È tornato l’hockey su ghiaccio. Quello che fa vibrare gli appassionati. Quello delle partite vere. Quello del campionato. Con i suoi derby, e le sue sfide storiche. Quello delle rinnovate speranze. Del Lugano, che vuole riscattare una stagione tribolata e mediocre. Dell’Ambrì-Piotta che, nonostante la partenza della stella Dominik Kubalik, desidera respirare ancora l’atmosfera dei play off. È finito il periodo delle pinocchiesche amichevoli, che difficilmente raccontano la verità. Messa da parte anche la Champions League, sia per chi, come ad esempio lo Zugo, può ancora guardare lontano, sia per chi, vedi i leventinesi, solo con un miracolo potrebbe proseguire nel cammino europeo.
Da osservatore esterno si ha l’impressione che la Champions League abbia un’importanza ridotta, rispetto a quella del campionato. Ciò capitava con le formule precedenti dei vari tornei europei. Idem oggi col nuovo formato inaugurato nella stagione 2014-2015. Sono convinto che ad Ambrì baratterebbero volentieri uno dei tre trofei europei in bacheca (due Continental Cup e una Supercoppa), con un trionfo in campionato. Questo perché, al di là del pathos che trasmette il nostro massimo torneo nazionale, la Hockey Champions League è distante mille miglia, per prestigio e per monte premi, da quella del calcio. Per questa ragione mi sento di affermare che, al contrario, in casa Juventus venderebbero un paio degli ultimi otto scudetti conquistati consecutivamente, pur di avere un paio di coppe dalle grandi orecchie. Che dico un paio! Basterebbe una. Un trofeo che a Villar Perosa, sede della Vecchia Signora, manca dal 1996.
Certo, il prestigio conta. Entrare nel Club delle squadre capaci di salire sul tetto d’Europa dà lustro alla società, e fa esplodere l’adrenalina dei tifosi. Ma oltre a ciò, a fregarsi le mani sono soprattutto i tesorieri.
Nel calcio, la Champions League propone, per il prossimo triennio, cifre da sballo: un budget di 3,9 miliardi di franchi, 2,1 dei quali ridistribuiti come montepremi alle squadre. Chi vincerà l’atto conclusivo incasserà circa 90 milioni, oltre ovviamente agli introiti per le partite casalinghe e per il merchandising, che, più un club vince, più diventa lucrativo. In modo tutto sommato «democratico» l’UEFA Champions League elargisce cifre interessanti anche alle squadre che non vincono. Ad esempio, lo Young Boys, eliminato nei cosiddetti play off, ha beneficiato di un premio di oltre 5 milioni di franchi. Se fosse approdato alla fase a gironi ne avrebbe ricevuti altri 17, oltre a 3 milioni per ogni vittoria, e 1 milione per ogni pareggio. Pensate quindi a quanto può aver guadagnato lo scorso anno la società bernese, grazie alla sua presenza in Europa, contrappuntata anche dal successo casalingo contro la Juventus.
Accennavo sopra a una ridistribuzione democratica. Evidentemente tutto va relativizzato. Si tratta di una democrazia fra grandi, fra ricchi. Di una spartizione che amplifica il divario economico fra i grandi club che calcano i palcoscenici europei, e tutti gli altri che ne sono esclusi. In Svizzera abbiamo assistito per un decennio, al ciclo del Basilea, che pur vendendo ogni anno le sue pedine migliori, riusciva a ricostituire una rosa molto forte per il campionato svizzero, proprio grazie al denaro guadagnato, oltre che con la vendita dei Big, con i premi elargiti dall’UEFA, con gli incassi al botteghino, e col merchandising.
Sion, Lugano, Lucerna, Servette, eccetera, mettetevi il cuore in pace. Secondo questi presupposti, molto difficilmente riuscirete ad allestire una rosa in grado di farvi vincere il campionato, come è capitato in passato. L’unica speranza è credere che, come si suol dire, la palla sia rotonda, e che, come è toccato al Leicester City tre anni fa in Premier League, l’Angelo del pallone possa magari baciare anche voi.
Tutto ciò non accade, e non accadrà nell’immediato futuro, nell’hockey europeo, anche se dal 2022 sono previsti dei ritocchi verso l’alto. Come detto, il montepremi della Hockey Champions League è di 2,1 milioni di franchi. La squadra vincitrice incassa circa 350mila franchi, oltre agli introiti delle partite sul proprio ghiaccio. Se però aggiungiamo le spese di trasferta, volo e soggiorno, spesso in luoghi cari come la Scandinavia, o discosti, come l’Europa dell’Est, se ne deduce che, a conti fatti, in cassa rimangono gli spiccioli. Quanto al prestigio… beh, chi mi sa dire chi ha vinto l’ultima edizione, oppure qual è la squadra che si è imposta più volte? In compenso, ne sono certo, molti mi saprebbero citare il successo di quest’anno del Liverpool, o la tripletta del Real Madrid nel triennio precedente. E non vado oltre.
Lecito quindi interrogarsi sui benefici ottenuti dal Lugano, lo scorso anno, e dall’Ambrì Piotta quest’anno. In Leventina, i conti sono ancora aperti. In casa bianconera, nonostante il superamento della fase a gironi e l’approdo agli ottavi di finale, si è usciti alla pari. Resta, forse, un unico beneficio. Le sfide europee sono partite vere, in cui ritmo, intensità e fisicità non mancano. L’ideale per preparare al meglio il campionato. Ma ciò vale, forse, per la primissima fase, poi sull’arco della lunga ed estenuante Regular Season, serviranno altri argomenti, altre munizioni.