(FSS)

Parlare con le mani

Lingua dei segni – Incontro con Pietro Celo formatore per interpreti, consulente presso la Federazione svizzera dei sordi e Direttore pedagogico del Centro oto-logopedico all’Istituto Sant’Eugenio di Locarno
/ 18.02.2019
di Alessandra Ostini Sutto

Lingua dei segni, la maggior parte delle persone ha una conoscenza vaga o superficiale di questo mezzo di comunicazione usato dalle persone sorde o dagli udenti che vogliono rapportarsi con esse. Non tutti sanno, per esempio, che si tratta di una vera e propria lingua, dotata di una grammatica e declinata in numerose versioni, che corrispondono alle varie nazioni, quando non addirittura regioni. «Quella dei segni è però una lingua in assenza di suoni: si agisce con le mani e si “sente”, si capisce, attraverso la vista. Se nelle lingue parlate la modalità di trasmissione della comunicazione è acustico-vocale, nella lingua dei segni essa è visivo-manuale», afferma Pietro Celo, consulente di Lingua dei Segni presso la Federazione svizzera dei sordi (SGB-FSS) e Direttore pedagogico del Centro oto-logopedico Istituto Sant’Eugenio di Locarno. I segni sono spesso intuitivi e ricordano i gesti che vengono fatti quando si vuole mimare qualcosa. «Non c’è una corrispondenza diretta con le lingue vocali: ci sono singoli segni che possono esprimere un concetto che in italiano va detto con più parole, mentre vi sono termini particolarmente densi per i quali occorrono più segni», continua Celo, che è pure progettista e formatore di corsi per interpreti di Lingua dei segni (presso la SUPSI, la Scuola Club Migros e l’OPPI di Milano).

Per chi avesse a questo punto la curiosità di provare a tradurre qualche parola in questa lingua poco conosciuta, sul sito della SGB-FSS (www.sgb-fss.ch) è a disposizione un pratico dizionario: basta immettere il termine nel campo di ricerca e appare un breve video che mostra il segno corrispondente.

Per comunicare con persone di diversa provenienza, i sordi utilizzano la lingua dei segni americana oppure quella internazionale. Quest’ultima è stata artificialmente creata per tale scopo, un po’ come si voleva fare con l’Esperanto per le lingue orali. Tutte le altre lingue dei segni sono invece lingue storico-naturali, nel senso che si sviluppano all’interno di una comunità praticante, come accade per le lingue vocali. Formando una minoranza linguistica, le persone non udenti tengono fortemente alla vita di comunità, ed è generalmente in questo contesto che apprendono spontaneamente la lingua dei segni.

«La lingua dei segni italiana – quella di cui mi occupo – è una lingua che nasce, strutturata come la conosciamo adesso, tra la metà e la fine del Settecento negli Istituti per sordomuti in Italia», spiega il docente, interprete e traduttore della Lingua dei segni. Successivamente, i suoi utenti cominciano ad usarla al di fuori della loro comunità, per esempio nei circoli, presso le associazioni o semplicemente al bar.

La sua storia non fu però sempre rosea. Un po’ in tutto il mondo la lingua dei segni visse infatti un lungo periodo di repressione: «Il punto di svolta fu il congresso mondiale che si tenne a Milano nel 1880, nell’ambito del quale gli educatori decisero di ritenere la lingua dei segni un modo di comunicare troppo primitivo, non adatto a sviluppare l’intelligenza degli esseri umani. Negli Istituti si passò ad un insegnamento di tipo oralista e la lingua dei segni divenne clandestina, utilizzata cioè dai sordi in occasioni private, al di fuori dell’ufficialità della scuola», spiega Pietro Celo. Soltanto negli anni 80-90 del Novecento, fu riconosciuto il valore sociale, grammaticale e linguistico di questo strumento di comunicazione. La volontà, poi, di far conoscere questa lingua anche agli udenti, è stata spontaneamente favorita dall’avvento dei nuovi media, con i quali la componente visiva acquista importanza. «L’interpretazione nella lingua dei segni in televisione, la possibilità di effettuare videochiamate o partecipare a videochat sul telefonino o ancora la diffusione di filmati su YouTube, hanno contribuito ad una diffusione del modo di comunicare delle persone non udenti, oltre ad aver migliorato la qualità della loro comunicazione», afferma l’esperto.

Anche se la Svizzera non effettua rilevamenti statistici specifici, si stima che siano circa 10mila le persone affette da sordità profonda, il che corrisponde a meno dello 0,1% della popolazione. A queste si aggiungono le circa 600mila che hanno una debolezza d’udito. La comunità della lingua dei segni – nelle tre versioni nazionali – conta almeno 20mila persone. «Paradossalmente nella Confederazione ci sono più utenti delle lingue dei segni che parlanti del ladino», continua il linguista. Nonostante questi dati, la Svizzera è rimasta uno dei pochi paesi del continente europeo a non riconoscere ufficialmente le proprie lingue dei segni. La Federazione Svizzera dei Sordi auspica che la Confederazione decida di intraprendere questo passo. Quale organizzazione mantello, la SGB-FSS si impegna affinché vengano eliminate le barriere con le quali si scontrano tuttora le persone audiolese. «Quello di cui bisognerebbe rendersi conto è che questo sarebbe un atto di civiltà che la società fa prima di tutto per sé stessa. La società dovrebbe accogliere tutti, quindi cresce e diventa civile nel momento in cui fa le cose per tutti», commenta Pietro Celo, che conosce bene quello di cui parla, essendo figlio udente di due genitori sordi.

Tra i progetti portati avanti dalla Federazione, segnaliamo il Café des Signes, che trasforma, per alcune ore, un ristorante o un bar in un luogo d’incontro tra persone sorde (che, per l’occasione, lavorano per l’esercizio pubblico) e udenti (i clienti). «Per la durata del caffè si utilizza esclusivamente la lingua dei segni; chi non la sa, ci prova e comunque può, per una volta, percepire la vita di chi non sente», commenta Celo, «restando in tema, proprio in questi giorni c’è stata la proposta di fare un Cafè des Signes alla buvette del Parlamento a Bellinzona, che speriamo vivamente si possa concretizzare a breve».

La comunicazione, per le persone sorde, non corrisponde però unicamente alla lingua dei segni, anche perché, ovviamente, quest’ultima concerne soltanto la dimensione dell’oralità. Per leggere e scrivere essi usano l’italiano e sono quindi, in questo senso, bilingui. Una parte delle persone sorde usa, a volte, l’italiano pure per esprimersi: «Spesso si tratta di un italiano un po’ difficoltoso perché chi lo parla, in questo caso, non è in grado di sentire sé stesso», afferma Pietro Celo. Terza opportunità di cui dispongono i non udenti è la lettura labiale, che in genere è complementare alle precedenti. Anche se l’interlocutore parla di modo lento e chiaro, le persone sorde riescono infatti a captare solo parte delle parole pronunciate e sono molte le variabili che rendono ulteriormente difficile la comprensione, come una luce sfavorevole o la presenza dei baffi. Inoltre la lettura labiale è molto stancante e non si addice a discorsi lunghi, complessi o che trattano argomenti sconosciuti. Per questi motivi, i bambini fanno molta fatica a leggere le labbra.

Quello che però più conta, per loro, è che entrino il più precocemente possibile in contatto sia con la lingua dei segni che con quella parlata, dal momento che la maggior parte dell’apprendimento linguistico avviene in età prescolare. Per venire in aiuto alle famiglie, la FSS propone dei corsi a domicilio, nell’ambito dei quali tutti i membri apprendono la lingua dei segni, affinché sia possibile comunicare sin da subito. Oltre a ciò, l’insegnante – che funge da modello d’identificazione per il bambino audioleso – è a disposizione per rispondere alle domande della famiglia.

La Federazione svizzera dei sordi propone poi dei corsi per imparare la Lingua dei segni in collaborazione con la Scuola Club Migros. «Attualmente proponiamo corsi di primo e secondo livello, cioè A1.1 e A2.2, e nel giro di qualche anno vorremmo arrivare almeno al livello B.1 del Quadro comune di riferimento per la conoscenza delle lingue, riconosciuto internazionalmente», puntualizza il linguista. Questi corsi sono frequentati prevalentemente da persone udenti, che apprendono la grammatica e i singoli segni, ma soprattutto entrano in contatto con un sistema linguistico-visivo per loro nuovo. Le persone segnanti pensano infatti tramite immagini e per gli udenti ciò rappresenta un’enorme sfida a livello d’apprendimento. «Oltre a ciò, FSS e Scuola Club Migros portano avanti un interessante progetto di formazione di interpreti della lingua dei segni, in collaborazione con la Scuola intercantonale di pedagogia curativa di Zurigo», conclude Pietro Celo.