OTAF in scena per i suoi 100 anni

Nell’ambito dei festeggiamenti per l’anniversario, la Fondazione di Sorengo ha proposto un evento itinerante di teatro di comunità che ha coinvolto artisti del SCT Centre di Torino, utenti, famigliari e operatori
/ 26.06.2017
di Stefania Hubmann

Visi illuminati dal sorriso, visi che si commuovono. Le emozioni di centinaia di partecipanti all’evento itinerante di teatro di comunità promosso dalla Fondazione OTAF di Sorengo in occasione dei festeggiamenti del centenario riflettono il vissuto del centro per persone disabili. Limiti, difficoltà, ma soprattutto speranze, piccoli progressi e gioie quotidiane sono stati restituiti alla comunità interna e al pubblico delle porte aperte di inizio giugno attraverso «Albergo della luce», un viaggio negli spazi e nelle vite della struttura. Concepito dal Social Community Theatre (SCT) Centre dell’Università di Torino, ideatore di questa metodologia, l’articolato progetto, composto da più azioni artistiche e formative sull’arco di oltre un anno, è stato concepito e realizzato coinvolgendo l’intera collettività del centro, composta da circa 380 ospiti con le loro famiglie e 350 dipendenti.

Attraverso questa performance, che utilizza più linguaggi (narrazione, musica, fotografia, danza, scenografia) si è voluto restituire l’anima di un luogo, l’OTAF, divenuto oggi un vero e proprio quartiere situato ai margini del Comune di Sorengo e ai piedi della Collina d’Oro. L’anno del centenario segna infatti anche la conclusione della profonda trasformazione della proprietà protrattasi per oltre vent’anni. Il piano elaborato dall’architetto Mario Botta e gli edifici da lui progettati (le tre «vele») rispecchiano la volontà di apertura e il ruolo essenziale della luce, elementi ripresi anche dal progetto teatrale. Apertura fisica, innanzitutto, in quanto oggi dalle strade principali si possono scorgere i diversi stabili e soprattutto si può accedere al giardino Elia, parco giochi fruibile da tutti. È qui che si è concluso il percorso teatrale, in un luogo d’incontro che rappresenta il ponte con la popolazione locale, con quel mondo di cui l’OTAF vuole essere parte integrante.

Il parco Elia è situato giusto dirimpetto al luogo d’origine del centro, dove sorgeva l’edificio «Lichtort» (luogo della luce) nato come albergo e divenuto nel 1922 la prima casa dell’OTAF. Oggi di quell’edificio, al quale il teatro di comunità ha reso omaggio con il titolo, sono rimaste l’insegna appesa nel corridoio delle terapie e alcune porte trasformate in oggetti decorativi. Lo spirito della casa e della maestra Cora Carloni, storica direttrice dell’«Ospizio bambini» di Sorengo, è però rimasto intatto. L’Opera Ticinese per l’Assistenza alla Fanciullezza (OTAF) si è costantemente sviluppata per rispondere ai bisogni delle persone disabili sull’arco dell’intera vita come dimostra Casa Nava, struttura medicalizzata per adulti inaugurata in concomitanza con le tre repliche di «Albergo della luce». Nei cento anni di storia non si è però mai persa l’attenzione rivolta all’aspetto umano della presa a carico. Aspetto umano che abbiamo ritrovato nell’esperienza della performance itinerante, così come i molteplici riferimenti alla carismatica figura di Cora Carloni, alla quale è dedicata la casa dei minorenni. Il ricordo della prima direttrice, personalità forte e innovativa, è ancora molto vivo, come conferma la testimonianza di una signora incontrata lungo il percorso, vissuta per un periodo all’ospizio negli anni Cinquanta. Il suo ricordo: «Cora Carloni era molto brava. Aveva una piccola Topolino nera, entravamo in tanti e ci portava in Curia, dal Vescovo, per la preparazione della Cresima».

«In occasione del centenario – spiega il direttore Roberto Roncoroni – abbiamo scelto quale filo conduttore l’incontro, per costruire ponti all’interno e all’esterno dell’OTAF. L’idea di rivolgersi al SCT Centre di Torino ne è il primo esempio, poiché è giunta dall’interno, dall’educatore Andrea Della Neve. Entrambi siamo appassionati di teatro e ho quindi sottoposto il progetto al Consiglio di Fondazione che l’ha accolto dandoci piena fiducia».

L’incontro con l’équipe torinese, guidata dalla direttrice artistica e regista Alessandra Rossi Ghiglione, ha dato vita a un progetto di Teatro Sociale e di Comunità, metodologia riconosciuta ed affermata a livello europeo. Il significato di questo concetto lo spiega direttamente la regista, incontrata all’OTAF durante l’ultima settimana di preparazione dell’evento. Alessandra Rossi Ghiglione: «Nel nostro metodo il teatro e le performing arts sono utilizzate per lo sviluppo dell’uomo e delle sue relazioni nella vita personale, professionale e comunitaria. Partiamo dalle storie dei singoli per poi restituire al gruppo un racconto che racchiude questi vissuti e che gli permette di riconoscersi come comunità. L’arte è un grande catalizzatore di emozioni che accelera i processi naturali e stimola nuovi modi di guardare alla propria vita». Nel caso specifico dell’OTAF come ha lavorato? «Abbiamo iniziato circa un anno fa con un piccolo gruppo eterogeneo di quindici operatori che abbiamo chiamato le Antenne sensibili. Con loro abbiamo approfondito le caratteristiche del linguaggio teatrale in una sessione residenziale nella sede di Sommascona. Le Antenne Sensibili sono state le prime a raccontarci le loro storie di vita e farci conoscere la vita all’OTAF. Sono seguite altre interviste, una sessantina in totale, che hanno coinvolto consiglio di fondazione, direzione, ospiti, dipendenti e famiglie».

Alcune di queste storie sono state inserite nella performance, pensata quale spettacolo itinerante per far conoscere e dar valore ai numerosi e diversi spazi dell’OTAF. Sull’arco di un paio d’ore, attraverso tappe comuni per i 240 partecipanti e altre suddivise in quattro gruppi, siamo stati partecipi in forme diverse della vita quotidiana dell’OTAF, compresi gli aspetti funzionali e i rimandi alle sedi esterne, come ad esempio la fattoria di Origlio. Un pianoforte tra i pini marittimi per un’esibizione a quattro mani, giovani violoncellisti nella falegnameria e ancora questi ultimi uniti ad un fisarmonicista nel finale hanno assicurato preziosi momenti meditativi. La collaborazione con il Conservatorio della Svizzera italiana per la parte musicale è uno dei legami che questo progetto ha permesso di instaurare con il territorio.

Ponti sono stati gettati anche fra i numerosi dipendenti attivi in settori molto diversi, dalla logistica alla cura, dalla cucina alle terapie. «A livello di formazione – precisa al riguardo Alessandra Rossi Ghiglione – abbiamo organizzato due incontri per trasferire le competenze acquisite dalle Antenne Sensibili – come la capacità di ascolto, la cooperazione e la costruzione di una relazione di fiducia – ai rispettivi team di lavoro. La relazione con le persone disabili richiede un grande cambiamento di attitudine ed è caratterizzata da tempi lenti e ripetitività, ma anche da imprevisti e impegno fisico. Bisogna essere creativi, attenti e allo stesso tempo pazienti. Questo genera fatica, per cui è necessario riuscire a mantenere o recuperare il proprio benessere per continuare ad assicurare quello degli ospiti soprattutto dal punto di vista del rapporto umano. Il miglioramento della capacità di attenzione e di tenere alta l’energia sono i primi riscontri che abbiamo avuto dal gruppo iniziale». Tutti gli operatori hanno inoltre già beneficiato di una serata di comunità lo scorso dicembre, mentre a fine 2017 è previsto uno spettacolo da palco incentrato sul vissuto delle famiglie.

Attraverso il simbolo della luce bianca, che racchiude tutti i colori e quindi anche tutte le diversità dell’essere umano, l’OTAF ha voluto per il suo centenario farsi conoscere per quello che è. Il direttore: «L’intero arco della vita è presente all’OTAF, dal bambino di 3 anni all’anziano di 71. Abbiamo voluto offrire l’esperienza di scoprire questa vita, di esserne partecipi, di incontrarsi. La società ha bisogno di condivisione per poter produrre trasformazioni. Il nostro è un messaggio di condivisione, di confronto e conoscenza all’interno e all’esterno del nostro quartiere, per guardare attraverso l’arte alla bellezza e alla ricchezza della diversità».