Nel precedente articolo (v. «Azione 26» del 25 giugno) abbiamo accennato al tema dell’economia circolare e all’ambiziosa strategia promossa dall’Unione Europea per proteggere il pianeta, che si attuerà responsabilizzando i cittadini verso migliori tipologie di acquisto (che riducano l’utilizzo di oggetti usa e getta ed incentivino il riutilizzo) e verso una più capillare differenziazione dei rifiuti, promuovendo la crescita e l’innovazione delle imprese coinvolte nella filiera dei rifiuti e del riciclo ed infine agevolando una nuova crescita economica e sociale di portata ancora inestimabile, ma sicuramente interessante.
È di pochi mesi fa un’immagine iconica di un cavalluccio marino, solitario, aggrappato ad un cotton fioc rosa, alla deriva in un mare deserto. Tale fotografia, scattata dal fotografo americano Justin Hofman al largo della costa di Sumbawa in Indonesia, è giunta finalista al prestigioso concorso fotografico internazionale Wildlife Photographer of the Year 2017 (organizzato dal Natural History Museum di Londra, il quale richiama e premia le migliori fotografie di natura a livello mondiale) ed ha spopolato nei social e nel web mettendo in risalto il problema dell’inquinamento, con estrema semplicità e chiarezza e divenendo un emblema. Inquinamento che è determinato soprattutto da oggetti usa e getta, i quali sono entrati di prepotenza nella nostra vita quotidiana solamente da poche decine di anni e che spesso non vengono smaltiti correttamente (ad esempio molte persone, per semplicità, gettano i cotton fioc nel water, da dove non è poi così difficile uscire praticamente indenni dai sistemi di filtraggio dei depuratori cittadini e raggiungere il mare).Poiché questi oggetti spesso sono realizzati con materiali compositi, essi diventano «irriciclabili». Non è semplice capire in quale tipologia di rifiuto conferirli e pertanto restano nella spazzatura indifferenziata, da destinare all’inceneritore anziché alla raccolta ai fini di un futuro riutilizzo. Le società di selezione e rigenerazione dei rifiuti considerano che circa il 30 per cento di materiali sono divenuti impossibili da riutilizzare. Ne sono un esempio gli imballaggi compositi, costituiti da materiali di diversa natura e pertanto incompatibili con il sistema di riciclo e di riutilizzo (ad esempio le vaschette per gli affettati), i quali hanno comunque numerosi pregi; le vaschette per alimenti infatti impediscono il deterioramento del cibo ivi contenuto e garantiscono al prodotto una vita più lunga, conservandone i principi nutritivi.
Nel mese di maggio, la Commissione Europea ha presentato la sua proposta di direttiva contro l’inquinamento da plastica, che è stata approvata dal Europarlamento. La quota di rifiuti urbani (domestici e commerciali) da riciclare passerà dall’attuale 45 per cento al 55 per cento entro il 2025. L’obiettivo salirà al 60 per cento per cento nel 2030 ed al 65 per cento nel 2035. I rifiuti concepiti come risorsa, il loro riutilizzo ed il riciclo diventano gli elementi di una crescita verso una società «verde» e di una nuova crescita economica. L’indicazione più significativa è il divieto di vendita di piatti e stoviglie di plastica, cannucce per bibite e cotton fioc, agitatori per bevande e bastoncini per palloncini in plastica. Entro il 2025 gli Stati membri dovranno raccogliere il 90 per cento delle bottiglie di plastica monouso per bevande, ad esempio con sistemi di cauzione e deposito. I produttori saranno chiamati a coprire i costi di gestione dei rifiuti per mozziconi di sigaretta, palloncini ed attrezzi da pesca. Assorbenti igienici e salviette umidificate dovranno avere un’etichetta chiara e standardizzata che indichi il loro impatto negativo sull’ambiente.
Sempre a maggio l’OCSE ha diffuso un rapporto sul riciclo. Nel mondo, solamente il 15 per cento della plastica viene riciclata (il 30 per cento nella UE, il 10 per cento negli USA), il 25 per cento viene bruciato negli inceneritori o termovalorizzatori ed il 60 per cento finisce in discarica, viene bruciato all’aperto (rilasciando pericolosi inquinanti) o abbandonato nell’ambiente. Secondo l’OCSE, tutto questo avviene poiché è ancora troppo ampio il divario economico fra acquistare un prodotto di plastica nuovo (più conveniente) rispetto allo stesso prodotto di plastica riciclata.Sino a pochi anni orsono, gli economisti teorizzavano la «non saturazione dei bisogni» e pertanto nemmeno quella dei consumi, indotti nei consumatori da accattivanti campagne marketing. L’idea che i bisogni umani fossero illimitati fu ben illustrata nel libro Affluenza – When too much is never enough (quando il troppo non è mai abbastanza), scritto dai professori Clive Hamilton e Richard Denniss, i quali teorizzavano l’ingordigia nella fruizione dei beni e pertanto la tendenza ad aumentare infinitamente il PIL di una determinata nazione. Ma già un ventennio orsono Michael Porter (accademico ed economista statunitense) affermava che «l’inquinamento è una forma di spreco economico, che implica l’utilizzo non necessario, inefficiente o incompleto di risorse. Le emissioni inquinanti sono un segnale di inefficienza aziendale e impongono attività che non generano valore».
Oggi siamo consapevoli che la teoria dell’ingordigia è soprattutto una trappola evolutiva, considerato che il sistema capitalistico in cui viviamo imploderebbe in assenza di alcuna crescita. Tuttavia siamo altresì coscienti che una continua crescita di un’economia lineare (che utilizza le materie prime prelevandole dalle risorse del pianeta) è insostenibile poiché le materie prime si esaurirebbero entro pochi anni. Altri autori (Jeremy Rifkin) evidenziano pertanto l’opportunità economica di orientarci verso l’economia circolare, dedita al riutilizzo ed al riciclo degli oggetti non biodegradabili, oltre che alle alternative biologiche alle plastiche.L’economia circolare si basa sul recupero dei materiali ed esclude l’estrazione di nuove materie prime alle scarse risorse del nostro pianeta, ed anche sul prolungamento del ciclo di vita dei prodotti e, di conseguenza, sulla riduzione dei rifiuti. Alcune ricerche indicano che gli esiti di questa direttiva UE avranno ricadute concrete, teorizzate in 600 miliardi di risparmi annui per le aziende, 140 mila posti di lavoro in più, 617 milioni di tonnellate di anidride carbonica in meno entro il 2035, imposte sui rifiuti meno onerose. Si tratta sicuramente di un cambio culturale, che solitamente richiede tempi lunghi; ma stavolta probabilmente i tempi saranno più contenuti del solito, considerato che sempre un maggior numero di cittadini dubita del concetto tradizionale di crescita, realizzando che l’incremento del PIL e del benessere sta conducendo al collasso del sistema.
La Strategia Europea per la Plastica in una Economia Circolare, che è stata adottata nel gennaio di quest’anno e votata a maggio dalla Commissione, trasformerà il modo in cui i prodotti di plastica sono progettati, utilizzati, prodotti e riciclati nella UE. Prodotti con un aspetto e materiali migliori avranno un maggior numero di riutilizzi, migliori performance negli oggetti riciclati e pertanto una migliore qualità, che consentirà più numerosi cicli di raccolta e di fusione della materia iniziale.Questa transizione è un’opportunità di trasformare la nostra economia e generare nuovi e sostenibili vantaggi competitivi a beneficio dei paesi europei.
Come si posiziona la Svizzera (si veda anche l’articolo a p. 27 di questo numero) in tale contesto? Il settore del cosiddetto CleanTech è di grande interesse nella confederazione; esso concerne i prodotti ed i servizi innovativi a basso impatto ambientale. Soluzioni che consentano un consumo parsimonioso delle materie prime e la riduzione di inquinamento e rifiuti, fra cui l’efficienza energetica e la gestione sostenibile delle risorse idriche, delle energie rinnovabili e la loro conservazione ecc., sono settori di grande impulso. Secondo il Presidente della Confederazione (fonte: Swiss Federal Office of Energy, Swiss Cleantech Report, 2017) il cleantech sarà, infatti, una leva economica trascinante con la crescita significativa di prodotti, processi, beni e servizi correlati ad un impatto ecologico contenuto ai minimi. Questo recente trend nel modus vivendi creerà nuove opportunità d’investimento nell’utilizzo di prodotti e servizi cosiddetti «verdi» non solo da parte dei Governi, nella costruzione di un’economia «sostenibile», ma anche da parte degli operatori economici e della società civile.Si calcola che, solo in Svizzera, dal 2006 ad oggi siano stati investiti circa 200 milioni di CHF in progetti cleantech con la nascita di 207 nuove imprese ancora oggi sul mercato (fonte: Cleantech Alps, An overview of Cleantech start-ups, 2017) e che il valore aggiunto annuo del settore sia di circa 23 bilioni di euro, pari al 4,2 per cento del PIL, con l’impiego del 5,5 per cento della forza lavoro (fonte: Swiss Federal Office of Energy, Swiss Cleantech Report, 2017).
La Svizzera, dunque, grazie anche alla sua tradizione e alla capacità d’innovazione e competitività, si rivela un’ottima piattaforma in cui investire nel comparto green. Senza scordarci che l’idea stessa di economia circolare è stata sviluppata a partire dalle intuizioni dell’architetto svizzero Walter R. Stahel a metà degli anni 70 del secolo scorso ed in seguito ripresa dalla fondazione Ellen MacArthur, fondata nel 2009 e ritenuta una delle più autorevoli istituzioni del settore: «è un termine generico per definire un’economia pensata per potersi rigenerare da sola. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati a essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera».