I dinosauri sono di moda da quando il film «Jurassic Park» di Spielberg ha avuto un grande successo di pubblico in tutto il Mondo contribuendo a fare conoscere questi esseri, viventi di un lontano passato. Nel corso dei decenni del Novecento, nei più famosi musei americani ed europei, era esposto un freddo assemblaggio di ossami. Ma, grazie alle attuali e rivoluzionarie tecniche, è stato possibile riprodurre le sembianze dell’intero animale in movimento, e non senza un briciolo di fantasia. Tecniche che hanno reso vivida l’immagine di queste creature e il mondo che le circondava.
«I dinosauri ci sono familiari più di qualsiasi altra creatura del passato», scriveva il famoso paleontologo Björn Kurtén. Questi rettili, che tanto hanno colpito gli uomini, hanno costituito un vero successo evolutivo nella storia del popolamento animale della Terra. Nell’acqua, nel cielo e sulla terra ferma, ovunque hanno dominato durante 140 milioni di anni, colonizzando dall’Asia centrale all’Alaska, dalla Patagonia al Sud Africa, e attraverso la paleo-Europa di allora. Erano spesso grandi, maestosi e, ai nostri occhi, dalle sembianze terrificanti. Questi esseri dovrebbero essere considerati come degli esperti nell’arte della sopravvivenza durante un periodo non indifferente nella storia evolutiva del mondo animale sul nostro Pianeta. Indubbiamente sono esseri che suscitano interesse e inquietudine negli uomini, persino nei bambini, come è stato recentemente appurato.
Secondo Luca Zulliger, paleontologo e direttore del Museo dei fossili di Meride, nel quale sono esposti fossili e modelli di animali più antichi dei dinosauri, la passione per gli animali preistorici è dovuta al fatto che sono grandi e imbattibili, e non esistono più. Da bambini si immagina questo mondo di centinaia di milioni di anni or sono, scomparso per sempre; si può fantasticare senza limiti: «Quando vengono qui le scolaresche, vi sono giovani studenti che conoscono a memoria tutti i dinosauri con il loro nome scientifico. Sanno esattamente come erano fatti, di che cosa si nutrivano, dove vivevano. Li conoscono quasi meglio di me, che mi occupo degli organismi più antichi» (Stefania Prandi, «Azione», 14 maggio 2018).
Uno dei dinosauri, che ha suscitato il più vivo interesse nel pubblico, è il Tyrannosaurus rex, animale che vagava nelle lagune del Nord America. Era lungo 13 metri, pesava 8 tonnellate, e ingurgitava 110 chili di cibo ogni giorno. Un temibile predatore dei pacifici dinosauri vegetariani, le cui carni dilaniava con i suoi denti lunghi 15 centimetri. E poi questi rettili dominatori del Mondo sono lentamente scomparsi nell’arco di qualche milione di anni per cause tuttora discusse dagli studiosi: per una stanchezza congenita dovuta alle loro dimensioni, per colpa delle strutture troppo complicate, oppure a causa di un gigantesco meteorite che sconvolse tutte le situazioni ambientali presenti durante lunghissimi periodi geologici sul Pianeta?
Domande tuttora senza risposta. All’epoca dei dinosauri persisteva una grande uniformità ambientale su tutto il Globo. Faceva molto caldo ovunque, anche dove oggi sono presenti le calotte polari. Ma a quei tempi, la posizione geografica dei poli era differentemente localizzata. La vita si svolgeva in un’atmosfera satura di anidride carbonica (CO2) ben maggiore di quella attuale (Brusatte, 2018). C’era acqua dovunque: un’acqua caldiccia su superfici di immense dimensioni, di tipo lagunare-paludoso.
Durante gli ultimi due secoli (1800-2000) sono stati scoperti i resti di migliaia di scheletri di dinosauri ovunque nel Mondo, appartenenti a oltre 800 specie finora descritte. Per contro, le testimonianze del girovagare di questi animali sono molto scarse : si hanno infatti poche impronte delle loro zampe, (la picnologia è la disciplina che studia e interpreta le impronte fossilizzate).
Grande sensazione, e grazie al regresso dei ghiacciai, ha suscitato la scoperta nella regione alpina di questi documenti preziosi, nel massiccio del Monte Bianco (Aiguilles-Rouges, 1968), nelle Alpi Vallesane, (Vieux-Emosson a 2300 metri nel 1980) e, in epoca del tutto recente, in quelle Grigionesi (Piz Ela, 3290 metri, dal 1961 ad oggi), e nel cantone Glarona.
Queste scoperte sono state possibili grazie al regresso dei ghiacciai sulle Alpi fino ad oltre 3000 metri di quota, a seguito del sollevamento alpino (orogénesi alpina). Secondo gli studiosi del clima, negli ultimi 6mila anni (e con la parentesi della piccola era glaciale, 1450-1860), mai i ghiacciai si sono ritirati nelle attuali posizioni, ricordando il sensazionale ritrovamento di Oetzi, l’uomo dei ghiacci in Tirolo.
L’innalzamento alpino ha consentito quello concomitante dei sedimenti rocciosi contenenti le tracce (impronte) fino alle quote attuali, le più elevate finora conosciute in tutto il Mondo. Non si è trattato, dunque, di «dinosauri alpinisti». Sono testimonianze dell’antico Mare della Tetids e di una vittoriosa vita prolungatasi nel corso di lunghi periodi geologici. Il risultato del processo di consolidamento della fanghiglia e della sabbia, trasformate in arenaria e in roccia calcarea. Il risultato dello zampettare di branchi di dinosauri sulle rive di un mare immenso poco profondo, dove ora vi sono le montagne.
Le impronte, spesso vistosamente ben conservate (foto), larghe fino a 20 centimetri, sono state lasciate da animali che si spostavano su un suolo umido, ma non troppo, permettendo al piede di imprimersi facilmente lasciando una traccia netta. Ma affinché la traccia rimanga ben visibile è fondamentale che essa non venga obliterata dall’erosione del vento prima del suo consolidamento. In definitiva, la conservazione si è unicamente realizzata in virtù della concomitante presenza di vari fattori favorevoli. Innanzitutto, sulle rive stagnanti di un mare lagunare, paludoso, e in presenza di un favorevole clima caldo-umido di tipo equatoriale.
Si è riferito qui di fossili «giganti», ma non meno interessanti sono quelli «minuscoli». Nel quadro dell’interessante e complesso mondo animale di minute dimensioni che popola l’alta montagna, spicca per la sua presenza un gruppo di piccoli Coleotteri (1-3 millimetri) viventi in permanenza in altitudine fino a 4000 metri (nelle Alpi) e fino a 5400 metri nel gruppo del Monte Everest, nell’Himalaya. Si tratta dei Coleotteri stafilinidi del genere Leptusa (disegno), peculiari per alcuni caratteri morfologici ancestrali: assenza delle ali (aspetto che, ovviamente, impedisce loro di volare), per gli occhi ridotti, e per le loro zampe accorciate denotanti lenti spostamenti nelle fessure del suolo. Questo insieme di caratteristiche non è un sintomo di senilità morfologica, bensì deve essere interpretato come il risultato di un aumento di vitalità, di efficienza e di un potenziale evolutivo in un ambiente ostile a causa delle situazioni micro-climatiche e ambientali, veri fattori-filtro che giocano a favore dell’organismo fisiologicamente meglio equipaggiato e adattato.
Sulle Alpi, oltre una certa quota e fino a quasi 4000 metri (come sulla Meije, nel Delfinato francese) le Leptusa sono predominanti in una catena alimentare molto semplice. Pollini, spore, micro-alghe nutrono gli Insetti Collemboli. Organismi molto primitivi, scoperti su rocce vecchie oltre 400 milioni di anni in Scozia (epoca devoniana). Sono Insetti predati dalle Leptusa, come è stato scoperto grazie ad allevamenti sperimentali in laboratorio. Queste ultime, per contro, non sono ricercate dai loro possibili predatori appartenenti ai Miriapodi Chilopodi del genere Lithobius, assenti oltre i 2000 metri di altitudine, venendo così a mancare l’ultimo anello della catena alimentare.
Le Leptusa, veri «fossili viventi», hanno seguito attraverso milioni di anni e fino ai nostri giorni il sollevamento delle Alpi, dei Pirenei, del Caucaso e delle catene himalayane. Tutte montagne sulle quali sono stati scoperti questi straordinari Coleotteri fino a 5400 metri. Nella regione prettamente alpina sono conosciute e descritte oltre 100 specie, alcune delle quali popolano areali puntiformi di pochi chilometri quadrati, come la Leptusa fauciumredortae, che si trova nell’alta Valle Verzasca.
Nella Svizzera cisalpina sono state raccolte Leptusa kappenbergeri sul Piz Bianc in Mesolcina a quasi 3000 metri, e Leptusa baldensis sui contrafforti dell’Adula a 3380 metri. Entrambe le specie, durante la «piccola era glaciale», sono state in grado di resistere sotto una spessa coltre di ghiaccio. E sono state scoperte da Giovanni Kappenberger, il ben noto glaciologo e alpinista.Il rinvenimento di tronchi rivelatori dell’esistenza di alberi a quote ben superiori rispetto a quelle attuali, la scoperta di impronte di dinosauri fino a oltre 3000 metri, il riapparire dei fiori al Colle del Teòdulo (Monte Rosa) a 3370 metri («Azione», 12 giugno 2017) e infine la persistenza delle Leptusa fino a 3380 metri sotto una coltre di ghiaccio durante oltre 400 anni (piccola era glaciale). Tutto questo è stato possibile in virtù della ritirata dei ghiacciai sotto i nostri occhi!
Bibliografia
Pascal Acot, Storia del clima, Donzelli Editore (Roma), 2004, 249 pp.
Steve Brusatte, Ascesa e caduta dei dinosauri, UTET (Torino), 2018, 366 pp.
Gérard de Beaumont, Des Dinosaures dans le Valais, Musèes de Genève (Genève), no. 202, 1980, pp.7-11.
Björn Kurtén, L’età dei dinosauri, Il Saggiatore (Mondadori), Milano, 1968, 252 pp.
Christian Meyer et al, Dinosaurierspuren aus der Trias der Bergüner Stöcke (Parc Ela, Kanton Graubunden, S-E Schweiz), Mitteilungen der Naturforschenden Gesellschaften beider Basel (Basel). 2013, 14: 135-144 pp.