Si sente parlare spesso di falde idriche inquinate, sversamenti di sostanze tossiche nel terreno, presenza nel sottosuolo di composti velenosi per l’ambiente e l’uomo. In troppi pensano ancora di poter far sparire rifiuti nocivi e sgraditi seppellendoli, come se il terreno fosse un tappeto sotto cui nascondere le magagne. Le statistiche sulle malattie «ambientali» sono però una condanna senza appello: secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) il 24 per cento di tutte le malattie nel mondo è dovuto all’esposizione a fattori ambientali, e gli inquinanti sono tra questi.
Ecco spiegata l’importanza dei risultati conseguiti dal team di ricercatori del Politecnico di Torino, composto da Carlo Bianco, Janis Patiño, Tiziana Tosco e Alberto Tiraferri, coordinati dal professor Rajandrea Sethi, da anni impegnati in ricerca di frontiera nell’ambito delle nanotecnologie applicate alla bonifica di falde inquinate, la cosiddetta Nanoremediation. La ricerca, svolta nell’ambito del progetto europeo Reground (Programma quadro Horizon 2020), è stata pubblicata in questi giorni su «Scientific Reports», rivista del gruppo Nature.
Il risultato raggiunto dal gruppo di ricerca di Ingegneria degli Acquiferi del Politecnico di Torino (Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture – DIATI), guidato dal professor Sethi, è stato di riuscire a rimuovere alcuni contaminanti cancerogeni dalle acque sotterranee mediante l’iniezione controllata di nanoparticelle di ferro in falda.
Va premesso che le acque sotterranee rappresentano una delle risorse idriche più importanti, per qualità e abbondanza: costituiscono circa il 30 per cento delle acque dolci sfruttabili dall’uomo, mentre il restante 6 si trova accumulato sotto forma di ghiaccio e meno del 2 per cento è disponibile nei corpi idrici superficiali. La bonifica e il ripristino ambientale dei sistemi acquiferi contaminati rappresenta quindi un tema di grande interesse e attualità.
Lo sviluppo delle nanotecnologie negli ultimi anni ha compiuto progressi notevoli, e in diversi campi dalla medicina all’energia, dall’elettronica all’ambiente. I nanomateriali, grazie alle loro dimensioni estremamente ridotte, presentano spesso delle proprietà peculiari che li rendono più efficaci rispetto a materiali e soluzioni tecnologiche più convenzionali. I più utilizzati in ambito di bonifica dei siti contaminati sono a base di ferro zero valente.
Il ferro zero valente, in forma però millimetrica, quindi non iniettabile, è già stata utilizzato con successo come materiale di riempimento di barriere reattive permeabili, predisposte per rimuovere inquinanti organici (principalmente idrocarburi clorurati) e inorganici (soprattutto metalli pesanti) dalle falde idriche.
La Nanoremediation è una tecnologia di bonifica basata sull’iniezione nel sottosuolo di nanomateriali reattivi per la degradazione dei contaminanti in loco. Si sta dimostrando uno degli approcci più innovativi, estremamente efficace e promettente in studi di laboratorio, con un ostacolo da superare: l’applicabilità alla scala di campo era limitata da alcune problematiche tecniche e tecnologiche relative alla stabilità e all’iniettabilità delle nano-sospensioni, al costo del materiale reattivo e alla sua efficiente distribuzione nel sottosuolo. In molti casi non era possibile controllare in modo efficace che le nanoparticelle si depositassero in corrispondenza della zona contaminata.
Lo studio pubblicato su «Scientific Reports» dal team di Torino presenta una strategia di iniezione innovativa capace di superare questi limiti, consentendo pertanto di migliorare notevolmente il processo di Nanoremediation. «L’approccio che proponiamo – spiega Carlo Bianco – sfrutta l’iniezione sequenziale e modulata di una sospensione stabile di nanoparticelle e di un agente destabilizzante, che induce una migrazione ottimale delle nanoparticelle in falda e successivamente una deposizione controllata nella zona desiderata». Un modello matematico, sviluppato dai ricercatori, supporta la progettazione delle fasi di iniezione, consentendo di adattare la procedura all’applicazione specifica. L’approccio è stato applicato con successo a scala di laboratorio per controllare la distribuzione spaziale in mezzi porosi di nanoparticelle di ossido di ferro, sviluppato nell’ambito del progetto europeo Reground per la bonifica di acquiferi contaminati da metalli pesanti. Attualmente sono in corso sperimentazioni sul campo in siti inquinati in Portogallo e in Spagna.