eLearning, bilancio positivo

Da qualche settimana anche l’Università della Svizzera Italiana ha chiuso i battenti e ha organizzato corsi a distanza. Qual è il bilancio di questa esperienza di USIeLearning, chiediamo al Rettore Boas Erez?
Molto buono. L’USI usava già gli strumenti digitali che servono per impartire le lezioni anche a distanza. In questa preparazione ha giocato un ruolo fondamentale l’eLab, laboratorio per applicazioni di eLearning che da anni sostiene docenti e assistenti dell’USI nell’integrazione delle tecnologie digitali nella loro attività didattica. Il passaggio dalle lezioni in presenza a quelle online è stato graduale, ma veloce: non abbiamo quindi accumulato ritardi nel semestre, che finirà secondo la normale tabella di marcia. Purtroppo alcune pratiche didattiche fondamentali per il tipo di formazione che offriamo, dagli atelier di progettazione in architettura, agli stage, non possono essere sostituite da un approccio a distanza: vi è anche una componente artigianale nelle nostre forme di insegnamento. Ma pensiamo di aver affrontato questa sfida nel modo giusto. Lo dimostrano i diversi messaggi di riconoscenza da parte degli studenti che comprendono i grandi sforzi che sono stati messi in campo per permettere loro di portare avanti gli studi.

Ho visto che avete annullato o rinviato molti eventi. I piani di studio e di esami secondo lei potranno essere rispettati?
Sì, gli eventi in presenza sono stati tutti annullati. Abbiamo seguito scrupolosamente l’evolversi della situazione e le disposizioni del Governo. Fin da subito alcuni appuntamenti invece di essere cancellati sono stati proposti online, ma non per tutti gli eventi questo è possibile e forse nemmeno opportuno, in questo momento così delicato. Invece i piani di studio potranno essere rispettati, è stato fin da subito un nostro obiettivo. Resta un’incognita la modalità di svolgimento degli esami, sulla quale stiamo attualmente lavorando.

Crede che questa esperienza possa essere utile anche per il futuro dell’insegnamento all’USI?
Sì, credo che stiamo collettivamente acquisendo competenze importanti. L’esempio più palese è quello dell’eLearning, con il quale ormai tutti hanno dovuto familiarizzarsi, e le cui potenzialità potranno essere sfruttate meglio anche in futuro, quando ritorneremo alle lezioni in presenza. Questa acquisizione di nuove competenze vale anche per il telelavoro, l’organizzazione di eventi online o l’esplorazione di nuovi formati digitali. Tutti questi temi, affrontati nell’urgenza del COVID-19, saranno un bagaglio di competenze prezioso per l’USI anche in futuro. Abbiamo però anche preso maggior coscienza dell’importanza dello scambio in presenza, che resterà comunque una caratteristica imprescindibile del nostro approccio.


Rettore per passione

Incontri – L’importanza dell’Università della Svizzera italiana va maggiormente riconosciuta nel Cantone. È quanto auspica il Rettore Boas Erez guardando al futuro
/ 20.04.2020
di Fabio Dozio

Boas Erez è rock.

Bastano due brevi incontri per capire che è ottimista, sicuro di sé, ma molto disponibile nei confronti di tutto ciò che gli sta attorno e dei suoi interlocutori. Da poco più di tre anni è a capo dell’Università della Svizzera italiana (USI), una macchina con 2800 studenti provenienti da 100 Paesi, 800 professori, 5 facoltà, 29 percorsi di studio, 3 campus. Un Rettore aperto verso gli studenti, ha infatti istituito il Senato accademico a cui partecipa una delegazione di universitari, e verso la città e la società.

Ha fatto notizia il suo interesse nei confronti dell’autogestione, che ritiene possa continuare a sopravvivere a Lugano negli spazi dell’ex macello, anche se riattati: «Potrebbero rappresentare uno sbocco anche per i nostri studenti», dice. In Ticino non siamo più abituati agli intellettuali che prendono posizioni profilate culturalmente e socialmente. Ma non solo. Erez si è fissato l’obiettivo di diventare un «datore di lavoro esemplare» e, infatti, dall’inizio dello scorso anno, è entrato in vigore un contratto collettivo che va in questa direzione e che rappresenta uno degli assi strategici per lo sviluppo dell’USI.

Boas Erez è rock, anche perché canta e suona in una band. «Il rock è uno sfogo, – ci racconta, al tavolo del suo ufficio di via Lambertenghi a Lugano – è un piacere fisico più che intellettuale. Cantare e suonare contemporaneamente è una cosa complicata, ma molto bella. Conosco i classici, il mio primo disco era di Bill Haley, quello di Rock Around the Clock. Avevo tutti i dischi dei Clash, poi i Talking Heads, i Devo, senza dimenticare i Beatles e i Rolling. Ora con la mia band facciamo anche musica nostra, tutti i venerdì sera prove».

In dicembre il Rettore ha fatto discutere per una presa di posizione pubblica che invitava il Paese ad avere a cuore l’USI. «L’Università è un luogo importante per il Ticino, – spiega Erez – punto d’incontro e di dialogo fondato su valori significativi come la solidarietà, la diversità, l’inclusione sociale e il pluralismo. Ho l’impressione che ci si sia accontentati di creare l’USI per poi lasciarla lì senza impegnarsi a integrarla nel tessuto del Paese. Se affermo che siamo un operatore culturale, mi guardano storto, perché non siamo un museo o un teatro. Se sostengo che abbiamo un potenziale per stimolare lo sviluppo economico, mi rispondono: no, per quello c’è la SUPSI. Ho stima per la classe politica, gli esecutivi con cui lavoro sono abbastanza efficaci: i Municipi di Lugano, Bellinzona e Mendrisio e il Governo cantonale. Ma non basta la classe politica, ci vuole anche il sostegno e la simpatia della popolazione. Mi piace ricordare un esempio illuminante: a Basilea si voleva chiudere una facoltà, ma i cittadini sono insorti e hanno detto di no».

Senza dubbio uno dei punti più critici dell’Università della Svizzera italiana è che i giovani ticinesi continuano a preferire gli istituti d’oltralpe. Solo il 14,2% degli svizzeri italiani sceglie l’USI. La maggioranza, il 17,7%, va a Friburgo, il 13,8% si iscrive al Politecnico di Zurigo, poi, via via, agli altri atenei. L’USI offre cinque facoltà, quindi chi desidera seguire una formazione che in Ticino non è prevista, deve partire. Ma se ne vanno anche quelli che scelgono le facoltà presenti all’USI. Le rette più alte, quattro volte rispetto alla media svizzera, possono rappresentare un dissuasivo, ma studiando in Ticino le famiglie potrebbero risparmiare sul vitto e sull’alloggio. «Forse – s’interroga il Rettore – non si prende sufficientemente sul serio l’USI? Eppure posso confermare che abbiamo professori che sono considerati delle eccellenze a livello mondiale, per esempio nel campo delle scienze biomediche. L’Accademica di architettura è fra le migliori d’Europa. I giovani vogliono andar via da casa, per inerzia, mi sembra, un’inerzia un po’ tragica. A chi se ne va propongo, prima di decidere, di venire da noi a vedere come funziona, a informarsi, a fare i dovuti confronti. Se si vuole fare il Bachelor fuori, si può tornare all’USI per il Master».

È un appello accorato quello di Boas Erez, che ritiene che forse 24 anni di storia non bastano per far diventare l’Università di casa la preferita dei giovani. Ci sono ancora tradizioni familiari che invitano a spostarsi oltralpe, dove magari hanno studiato i genitori. In Ticino si considera l’insegnamento negli atenei confederati di migliore qualità e si ritiene importante poter approfondire un’altra lingua. Una forma di esotismo verso il resto della Svizzera, un po’ come quello che valeva, o vale, per «il treno per Zurigo» a proposito degli ospedali. Gli studenti confederati che scelgono l’USI non sono molti, meno di quanto si prevedesse all’apertura dell’ateneo. È difficile attirarli perché, per tradizione e per consuetudine, i giovani d’oltralpe studiano negli istituti della loro regione. «Secondo me – sottolinea Erez – sarebbe più facile avere successo con i confederati se il Ticino avesse un’immagine migliore oltralpe. Ho la percezione che il Ticino sia sempre considerato come una terra bucolica e basta seguire la stampa per scoprire i pregiudizi nei nostri confronti. A volte, anche per colpa nostra, con certi atteggiamenti da piagnoni». Tuttavia, c’è anche chi riconosce la qualità dell’USI: «Recentemente il Rettore dell’Università di Berna ha detto che l’USI è un’università come le altre in Svizzera. Sembra un’affermazione banale, ma non lo è: lo considero un riconoscimento significativo per il lavoro che svolgiamo».

Il fatto che i Ticinesi e gli Svizzeri siano pochi, circa il 32%, fa sì che la percentuale di stranieri, appartenenti a un centinaio di nazioni, sia alta, circa il 68%. Questo potrebbe rappresentare un fattore di disaffezione del Paese, anche se va tenuto conto che la popolazione straniera nel Cantone si aggira attorno al 28%.

Il finanziamento dell’USI è garantito da contributi cantonali, federali e dal sostegno dei privati. Il bilancio complessivo ammonta a circa 95 milioni di franchi annui. Il Cantone stipula un contratto di prestazione per circa 21 milioni di franchi, poi stanzia contributi per ogni studente ticinese, come avviene per le altre università svizzere.«Il dato che mi interessa – spiega il Rettore – è che il contributo del Cantone all’USI corrisponde a circa l’1% del gettito fiscale. In molte università svizzere il contributo dei cantoni è del 4-5% del gettito. Inutile confrontare i milioni, piuttosto valutiamo questi parametri. C’è un margine di progressione, anche senza pretendere di arrivare al 4%. Bisogna ricordare alla politica che la nostra è una scuola che contribuisce al progresso economico generale e, da quest’anno, anche allo sviluppo della sanità».Nato nel 1962 a Coira, Boas Erez ha frequentato le scuole a Lugano e si è laureato in matematica a Ginevra, conseguendo anche il dottorato. Ha scelto la matematica perché è una materia che corrisponde al suo modo di lavorare: Erez ha capacità di astrazione e gli interessano i fondamenti e le strutture. È arrivato a Lugano dopo esser stato professore a Bordeaux per tanti anni, ma soprattutto, in Francia è diventato vice presidente dell’università, assumendo quindi importanti mansioni e competenze gestionali.

La grande sfida che attende ora l’USI è l’avvio della facoltà di biomedicina, previsto per il prossimo autunno. Una sessantina di professori è già stata assunta e si conta sull’arrivo di una settantina di studenti che provengono dall’Università di Basilea e dal Politecnico di Zurigo. In Ticino, approfittando della qualità dei nostri ospedali, si potrà conseguire un Master in medicina, una laurea preziosa con i tempi che corrono. Quali sono i progetti per il futuro?«Sarà necessario soprattutto consolidare – afferma il Rettore. – Innanzitutto le scienze biomediche, poi se immaginiamo la nostra università come una rete, con 29 percorsi di studio e con rapporti con altri istituti affiliati, sarà necessario densificare questa rete per arricchire tutta la struttura. In prospettiva, dovremo confrontarci anche con l’annessione della Facoltà di Teologia, che comporterà una maggiore spesa e dovrà essere valutata e approvata dal Parlamento».

Quando gli studenti affermano che Lugano è una città morta, Erez risponde che tocca a loro vivacizzarla. Comunque Lugano non sembra una città universitaria. Bisogna cercare di offrire qualche opportunità in più. Il Rettore continua a sperare che il progetto di riqualifica dell’ex macello possa offrire nuovi spazi a favore dei giovani. «Speravo che la Città fosse più disponibile nel lasciar fare. Si può riattare il macello chiedendo agli architetti di pensare a spazi da autogestire. Poi magari i molinari del Centro Sociale non hanno voglia di entrare in uno stabile di marmo. Se i toni restano pacati, penso che si possa raggiungere una soluzione. È però inutile pensare che la realtà dell’autogestione svanisca. Dovrà essere risolta».

Boas Erez è rock, il Municipio di Lugano è lento. Vedremo come si svilupperà il rapporto tra città e università. Il Rettore guarda al futuro con l’obiettivo di intensificare i rapporti dell’USI con il territorio. Ogni franco investito nell’ateneo crea ricadute per circa 3 franchi nella regione. I posti di lavoro generati dalle start-up sostenute dall’USI sono circa 150. Le ricerche applicate a realtà del territorio una sessantina l’anno. Gli stage svolti da studenti in aziende svizzere sono un centinaio, e gli eventi aperti alla cittadinanza circa 120 ogni anno. I laureati dell’Università della Svizzera italiana, in questi primi 24 anni di vita, sono stati circa 8mila. «Sono matematico di formazione e rettore per passione», afferma Boas Erez, con i suoi occhi sorridenti.