Minorenni in fuga

Migranti – I richiedenti asilo giovanissimi sono una realtà in crescita. Scappati dalle guerre e dalle miserie cercano di costruirsi un futuro nel nostro Paese. Visita al Centro di accoglienza della Croce Rossa a Paradiso
/ 20.03.2017
di Fabio Dozio

L’isola che c’è. Potremmo chiamarla così la palazzina che a Paradiso, comune affacciato sul lago di Lugano, ospita migranti che chiedono asilo alla Svizzera. Fra questi, sessantadue minorenni non accompagnati, quasi tutti maschi – le ragazze sono solo sette – fra gli undici e i diciotto anni.

Minorenni non accompagnati significa che sono giovanissimi arrivati nel nostro Paese da soli, dopo una fuga dalla loro terra d’origine. Provengono da Eritrea, Somalia, Etiopia, Afghanistan, Albania e Nigeria. Dopo viaggi avventurosi e drammatici, in cui molti ragazzi hanno subito soprusi e maltrattamenti, sono riusciti a raggiungere la Svizzera.

La vista su Lugano è magnifica, da albergo cinque stelle: il lago, la corona dei monti imbiancati, la città ricca e ordinata. Sul retro, a una manciata di metri, sferraglia il treno, simbolo, da sempre, di viaggio e di emigrazione. La palazzina è vecchia e malandata, da pensione zero stelle, ma all’interno l’ambiente è vivace e caloroso. «Si fa con quello che si ha», sintetizza Josiane Ricci, direttrice di Croce Rossa del Sottoceneri, che ha ricevuto dal Cantone il mandato di gestire questo centro di accoglienza. Alcuni locali sono stati sistemati, grazie anche all’apporto di programmi occupazionali, pareti dipinte con colori vivaci, pavimenti rinnovati. «Certo, si potrebbe avere e chiedere di più – aggiunge Ricci – ma è anche giusto ponderare. Io dico questo: in fondo lo Stato siamo noi contribuenti, perciò secondo me bisogna avere una misura giusta».

Ragazzi con la pelle scura si aggirano fra le camere e le scale e tutti salutano, ciao! Il più giovane è un bambino di undici anni che proviene dalla Somalia e frequenta, orgogliosamente, le scuole elementari. Un altro sta finendo le pulizie del refettorio. Un gruppetto si prepara a seguire il doposcuola tenuto da alcuni studenti liceali: un’ottima occasione d’incontro, di apertura, di relazione, improntata alla conoscenza reciproca. I liceali scoprono da vicino il vissuto dei giovani richiedenti asilo, aiutandoli a studiare, mentre a loro volta imparano cosa voglia dire abbandonare una zona di guerra, la propria casa e la famiglia, per cercare rifugio in un paese nuovo e sconosciuto.

La formazione è il pilastro fondamentale per i minorenni. Ventisette di loro frequentano la Scuola media di Barbengo, due vanno a Breganzona, cinque a Besso. Altri seguono corsi di pretirocinio e altri ancora un semestre motivazionale. «Abbiamo un costante contatto con le scuole, – ci dice Federico Bettini, assistente sociale responsabile dei minorenni – organizziamo incontri mensili con i direttori o con i docenti. Anche le scuole stanno facendo un grande lavoro di presa a carico dei ragazzi. Si organizzano apprendistati integrativi che diventano dei ponti per poi accedere agli apprendistati veri e propri. Con la Divisione della formazione professionale abbiamo instaurato un’ottima relazione. Non si tratta di gestire solo il presente, ma di pensare anche al futuro di questi giovani».

Come arrivano al foyer della Croce Rossa i minorenni non accompagnati? Quelli che giungono in Ticino provengono dall’Italia. Alla frontiera i minori devono essere trattati con attenzione particolare, in quanto la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, sottoscritta dal nostro Paese nel 1997, prescrive che le autorità debbano rispettare l’interesse superiore del bambino. Non sempre ciò avviene e la Svizzera è criticata dall’ONU, da Amnesty International e anche dall’Organizzazione svizzera d’aiuto ai rifugiati (OSAR). Secondo questa organizzazione alla dogana di Chiasso, «alcuni minori sono riammessi direttamente in Italia senza alcuna spiegazione e qualsivoglia informazione. Per legge, prima del rinvio coatto di un minore non accompagnato, il Corpo delle guardie di confine è obbligato ad accertare che il minore sarà affidato in Italia a un membro della sua famiglia, a un tutore o a una struttura di accoglienza che ne garantiscano la protezione». Secondo quanto osservato dall’OSAR, «l’interesse superiore del fanciullo e gli obblighi in relazione alla verifica di questo interesse vengono regolarmente violati».

La legge sull’asilo prevede inoltre che le richieste dei minorenni siano trattate in via prioritaria. Poco dopo l’arrivo in un Centro di registrazione della Confederazione, per il Ticino quello di Chiasso, i minorenni sono attribuiti a un Cantone. Quelli che restano in Ticino sono quindi affidati alla Croce Rossa. Nel 2014 sono entrati in Svizzera 795 minorenni, di cui 31 sono stati attribuiti al Ticino. Nel 2015 ne sono arrivati 2736.

Per invitare le autorità a rispettare il diritto svizzero sull’asilo è stata lanciata una petizione indirizzata all’Assemblea federale e al Gran Consiglio del Canton Ticino in cui si propone, in particolare, di facilitare l’accoglienza dei minorenni non accompagnati: primo firmatario è l’avvocato Paolo Bernasconi, membro onorario del Comitato internazionale della Croce Rossa.

Se a Chiasso non mancano le ombre, a Paradiso la regola d’oro è accoglienza! «Noi abbiamo il mandato dell’accoglienza e della presa a carico – ci dice Federico Bettini – ma, appena viene registrato, al giovane assegnano un curatore, che di fatto è il rappresentante legale. Fa capo all’Autorità regionale di protezione. Per i minorenni è un atto importante. Per loro è la prima volta che un’istituzione ha il compito di proteggerli. Sono contenti di sapere che ci sono persone che si occupano di loro nel quotidiano, ma anche di poter contare su qualcuno che possa tutelarli in caso di bisogno».

Ai giovani richiedenti che hanno ottenuto il diritto di asilo (permesso B) viene concesso di rimanere in Svizzera a tempo indeterminato. Coloro che ottengono un permesso provvisorio (permesso F) una volta diventati adulti possono vedersi revocare l’ammissione se le condizioni del loro Paese tornano alla normalità e possono essere rimpatriati. Chi è appena arrivato attende una risposta dalla Segreteria di Stato della migrazione (permesso N).

«Quando raggiunge la maggiore età, o anche a 19/20 anni, – spiega Josiane Ricci – il richiedente esce dal foyer e di solito va in appartamento. Valutiamo la maturità di ciascuno, perché non tutti riescono a gestirsi da soli. L’uscita in appartamento va guadagnata, devono fare anche un po’ di fatica e aver compiuto un percorso di crescita».

Per renderli autonomi è fondamentale che conoscano la lingua: «far assimilare usi e costumi locali – afferma la direttrice – è molto importante. Devono poter vivere una vita normale, come i loro coetanei. Vanno a scuola, in palestra, giocano a calcio. Abbiamo discusso se poteva aver senso collocarli in famiglie. Per ora riteniamo che non sia la cosa migliore. Per la famiglia sarebbe molto complicato e, non avendo gli strumenti adeguati della presa a carico, si rischia di incorrere in una rottura e quindi il ragazzo potrebbe essere ancora una volta abbandonato».

Chiediamo alla direttrice come sono i rapporti con le autorità cantonali. «Secondo me il Ticino ha una grande sensibilità nei confronti dei migranti. Il nostro progetto ha raccolto parecchio interesse da parte di altri Cantoni. Nel 2015, tra luglio e agosto, abbiamo accolto tanti ragazzi e quindi mancavano posti a scuola. In meno di tre settimane sono state organizzate classi di pretirocinio e alla fine di settembre tutti i nostri giovani andavano a scuola. Quest’anno ci sono stage e apprendistati d’integrazione. Facciamo capo anche al volontariato che è un’indubbia fonte di ricchezza».

Secondo voi, i ragazzi sanno di essere fortunati? «È una coscienza che cresce man mano – ci dice Josiane Ricci – all’inizio per loro basta soddisfare i bisogni primari, per i quali hanno dovuto lottare: l’alimentazione sicura, un tetto sopra la testa. Poi si riesce a costruire un rapporto di fiducia, capiscono che siamo qui per tutelarli. Hanno bisogno di tempo per capire dove sono, anche perché hanno fatto un viaggio come fossero adulti, spesso sfruttati e maltrattati, arrivano qui e trovano una realtà strutturata, con regole e sanzioni educative. Quando arrivano vogliono lavorare, far capire che la formazione è un bene non è sempre facile».

A inizio gennaio è stato aperto un nuovo centro per minorenni non accompagnati a Castione, sempre gestito da Croce Rossa. A settembre sarà pronto il nuovo centro di Cadro, sul piano della Stampa. A quel momento la sede di Paradiso potrebbe essere chiusa definitivamente, a meno che non ci si trovi di fronte a un’ondata di arrivi.

Abbiamo incontrato un giovane di origine afgana che frequenta le scuole medie nel luganese: «Sono venuto in Svizzera per studiare, nella mia città c’è la guerra e non ci sono scuole e non sai se domani sei vivo o morto. Mio padre mi ha fatto partire per permettermi di avere una speranza in futuro. Sono molto contento di andare a scuola e voglio studiare e diventare ingegnere».

«Sono ragazzi di altre culture, non per forza problematici – conclude la direttrice di Croce Rossa Josiane Ricci – il nostro ente offre loro gli strumenti per conquistare l’autonomia. I giovani desiderano soprattutto una cosa: la normalità».