La videointervista


Servizio della giornalista Maria Grazia Buletti (video di Vincenzo Cammarata).


Questione di cuore

Medicina - Alla Clinica Hildebrand di Brissago un percorso riabilitativo favorisce il processo di recupero e guarigione dopo un evento cardiovascolare
/ 26.11.2018
di Maria Grazia Buletti

Un piccolo dolore somatico che persiste anche dopo aver smesso di fumare, una visita dal medico di famiglia per un dolore toracico e l’elettrocardiogramma che mostra «onde anomale». A seguire: un’ecocardiografia dalla quale si desume che alcune zone del cuore sono pigre («ipocinetiche») e si contraggono male. La coronarografia mostra che due delle tre coronarie sono malate («stenotiche, con placche che ostruiscono circa il 70 per cento del lume»). «Per questo paziente c’è un’indicazione all’impianto di stent coronarico, mentre in alcuni altri casi bisogna ricorrere a un bypass»: il cardiologo Davide Girola si occupa di medicina riabilitativa cardiovascolare alla Clinica Hildebrand Centro riabilitazione Brissago e ci presenta l’esempio di un paziente oggi in percorso riabilitativo cardiaco. 

Di cuore, ne abbiamo uno solo, può capitare che non ci avvisi in anticipo quando fa le bizze: «Il paziente si ritrova in ospedale nel giro di 15 giorni per un intervento chirurgico che supera brillantemente, e giunge in riabilitazione dopo 4 o 5 giornate nel reparto acuto». La riabilitazione cardiologica accoglie pazienti reduci da un intervento di cardiochirurgia o da un episodio cardiaco acuto come, ad esempio, l’infarto del miocardio. Rari sono quelli che vi fanno capo in modo preventivo e in previsione di un intervento chirurgico che ha lo scopo di portare la persona al massimo della sua condizione affinché il periodo post chirurgico possa essere affrontato in modo ottimale. 

Possiamo definire questo periodo post-acuto come «la somma degli interventi richiesti per garantire le migliori condizioni fisiche, psicologiche e sociali in modo che i pazienti con cardiopatia cronica o post-acuta possano conservare o riprendere in mano la propria vita e il proprio ruolo sociale», afferma il cardiologo che sottolinea la dimensione multidisciplinare degli interventi riabilitativi, legata a diverse figure professionali: cardiologo, altri medici consulenti specialisti, infermiere, fisioterapista, psicologo, dietista, nutrizionista. «La multidisciplinarietà è una condizione fondamentale per assicurare una cura integrata e complessiva del paziente che rimane l’attore principale, ed è necessaria per intervenire efficacemente sull’evoluzione della malattia cardiovascolare, migliorando l’aderenza ai trattamenti raccomandati nel tempo». 

Oggi la medicina riabilitativa cardiovascolare assume ancora più importanza a fronte dell’incremento della complessità clinica dei pazienti, della presenza costante di comorbilità (cioè la coesistenza di più patologie) e dell’invecchiamento della popolazione. «Inoltre, il nostro è un intervento importante per l’ottimizzazione della durata del ricovero in fase acuta, e permette di perfezionare risorse e appropriatezza di cura», puntualizza il dottor Girola sintetizzando così la moderna medicina cardiologica riabilitativa che per ogni caso non si riduce a un «training fisico», ma «si sviluppa attraverso un’accurata presa in carico con la valutazione diagnostica, la definizione della prognosi e il conseguente programma terapeutico riabilitativo per favorire il processo di recupero funzionale e di guarigione» che segue l’evento acuto o l’intervento chirurgico cardiovascolare. «Punto di forza della nostra presa a carico cardioriabilitativa è la stretta collaborazione all’interno di una rete professionale con il Cardiocentro Ticino: un approccio clinico e organizzativo che assicura proprio la continuità degli interventi clinici, fino alla prevenzione delle recidive». Recidive che potrebbero essere in agguato se il paziente non si responsabilizzasse sul percorso riabilitativo che vuole traghettarlo verso una corretta igiene di vita. 

«Il paziente che ha avuto una diagnosi precoce di malattia cardiovascolare è fortunato, ma la malattia cardiaca si fa viva quando di norma è tardi, anche se poi le capacità di recupero del muscolo cardiaco possono essere straordinarie». Dunque, insieme a una corretta pianificazione farmacologica per controllare eventuali fattori di rischio (come il diabete, per fare un esempio), l’esercizio fisico è il fulcro della riabilitazione cardiovascolare: «Un corretto esercizio aerobico (o di resistenza, come una camminata a ritmo sostenuto e la cyclette) svolto con regolarità (almeno 3 sedute settimanali di 30 minuti ciascuna) costituisce una vera e propria medicina preventiva in grado di ridurre la recidiva di malattia».

Ecco gli obiettivi posti dinanzi ai pazienti: «Vogliamo prevenire o rallentare l’insorgenza delle malattie cardiovascolari, rallentare la progressione della malattia conclamata e migliorare la prognosi vitale dei pazienti, aiutare nel recupero delle posizioni guadagnate nella società e in famiglia con le migliori condizioni psicofisiche e orientare il paziente sulla malattia e sulla terapia». Tutto questo, dicevamo, attraverso un approccio terapeutico globale multidisciplinare che dovrebbe produrre i seguenti effetti: «Una riduzione della mortalità (soprattutto di morte improvvisa nel primo anno post infarto miocardico), il miglioramento della tolleranza allo sforzo, dei sintomi di angina e di scompenso, l’abbassamento del rischio cardiovascolare con conseguente migliore qualità di vita, il ritorno all’attività professionale e una maggiore autonomia funzionale con indipendenza e riduzione della disabilità». 

Considerando che a livello mondiale le malattie cardiovascolari sono la causa principale di mortalità e di ricovero ospedaliero (il medico le etichetta come big killer), dedichiamo l’ultima parte del nostro colloquio con il cardiologo a tutte le persone che possono soffrire di una particolare forma di cardiopatia, quella da stress e che secondo lo specialista sono soprattutto donne: «Un evento stressante oppure anche l’incapacità di sentire e adeguarsi alle proprie emozioni (fenomeno conosciuto come “alessitimia”), unito all’incapacità di dare un significato ai messaggi del proprio corpo, possono avere come esito un evento cardiaco». Così succede che, nell’ambito delle malattie cardiovascolari che meritano un percorso riabilitativo, da decenni è riconosciuta anche la Sindrome di Tako-tsubo: «Si tratta della cardiopatia da stress che la cardiologia riconosce oramai come una malattia psicosomatica che diventa cardiologica per la sintomatologia identica agli eventi cardiovascolari». Ciò significa che i nostri avi erano saggi nel parlare di crepacuore: situazione dettata da stress, talvolta anche prolungati, che dovremmo imparare a gestire per la salute del nostro muscolo cardiaco, visto che non disponiamo di quello di scorta.