Minimalismo, il ritorno all’autenticità

Psicologia – Sempre più persone riflettono su uno stile di vita che tende a eliminare il superfluo in ogni ambito, dagli oggetti al digitale, dai pensieri negativi all’organizzazione della propria agenda
/ 07.10.2019
di Alessandra Ostini Sutto

«La perfezione si ottiene non quando non c’è più niente da aggiungere, ma quando non vi è più nulla da togliere». Queste parole di Antoine de Saint-Exupéry bene si applicano ad un modo di vivere che sempre più persone abbracciano, il minimalismo. Riassumibile con il motto Less is more (meno è più), esso vuol dire eliminare il superfluo, in ogni ambito della propria vita, e riscoprire così ciò che conta davvero. Il minimalismo conosce diverse declinazioni, in vario modo influenzate dalla filosofia zen orientale. Quella che riguarda il design rappresenta il concetto in modo eloquente. Nell’arte questa rimozione dell’eccesso è espressa dalla corrente denominata minimal art. Il minimalismo si ritrova poi in letteratura, in linguistica e nella musica.

«Fare spazio intorno e dentro di sé oggi è diventata quasi un’esigenza, nel senso che se per anni ci siamo riempiti di cose, di oggetti, di viaggi, ora cominciamo a renderci conto che ciò non ci nutre» afferma Sandra Pesciallo, psicologa e psicoterapeuta con studio a Paradiso. «Se da una parte c’è un edonismo legato all’acquisto e all’accumulo di cui ognuno di noi ha sicuramente esperienza, dall’altra, c’è chi sperimenta che “lasciar andare” provoca un piacere più profondo». Un «lasciar andare» che porta a stare con quello che c’è e nutrirsi di esso: «Spesso questo lo si esperisce nel contatto con la natura, che in realtà è tutt’altro che “minimale”; è però come se, essendoci per tanto tempo focalizzati sull’accumulo, avessimo perso di vista quanto essa ha da offrirci», continua la psicologa, che trova nel bosco, con i suoi elementi costituivi, il suo paesaggio naturale preferito: «amo il contatto con l’essenza che vi alberga. La semplicità della manifestazione vitale mi attrae. L’autenticità del sentimento mi tocca profondamente. Anche l’essere umano ha in sé tutti questi aspetti. Purtroppo però la complessità delle vite, talvolta sofferenti e faticose, tende a soffocare e celare la bellezza insita in ognuno di noi», afferma Sandra Pesciallo. Essere umano che, in fondo, è sempre alla ricerca della felicità, che, in base al periodo storico in cui ci si trova, viene tendenzialmente identificata in elementi diversi: «nel dopoguerra, complice la crescita economica, si instaurò l’epoca del consumo, nella quale il senso di appartenenza veniva nutrito dal possedere tutti le stesse cose», continua la psicoterapeuta, «durante gli anni del conflitto, il senso di appartenenza e altri bisogni primari – in particolare la condizione di sopravvivenza, personale e della specie, la fame di conoscenza e l’autorealizzazione – facevano fatica ad essere soddisfatti. Ora che non è più così, stiamo cominciando a capire che se riusciamo a dare spazio a questi quattro elementi nella nostra vita, essi ci sanno nutrire molto più che non l’accumulo di oggetti». Ovviamente, questo non vuol dire «ridurre all’osso» ciò che si possiede o non concedersi alcun acquisto, ma piuttosto imparare ad essere selettivi: non omologarsi ma saper scegliere quello che è giusto per noi. «Oggi l’appartenenza è data dall’esserci, e questo lo osservo anche da quanto mi dicono i giovani che ho in terapia. Significativo trovo l’esempio di un giovane paziente, che quest’estate ha incontrato una ragazza con cui è molto in sintonia. Alla mia domanda se quando sta con lei gli batte forte il cuore, ha sorriso e ha detto “Ma no! Quando sono con lei sono calmo. Quando mi batte forte il cuore è perché sono agitato”. Una frase che racchiude tutto: anche se ci hanno abituati a ricercare le emozioni forti, in realtà quello che conta è la serenità e lo star bene; sensazioni che proviamo se ci sediamo su un muretto davanti a un fiume», commenta la psicoterapeuta. 

Minimalismo quindi come ritorno alla semplicità e all’autenticità. Condizione che ci consente, inoltre, di aprirci al nuovo. «È come se togliendo il superfluo togliessimo dei veli che avevamo davanti agli occhi e riuscissimo a vedere la realtà per quello che è», continua Sandra Pesciallo, che, dal suo punto di vista professionale, identifica un altro beneficio del modo di vivere di cui stiamo parlando: «ogni epoca ha le sue psicopatologie; in quella attuale dominano ansie, fobie e attacchi di panico, tipiche di quando si vive proiettati nel futuro. Anche se a mio avviso ci stiamo avvicinando al tramonto di questa fase, persiste ancora una perenne corsa per prendere qualcosa che si realizzerà dopo; per esempio, prendere una laurea per poi guadagnare bene». Il minimalista invece, stando con quello che c’è, non ha bisogno di proiettarsi nel futuro con delle aspettative che comportano ansie e stress. Anzi, riprendendo l’esempio precedente, dal momento che vive in modo più consapevole, sarà in grado di optare per un percorso formativo che realmente lo interessa. A livello psicofisico i benefici di tale approccio sono evidenti e il successo di discipline quali lo yoga, che non è altro che lo stare nel «qui e ora», ne è la prova.

«Nel mio lavoro applico proprio questo approccio. Di base ho una formazione in psicoterapia della Gestalt, per la quale il “qui e ora” è la chiave di tutto», aggiunge Sandra Pesciallo. Fare esperienza di questo concetto permette di concentrare le proprie forze e la propria mente sulle cose più umili ed accessibili all’uomo, che sono poi quelle che danno senso e valore alla vita. Evadere dagli eccessi del mondo in cui viviamo non è però evidente ed immediato per tutti. «Dipende dalla fase della vita in cui ci si trova. Per alcune persone, in determinati momenti, l’accumulare può andar bene, può far star bene», spiega la psicoterapeuta. A volte un trasloco può essere l’occasione giusta per intraprendere la via del minimalismo. Obbligati a passare in rassegna tutto quanto si possiede, si riesce più facilmente ad eliminare beni materiali, provando in genere un senso di liberazione. «Tenere gli oggetti, magari anche dei propri antenati, può non far bene. Insieme a questi beni ci portiamo infatti dietro la loro storia, fatta, a volte, di cose non elaborate. Bisogna quindi avere la sensibilità di capire se qualcosa non ci giova» continua Sandra Pesciallo. «D’altra parte ci sono degli oggetti da cui proprio non riusciamo a separarci probabilmente perché in qualche modo ci servono ancora, perché dobbiamo ancora prendere qualcosa da essi. In questi casi bisogna porsi delle domande del tipo “che esperienza posso ancora fare se tengo questo oggetto?”, “cosa rappresenta di me?”, che sono utili perché ci aiutano a fare chiarezza dentro di noi». Eliminare gli oggetti che per noi non aggiungono più valore, oggi soprattutto, non vuol dire buttare. «Più che in passato, abbiamo l’opportunità di scegliere cosa fare di ciò che non vogliamo più. C’è inoltre molta più sensibilità per il riciclo e per il second hand. Disfandoci di qualcosa, sappiamo quindi che essa potrà servire a qualcun altro e questo ci fa star bene», aggiunge la psicologa.

Per applicare il minimalismo come stile di vita, il passo più immediato è quindi fare ordine e liberarsi di ciò di cui possiamo fare a meno, cominciando dalla propria casa. Anche il digitale, diventato parte integrante della nostra vita, dovrebbe essere preso in considerazione, in particolare l’uso che facciamo dei vari dispositivi che possediamo. Un altro step riguarda l’agenda, che può essere rivista nell’ottica di ricentrare il tempo su quello che è davvero importante, come la cura di sé e i momenti dedicati ad amici, conoscenti e famigliari. Complici i social network, attualmente non tendiamo infatti ad accumulare solo oggetti, ma pure relazioni. Anche in questo ambito vale quindi la pena interrogarsi, per cercare di focalizzarsi sui legami che tuttora ci rispecchiano e ci fanno del bene.

Da ultimo, pure l’eliminazione di pensieri inutili e dannosi può far parte del nostro percorso verso uno stile dedito all’essenziale. «La mente tende a tornare su alcuni pensieri non completamente risolti, come dei rancori o dei perdoni che non sono mai avvenuti, non per disturbarci ma perché c’è un’urgenza di vedere cosa manca, di integrare, per poter poi archiviare questo fatto nella memoria del cervello. Su tali situazioni può intervenire la psicoterapia, come pure altri approcci che mirano ad una migliore conoscenza di sé», conclude Sandra Pesciallo.