Correva l’anno 982 e, narrano le antiche saghe nordiche giunte fino a noi, grazie alle favorevoli condizioni climatiche, l’Islanda era sovrappopolata, con 30mila abitanti. Uno di loro, detto Erik il Rosso (Ereikr inn raudii), macchiatosi di vari omicidi, fu condannato dalla comunità e costretto a espatriare in esilio per non dovere subire sanzioni più gravi. Erik il Rosso, spirito avventuroso e ribelle, forte di numerose voci in merito all’esistenza di una vasta terra coperta di ghiacci a Nord-Ovest dell’Islanda, si mise in mare e dopo cinque giorni di navigazione e molte peripezie, vide spalancarsi ai suoi occhi un territorio le cui coste erano frastagliate da numerosi fiordi, bracci di mare che si sviluppavano verso l’interno. Erano luoghi verdeggianti di pascoli, di boschetti di betulle e dove durante le annate favorevoli maturavano persino le mele, ma lo apprese in seguito. Il nostro fu talmente entusiasta della sua scoperta da battezzare la nuova terra Groenland, da grün = verde.
Dopo cinque anni, al termine del bando che gli impediva di vivere in Islanda, convinse un numeroso gruppo di suoi compaesani a emigrare nella Nuova Terra che tanto prometteva. In Islanda, a causa del notevole sviluppo demografico favorito dalle condizioni climatiche, non restava dunque più terra disponibile per nutrire tutti. Fu così che Erik il Rosso organizzò una spedizione con 24 navi (gli efficienti knarr), cariche con diverse centinaia di islandesi, con animali e tutto l’occorrente per edificare una nuova comunità di pionieri. Durante 300 anni di più o meno favorevoli condizioni di esistenza, la comunità si estinse un poco alla volta fino a scomparire. Le avvisaglie di una prossima recrudescenza climatica creavano i presupposti per l’instaurazione della «piccola era glaciale» che doveva causare un drammatico sconvolgimento della vita umana. Un’epoca durata sino alla fine del 1800.
Occorre ricordare che dal 750 al 1975, nell’Europa occidentale si sono susseguiti ben 825 anni con temperature mediamente superiori a quelle attuali, e 400 anni con temperature mediamente inferiori. Entro questo periodo, il permanente pendolo climatico ha conosciuto anche il lungo lasso di tempo di 350 anni quando si è instaurata la «piccola era glaciale», che ha visto il drammatico svolgersi di innumerevoli episodi negativi per la vita umana. Tra l’altro, l’avanzata dei ghiacciai sulle Alpi, con forzato abbandono di molte terre coltivate da secoli, pestilenze, carestie, disordini sociali.
Qualche storico del clima ha addirittura avanzato l’ipotesi che la Rivoluzione Francese di fine 1700 abbia avuto origine a seguito di pessimi raccolti, e conseguenti carestie causati da una serie di estati disastrose. L’insieme di eventi meteorologici tramandati dai documenti alto-medievali (cronache e annali) sembra testimoniare che nell’Europa occidentale il periodo climaticamente mite, decorso tra il 850 e il 1300, sia stato accompagnato da una notevole siccità, quale conseguenza da un lato della mancanza di piogge, dall’altro della notevole evaporazione delle stesse. A volte, il caldo era forte ed eccessivo e vaste regioni continentali conoscevano ambienti di tipo steppico. Questi eccessi climatici erano favorevoli allo sviluppo delle cavallette.
Le anomalie di cui parliamo sembrano essere state una delle cause delle invasioni dei predatori della vegetazione, i quali, durante il periodo tra il IX e il XII secolo, dilagavano su vasti territori europei, spingendosi in taluni casi fino a settentrione. Nel 873, nove anni prima della partenza di Erik il Rosso per la Groenlandia, si creava un infausto periodo di carestie, durante il quale immensi sciami di cavallette vagavano dalla Spagna alla Germania. Nell’autunno del 1195, come narravano le cronache dell’epoca, questi sciami raggiungevano le attuali Austria e Ungheria. Il flagello delle cavallette si direbbe indomabile considerata l’entità numerica del fenomeno e la vastità dei territori interessati. In vaste aree dell’Asia e dell’Africa, è un problema ricorrente e causa gravi scompensi alimentari.
Dopo l’ultima guerra, anche l’Italia meridionale, Sicilia e Sardegna conobbero le invasioni delle cavallette, che giungevano dai Paesi mediterranei. I servizi fitosanitari preposti attuarono più o meno efficaci operazioni di lotta. Cifre impressionanti. 250-300 miliardi di uova su un area campione di 900 ettari in Puglia. In provincia di Foggia (Capitanata) si calcola siano stati distrutti circa 100 miliardi di individui corrispondenti a tremila tonnellate. In Sardegna, nel 1946, 1’500 ettari erano letteralmente ricoperti dalle orde di cavallette (Grandi, 1954).
Ma certe condizioni climatiche non favorirono solo vikinghi e cavallette, bensì andarono a beneficio anche dei popoli Walser. Nel corso dell’alto Medioevo, e grazie alle favorevoli condizioni climatiche, i Walser (popoli di stirpe germanica), vedendo precluse le vallate alpine già occupate dall’uomo da vecchia data, e con il favore dei potentati dell’epoca – duchi, vescovi e monasteri interessati a colonizzare le alte terre alpine – occupano progressivamente il territorio deserto: località dell’Oberland bernese, nelle valli retiche, nel Tirolo austriaco, oltreché nell’alto Vallese attuale, negli alti bacini valdostani, in quelli Lalsesiani, con importanti stanziamenti in Valle Formazza. Tutti questi gruppi allògeni hanno saputo conservare, grazie all’isolamento degli insediamenti scelti, i caratteri etnici e linguistici originali attraverso i secoli.
Vikinghi, cavallette e i popoli Walser: tutti attori che hanno beneficiato di un considerevole cambiamento climatico.