«Tra moglie e marito non mettere il dito», un vecchio proverbio che invita a non impicciarsi in affari coniugali altrui. La realtà è un’altra: negli ultimi anni la conflittualità, all’interno delle coppie, è in aumento. Il numero dei divorzi o delle separazioni è altissimo, la gestione e l’educazione dei figli diventano motivo di litigi e tensioni. Quando i conflitti di coppia generano negligenza e sfociano in violenza, psichica o fisica, o in molestie e abusi sessuali, il bambino è a rischio, o in pericolo, e può intervenire l’Autorità di protezione. Stessa cosa può valere per un altro anello fragile della società, gli anziani. In questi casi il Codice civile svizzero prevede un intervento statale per la protezione dei minori e degli adulti.
Nel nostro Cantone tale funzione è esercitata dall’Autorità regionale di protezione. Le ARP fanno discutere, perché il campo in cui agiscono è molto sensibile e anche perché in questi anni non sono mancate le lacune nel loro funzionamento.
In Ticino nei mesi scorsi hanno sollevato polemiche due fatti. La scoperta a Pregassona di un appartamento in cui una coppia con due figli viveva in uno stato di degrado, in mezzo a montagne di rifiuti e in compagnia di 18 cani. Come mai le Autorità di protezione non sono intervenute, visto che la famiglia era già stata segnalata come problematica?
L’altra storia è quella di una ragazzina di undici anni prelevata da scuola dall’ARP del Locarnese per una valutazione psicosociale. I genitori sono separati, la mamma ha avuto un burn-out e ha abusato di alcol in un paio di occasioni. Il padre segnala all’ARP la situazione e la madre viene osservata per mesi, finché a dicembre l’Autorità interviene sottraendole la figlia, che viene affidata a un istituto di Mendrisio. La vicenda si risolve con la decisione del giudice, dopo una settimana, di far rientrare la piccola a domicilio. Ma si giustifica un simile intervento?
Casi delicati: la protezione, di adulti o di minorenni, mette in gioco la libertà individuale delle persone coinvolte: a volte si tratta di un atto indipensabile, ma può accadere che una valutazione sbagliata determini interventi ingiustificati.
«Se la comunicazione con le Autorità è difficile e disturbata, cosa che accade sempre più spesso, è importante che ci sia assistenza da parte di terzi per evitare uno sviluppo dei conflitti». È quanto afferma Guido Fluri, promotore di KESCHA, il nuovo Centro svizzero di ascolto e di assistenza del minore e dell’adulto. Fluri, imprenditore di successo svizzero tedesco, è conosciuto per aver lanciato l’iniziativa per la riparazione che ha permesso alla Confederazione di risarcire le vittime di misure coercitive a scopo assistenziale e di collocamenti coatti.
«Quattro anni fa, nell’estate del 2015 – ci dice Pascal Krauthammer, coordinatore di KESCHA – abbiamo notato un cambiamento fra coloro che ci hanno contattato. Oltre alle vittime di misure coercitive si sono fatti avanti giovani madri e padri che ci hanno segnalato problemi con le Autorità di protezione e che ci chiedevano assistenza e aiuto. Il tema è poi stato trattato anche in Parlamento, in occasione della discussione sull’iniziativa di riparazione. Si è sottolineato che non si poteva affrontare solo il passato, ma anche il presente». Nella Svizzera tedesca, negli ultimi anni non sono mancate le critiche alle Autorità (in tedesco KESB: Kindes – und Erwachsenenschutzrecht) e la Fondazione Fluri si è data da fare per pensare a un nuovo approccio in questo ambito. «Le KESB – afferma Pascal Krauthammer – dipendono dalla fiducia della società e soprattutto dalla fiducia delle persone coinvolte. Senza questa fiducia, la protezione dei bambini e degli adulti non funziona. Nel dicembre del 2015 abbiamo radunato 150 esperti del settore della protezione dell’infanzia e degli adulti per valutare come rafforzare la comunicazione fra gli interessati. Così è nata KESCHA, come punto di contatto per le persone che chiedono protezione e per migliorare la fiducia nei confronti delle Autorità. Siamo convinti che le Autorità professionali ed empatiche siano indispensabili per una buona protezione di bambini e adulti».
Anche in Ticino non mancano le critiche alle ARP e il giudice Franco Lardelli, presidente della Camera di protezione del Tribunale d’appello, ammette: «C’è probabilmente una mancanza di fiducia nelle istituzioni. – ha dichiarato alla RSI – Però bisogna stare attenti perché noi possiamo magari fare degli errori, ma è importante che non ci sia una contrapposizione. Se il sistema non funziona, va migliorato. Quindi dobbiamo unire le forze per migliorarlo, non per distruggerlo o eliminarlo».
In Ticino siamo in attesa di una nuova legge per riorganizzare il settore delle ARP, dopo la riforma che ha portato all’abolizione delle Commissioni tutorie. Entro il prossimo anno si dovrà decidere se e come cantonalizzare il servizio, una ristrutturazione necessaria che richiederà anche nuovi investimenti da parte del Cantone. Sul tavolo ci sono due opzioni: organizzare le ARP secondo un modello giudiziario oppure amministrativo. Il giudice Lardelli si è già espresso a favore del giudiziario, ritenuto più affidabile perché ci sarebbe una sola autorità che gestisce tutto. In ogni caso toccherà al Consiglio di Stato proporre, nei prossimi mesi, e al Gran Consiglio decidere.
KESCHA, da parte sua, insiste nell’invitare i Cantoni a lavorare più proattivamente con le Autorità per migliorare la comunicazione, in modo da avere un effetto positivo sulla cooperazione tra autorità e persona interessata alla protezione. Va intensificata l’informazione sul territorio con incontri pubblici che illustrino con trasparenza il ruolo dell’Autorità. La maggioranza di coloro che si rivolgono a KESCHA chiede di migliorare la comunicazione con l’Autorità e quasi tutti pretendono informazioni legali e sulle procedure. «Tutto ciò dimostra che il lavoro del KESB è talvolta giudicato criticamente dal grande pubblico – afferma Pascal Krauthammer – e che l’intervento delle Autorità e dei rappresentanti eletti è visto con diffidenza. Perciò è cruciale il ruolo di mediazione da parte di terzi, come KESCHA. Non si tratta di sostituire la famiglia con lo Stato, ma di fornire sostegno e assistenza temporanea».
Il Centro di ascolto e assistenza del minore e dell’adulto sottolinea che la richiesta di sostegno indipendente non accenna a diminuire in Svizzera. Nel 2018 KESCHA ha trattato 1093 casi e per la grande maggioranza (77,8%) si tratta di conflitti con i curatori. Spesso le persone in cerca di aiuto si lamentano del fatto che i curatori professionali non hanno tempo a sufficienza, sono difficilmente raggiungibili, rimangono inoperosi o sono oberati di lavoro. Di fronte a queste critiche, l’Università di Friburgo, che collabora con KESCHA, consiglia di impiegare, quando possibile, curatori privati con molto tempo a disposizione e vicini alle persone coinvolte. «I consulenti professionali sono importanti – spiega Pascal Krauthammer – soprattutto nel settore della protezione dell’infanzia. Ma poi ci sono molti casi in cui sarebbe meglio ricorrere all’assistenza privata, perché il titolare del mandato privato è più vicino alla persona bisognosa e quindi può instaurare un rapporto più stretto».
La consigliera nazionale Ursula Schneider Schüttel ha inoltrato un postulato per proporre che la legge preveda, al momento di impiegare un curatore professionale, che l’Autorità spieghi per quali motivi non è stato possibile incaricare un curatore privato. Anche la Conferenza per la protezione dei minori e degli adulti (COPMA), che riunisce tutti i responsabili cantonali in materia di protezione, sostiene questa raccomandazione.
La qualità delle misure di protezione è in discussione in Svizzera come in Ticino. Il nostro Cantone dovrà mettere a punto urgentemente la riforma delle ARP e non potrà fare a meno di riflettere su questi aspetti per il bene delle persone fragili che necessitano di protezione.