Pare che… insomma è certo

Comunicazione – Dal resoconto alla diceria il passo è breve: nel processo entrano in gioco preferenze linguistiche, attitudini emozionali, simpatie o antipatie personali
/ 24.09.2018
di Massimo Negrotti

Uno scrittore italiano, Giuseppe O. Longo, ha argutamente osservato che, bufali intenti a brucare e minacciati improvvisamente da un leone, generalmente fuggono in massa e, dopo un po’, si fermano ricominciando semplicemente a brucare. Anche gli uomini, di fronte alla stessa minaccia, fuggono ma, arrivati al villaggio più vicino, raccontano.

Fra le varie manifestazioni del bisogno umano di esprimersi e di comunicare, quella che assume i caratteri del racconto è fra le più costanti nella storia e include non solo resoconti accurati su un evento, magari di ordine scientifico, ma anche miti, nei quali i fatti si mescolano con la fantasia, o fiabe in cui la fantasia gioca un ruolo esclusivo. Di quello che potremmo definire l’istinto del narrare si sono occupati antropologi come Claude Lévi-Strauss e filosofi come Jean-François Lyotard ma è soprattutto il primo ad aver colto la «causa» più persuasiva delle narrazioni mitiche. In buona sintesi, viene sottolineato che i miti hanno la funzione di dare risposta a quesiti o problemi che non si prestano a spiegazioni razionali.

Sul piano sociologico le dicerie e le «voci» svolgono la stessa funzione ma hanno una diversa natura. Infatti, mentre il mito può far riferimento ad entità immaginarie – basti pensare a figure come il Minotauro – le dicerie non escono dal recinto delle cose reali e delle informazioni al loro riguardo, anche se le pongono in relazione secondo modalità arbitrarie e quasi sempre non verificabili. Il caso, classico, degli untori di cui parla il Manzoni ne I promessi sposi, è interessante perché, forse per la pur vaga e iniziale atmosfera di apertura verso le scienze del secolo XVII, non chiama in causa entità sovrannaturali bensì un generico «unguento», cioè una possibile sostanza reale, ancorché sconosciuta, che, nelle mani di uomini cattivi, diffondeva la peste. L’idea di quell’unguento costituiva in fondo una ipotesi che, peraltro, era stata avanzata anche da vari «dottori» del tempo. Naturalmente non si trattava di un unguento bensì di un batterio e la malefica volontà umana non aveva alcun ruolo.

La differenza fra un’ipotesi e una semplice diceria è, semmai, il fatto che, mentre un’ipotesi attende la verifica sperimentale, una diceria vive di vita propria ed è ritenuta «vera» senza alcun bisogno di controllo.

In definitiva una diceria nasce, si sviluppa e si diffonde quando, su un certo evento, mancano conoscenze razionali e ufficiali, dunque dichiarazioni istituzionalmente affidabili. Nelle dicerie, soprattutto in quelle che vertono su episodi negativi come omicidi o stragi, ma anche degenerazioni ambientali, fenomeni epidemici e persino crisi economiche gravi, le informazioni e le insinuazioni, all’origine magari poste in termini pacati, passando di bocca in bocca raccolgono a valanga il «contributo» di numerosi attori finendo per divenire verità pubbliche assodate. Un linciaggio avviene quando il fenomeno comunicativo si sviluppa in brevissimo tempo, all’interno di una folla.

Molto interessante è, quindi, il processo attraverso il quale un resoconto prende la forma di una diceria. Nel suo sviluppo, in effetti, entrano in gioco le nostre preferenze linguistiche, le nostre attitudini emozionali e, inutile dirlo, le nostre simpatie o antipatie. A metterlo in luce per la prima volta è stato il famosissimo esperimento di Gordon Allport e Leo Postman negli anni 40 del secolo scorso. Essi dissero ad un soggetto che, in un vagone della metropolitana, vi era un bianco malvestito e con l’aria da teppista, dalla tasca del quale si vedeva sporgere il manico di un coltello. A fianco di costui c’era un uomo di colore ben vestito che portava una elegante valigetta. Il soggetto al quale era stata data questa informazione doveva semplicemente comunicarla ad un altro soggetto e così via per un certo numero di passaggi. Alla fine della catena, il resoconto fu che l’uomo di colore brandiva minacciosamente il coltello davanti al bianco indifeso. Il resoconto, come è facile immaginare, era stato modificato step by step dall’aggiunta di aggettivi, di avverbi, dall’eliminazione e dall’aggiunta di elementi linguistici che avevano gradualmente ma, alla fine, radicalmente modificato la descrizione originaria.

Nelle dicerie avviene la stessa cosa: un’espressione come «…pare che Tizio abbia visto…» diviene «…Tizio ha visto…», oppure «…probabilmente la causa è stata…» diviene certezza col dire «…la causa è stata…» oppure «…Tizio era abbastanza irritato…» diviene «…Tizio era visibilmente furioso…» e così via. Il giornalismo, soprattutto la cronaca, è piena di mutazioni di questo genere e ciò non fa che confermare quanto Pirandello aveva sostenuto lamentando che, anche sul piano letterario, «avvenuto il passaggio da uno spirito all’altro, le modificazioni sono inevitabili».

Naturalmente tutto questo rende spesso assai difficile il lavoro dei giudici allorché, di fronte a testimonianze diverse fra loro, devono accertare se e quale versione dei fatti sia affidabile. Ciò avviene costringendo il testimone a limitare le sue risposte a semplici «sì» o «no» ma tale nettezza logica può contrastare con la ricchezza linguistica, cioè gli aggettivi, gli avverbi e lo stile discorsivo con cui viene posta la domanda.

Su molte questioni la garanzia proviene dalla scienza ma, anche qui, quando una ricerca scientifica arriva ad una conclusione provvisoria e probabilistica in attesa di future convalide, la sua diffusione nei mass media e nei circoli privati genera spesso inesorabilmente la trasformazione dell’ipotesi in verità acquisita. E la ragione è sempre la stessa, ossia la nostra insofferenza per l’incertezza e le probabilità, che ci spinge a stabilire con convinzione come stanno le cose saltando a piè pari i «dettagli» del rigore degli accertamenti.

Può sembrare paradossale e deludente, ma la nostra attuale società, nonostante la sua auto-definizione come «società della conoscenza», di fronte alla sempre più evidente complessità e indeterminabilità di numerosi aspetti della nostra esistenza individuale e collettiva, agisce e reagisce ancora oggi nel quadro di pulsioni e ingenuità che, fra urban legend, dicerie e rumor ci pongono non raramente sullo stesso piano, e per le stesse ragioni, dei popoli più primitivi.