Un ictus o un’emorragia cerebrale: sono i cosiddetti eventi cerebro-vascolari che nella vita possono cogliere di sorpresa e comportano un ricovero ospedaliero urgente della persona colpita. «A pochi giorni dall’evento acuto, il paziente viene inviato alle nostre competenze», esordisce il dottor Paolo Rossi, neurologo e vice primario alla Clinica Hildebrand di Brissago (Centro di riabilitazione, disciplina medica di cui abbiamo parlato nel complesso delle sue specialità su «Azione» no 42 del 15 ottobre 2018).
Nel corso dei mesi ne approfondiremo gli aspetti puntuali, a cominciare dalla riabilitazione neurologica. In medicina il termine «riabilitazione» si riferisce all’insieme delle misure che aiutano a recuperare la capacità di svolgere le attività di tutti i giorni in modo autonomo, tenendo conto dei possibili deficit di movimento e cognizione che derivano dalla malattia. «Più vita ai giorni», ha affermato il primario della Clinica dottor Graziano Ruggieri a proposito degli obiettivi della medicina riabilitativa, sottolineando l’impegno interdisciplinare (che coinvolge paziente e famigliari) volto a restituire la persona a una qualità di vita migliore possibile dopo il trauma subito e le sue conseguenze.
Il dottor Rossi spiega come nella riabilitazione neurologica ciò si manifesta a partire dalla conoscenza precoce del paziente. Un primo contatto del neurologo riabilitatore avviene già durante la degenza in reparto acuto (per esempio una Stroke Unit, Neurochirurgia o reparto di Cure intensive dell’ORL): «Prima si individua il quadro di disabilità, e in che misura questa sia legata ai deficit neurologici, e migliore sarà la prognosi nel percorso riabilitativo». Questo, spiega il nostro interlocutore: «in ragione delle evidenze cliniche della letteratura scientifica internazionale che ne provano l’efficacia sull’outcoming (esito) del paziente stesso in relazione alla precocità della presa in carico riabilitativa».
Così si contestualizza la collaborazione con il Neurocentro dell’EOC, dove a tempo parziale è presente un medico dell’équipe di riabilitazione neurologica della Clinica di riabilitazione stazionaria: «Egli si affianca ai neurologi che seguono il paziente nella fase acuta dell’evento cerebro-vascolare, con il compito di iniziare a valutare le indicazioni circa la sua presa in carico riabilitativa già nello stesso reparto di degenza all’ORL e che proseguirà in Clinica subito dopo le dimissioni dal reparto acuto». Vale la pena approfondire il concetto di valutazione funzionale oggettiva del paziente, i cui risultati determineranno una sua presa in carico individualizzata ai suoi deficit e ai suoi bisogni. Un procedere precorso nel 1980 dall’epidemiologo e reumatologo inglese Phillip Wood, autore di un primo rapporto sul tema per l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): a lui si deve l’originario tentativo di identificare in modo organico le conseguenze invalidanti attese per ogni determinata patologia.
Dal canto suo, il dottor Rossi sottolinea l’importanza di definire a fondo quali siano i deficit neurologici o neuro-psicologici determinanti il quadro di disabilità: «Una cosa sono i deficit, altra cosa è poi la disabilità che ne consegue e che va letta con un occhio generale di valutazione del paziente in relazione alle singole competenze terapeutiche che agiscono in rete». Chiediamo qualche esempio: «Un ictus determina problematiche diverse da persona a persona; per questo dobbiamo valutare contesti che possono esulare dalla patologia, ma che contestualizzano ad esempio l’ambiente di vita della persona. Un paziente in giovane età e attivo professionalmente o uno in età geriatrica presentano peculiarità ed esigenze diverse, che sono curate in modo differente secondo la condizione individuale di ciascuno».
Va puntualizzato che le patologie cerebro-vascolari di cui abbiamo riferito rappresentano una fascia tendenzialmente alta del target dei pazienti presi in carico in medicina riabilitativa neurologica, ma questa si occupa anche di altre patologie croniche come ad esempio la sclerosi multipla: «È una patologia cronica che inizia a manifestarsi tra i 20 e i 30 anni, e che solitamente ha un decorso caratterizzato da cosiddette relapse (ricadute) dove compaiono nuovi deficit neurologici che, appunto, acutizzano nel decorso della malattia».
Malattie come la sclerosi multipla, ci spiega il neurologo, non portano unicamente a disturbi motori: «Talvolta si presentano disturbi della sfera cognitiva come difficoltà di concentrazione o di memorizzazione, ad esempio. Questi ostacoli, di cui dobbiamo tener conto tempestivamente, hanno un impatto molto diverso in queste persone relativamente giovani rispetto alla persona in età già avanzata e bisogna tenerne conto adeguatamente». Il neurologo evidenzia l’importanza di considerare in modo individuale anche gli aspetti sociali e professionali del paziente: «Conoscere il contesto della sua vita ci è utile proprio per gli obiettivi stessi della medicina riabilitativa neurologica fissati per reinserirlo nella sua realtà famigliare, sociale e professionale, laddove ciò sarà possibile e quanto più lo sarà, aiutandolo a sviluppare nuove risorse per far fronte alla sua condizione presente».
Un percorso di cui è ben chiaro l’obiettivo, ma lungo il quale bisogna fare i conti con molte barriere: «È nostro compito cercare soluzioni ad ogni problematica e perciò la figura dell’assistente sociale è parte integrante dell’équipe interdisciplinare: alla luce del quadro finale della disabilità, e secondo il quadro clinico e sociale, valutiamo il procedere e i bisogni presenti e futuri, immaginando cosa potrà essere del paziente alla dimissione dalla clinica».
La riabilitazione neurologica è una disciplina relativamente giovane, caratterizzata da una grande evoluzione nell’ultimo decennio: «Abbiamo rafforzato il concetto di interdisciplinarietà e di presa in carico trasversale di ogni paziente, il cui punto focale rimane il colloquio fra medici, operatori sanitari, paziente e famigliari». Secondo il dottor Paolo Rossi, nei colleghi che accolgono i pazienti in fase acuta è inoltre maturata la consapevolezza che dopo questa prima emergenza si potrà fare «qualcosa in più» per questi pazienti, restituendoli a una nuova vita la cui qualità è il fulcro del percorso riabilitativo.