime 24 ore si delinea un programma di percorso riabilitativo personalizzato al paziente e alla sua condizione». Nulla è lasciato al caso: «La presa a carico deve essere strutturata in modo da individuare gli obiettivi condivisi con il paziente stesso, che devono essere raggiunti nel corso del progetto riabilitativo con lo scopo ultimo del recupero della sua autonomia quanto prima possibile».
La multidisciplinarità è basilare: «Rappresenta le fondamenta del successo riabilitativo in cui non bisogna però dimenticare la personalizzazione delle cure definita dalle varie professionalità che mettono a disposizione degli altri le proprie valutazioni realizzate in base alle proprie competenze ed esperienze. Esse vengono confrontate con quelle degli altri per arricchirle, completarle e correggerle in modo da ottenere alla fine un’armonica valutazione del paziente nella sua globalità fisica e psichica, affettiva e relazionale». Inoltre, palestra, piscina e laboratori ergoterapici di riproduzione dell’ambiente quotidiano sono fattori imprescindibili del percorso: «La valutazione e il monitoraggio in palestra del percorso con il fisioterapista è sostanziale perché non tutte le terapie riabilitative vanno bene per tutti (alcune possono rivelarsi dannose se non indicate nello specifico)».
Lo specialista, dal canto suo, riflette ad alta voce e ritorna sulla multidisciplinarietà: «Come faccio, malgrado tutti i limiti accertati, affinché la persona possa raggiungere il massimo nel percorso di cura? Fisoterapista, ergoterapista, infermieri riabilitativi, psicologo, nutrizionista, dietista: sono tutte le figure che devono mettere in campo le giuste strategie affinché il paziente progredisca in sicurezza e ottenga vantaggi funzionali per poter rientrare a domicilio prima possibile». Lungo la nostra visita individuiamo la diversa tecnologia che permette di potenziare il raggiungimento degli obiettivi. Ad esempio: il pavimento della piscina che si può muovere modulandone la profondità, gli ausili elettronici della deambulazione computerizzata e le apparecchiature di terapia che sfruttano i principi dei mezzi fisici naturali come acqua, luce, corrente, calore, suono (utrasuoni, termoterapia, onde d’urto, correnti elettriche).
Tutto a supporto dell’elemento cardine della strategia riabilitativa muscolo scheletrica che risiede nel recupero della funzionalità come riacquisizione dei semplici gesti quotidiani e delle capacità personali nella vita di tutti i giorni: «Cucinare, lavarsi, stirare, muoversi, salire le scale, sono tutti gesti “normali” a cui non diamo peso perché li facciamo in automatico. Quando ne perdiamo l’abilità, ecco che ci rendiamo conto di quanto sia importante recuperare queste nostre capacità, fra le quali sta pure il potersi muovere, raggiungere altre persone vincendo le barriere che la malattia ci ha imposto». La degenza media del percorso di riabilitazione è di circa due settimane e mezzo per i casi meno complessi, ma tanto dipende dal tessuto corporeo, dall’età, dall’individualità del paziente stesso e, non da ultimo, dal trauma subito: «Tanto più è complesso, quanto più fattori entrano in gioco. Pensiamo a un politraumatizzato: bisogna riuscire a “metterlo nuovamente in piedi”, farlo camminare, restituirgli autonomia nelle sue funzioni di base perché riacquisisca la massima autonomia possibile, di cui abbiamo già più volte parlato».
La risposta del nostro interlocutore sottolinea l’importanza del rapporto medico – paziente: «Siamo consapevoli che bisogna investire tanto tempo per conoscere il paziente e, malgrado le grandi sollecitazioni cui siamo sottoposti, dobbiamo mantenere il focus su di lui». Inoltre: «Per il Fisiatra è fondamentale mettersi nei panni del paziente stesso: bisogna che percepisca la sua reale volontà, le sue paure… Ricorda l’esempio del viaggio che inizia in aeroporto? Il paziente va sostenuto e accompagnato, e poi reso sempre più indipendente». Il dottor Petrillo sostiene fermamente quella necessità di essere «catalizzatore» anche nei confronti dei parenti della persona in riabilitazione, con lo scopo di riuscire a trovare una soluzione comune alla cura, sempre per il suo bene: «Ascolto e comprensione restano fondamentali».