Intitolato Microbiota and the social brain, nelle pagine della rivista «Science» in edicola il primo novembre 2019 è apparso un articolo dedicato alla connessione tra il microbiota dell’intestino e l’evoluzione del cervello sociale; un saggio scritto da Eoin Sherwin – docente all’irlandese University College Cork – e da quattro altri ricercatori.
Rispetto ad altri studi simili, siamo di fronte a uno scenario innovativo: per un verso, si dà per certo che l’attività del microbiota – vale a dire i microrganismi che vivono nelle nostre vie digestive (ndr. vedi articolo pubblicato su «Azione 11» del 9.03.2020) – produce sostanze (prevalentemente dei metaboliti) che hanno un influsso sul nostro cervello; per l’altro verso, l’esame di questa relazione è spinto dagli autori fino al punto da studiarla in un’ampia varietà di specie caratterizzate tutte da una marcata interazione sociale; partendo dalle api per giungere alla nostra specie, passando per i ratti o per primati evolutivamente vicini a noi.
In questa prospettiva evoluzionista, gli autori hanno studiato la relazione tra asse intestino-cervello mediata dal microbiota e il comportamento sociale, osservando che, nel corso della loro evoluzione, gli animali hanno sviluppato un microbiota intestinale tale da aiutarli a interagire con i conspecifici. Secondo gli autori, la relazione tra il microbiota intestinale e il comportamento sociale può aiutare a spiegare i deficit sociali osservati in soggetti che soffrono di disturbi dello spettro autistico (ASD) e potrebbero potenzialmente portare allo sviluppo di nuove terapie per tali condizioni.
Grazie in particolare alla rapida riduzione dei costi per il sequenziamento del DNA, negli ultimi anni l’insieme dei geni del microbiota intestinale (vale a dire il microbioma) è stato studiato con sempre maggior acribia, ed è emerso che i microrganismi che risiedono nel nostro intestino possono comunicare con il cervello in tre modi: prima di tutto con la produzione di metaboliti microbici, quindi con l’attivazione del nervo vago e poi con la modulazione della risposta immunitaria. Stress, ansia, umore, apprendimento e memoria, stati del cervello che fino a qualche anno fa tendevamo a ritenere pertinenti solo con il sistema nervoso centrale, oggi sappiamo che hanno una relazione con il microbiota e che si tratta di una relazione biunivoca. Passando attraverso la barriera intestinale, cellule del sistema immunitario comunicano con il cervello per mezzo di citochine; il nervo vago che collega l’intestino al cervello risponde alle sollecitazioni dei muscoli enterici nonché alle cellule nervose dell’epitelio intestinale; mentre i metaboliti prodotti dai batteri intestinali sono anch’essi in grado di raggiungere il cervello. Quest’ultimo, invece, dispone di un potente mezzo d’interazione con l’intestino: il cortisolo.
L’esame dettagliato dei meccanismi che regolano la comunicazione lungo l’asse microbiota-intestino-cervello sono oggetto della prima parte dello studio, compilato tenendo conto dell’esito delle ricerche più recenti in questo campo. Per quanto riguarda il ruolo del microbiota stesso, gli autori sottolineano quanto vasto e rilevante per l’interazione con il cervello sia il numero dei metaboliti prodotti dal nostro intestino, metabolizzando ciò che beviamo e mangiamo. Gran parte della serotonina, per esempio, il neurotrasmettitore che svolge numerose funzioni che vanno dalla regolazione del tono dell’umore, del sonno, della temperatura corporea, all’empatia e all’appetito è prodotta dal nostro microbiota. I numerosi studi presi in esame da Eoin Sherwin hanno documentato che cosa succede lungo l’asse microbiota-intestino-cervello dei roditori nella condizione in cui venga loro deliberatamente soppresso il microbiota per mezzo della somministrazione di antibiotici, ottenendo in tal modo la condizione cosiddetta «germ-free». In questi topi sono stati rilevati comportamenti sociali diversi rispetto ai roditori nei quali il microbioma è rimasto intatto. Viceversa, in animali trattati con batteri benefici come Bifidobacterium e Lactobacillus gli autori hanno osservato che è migliorato il comportamento sociale. Questi risultati suggeriscono che i segnali microbici possono influenzare il neurosviluppo e il funzionamento del cervello. Se i risultati evidenziati nella prima parte dell’articolo sono nel solco di una recente tradizione di ricerca che promette di essere ancora ricca di scoperte, la seconda parte ha caratteristiche molto originali perché studia l’interazione microbiota-ospite nel regno animale in relazione al comportamento sociale delle specie prese in esame. La tesi sostenuta è che, non solo composizioni diverse del microbiota producono comportamenti sociali diversi, ma che taluni comportamenti si sono evoluti allo scopo di condividere, attraverso la trasmissione diretta tra i soggetti, specifici microbioti funzionali ai modelli d’interazione sociale più consono a certe specie. Per esempio, nelle api da miele l’interazione sociale promuove il trasferimento di microbi che conferiscono resistenza ai patogeni, mentre nelle termiti la socialità consente la trasmissione del microbiota per favorire la digestione degli alimenti.
L’interazione sociale studiata da Eoin Sherwin e i suoi colleghi non è solo quella correlata al microbiota intestinale bensì anche a quella in relazione con il microbiota cutaneo. Sulla nostra pelle, per esempio, sono presenti diverse specie di batteri che contribuiscono a mantenerla sana. Ognuno ha un proprio microbiota individuale, unico come le impronte digitali. Ebbene, ci sono animali che potrebbero essersi evoluti per usare i batteri allo scopo di comunicare con i membri della loro specie: per esempio, i batteri nelle ghiandole odorose delle iene producono composti volatili che agevolano la coesione sociale tra i membri del branco; mentre, invece, il microbiota del pesce zebra ha dimostrato di influenzare il comportamento collettivo del banco di pesci.
Lo studio di quanto accade sull’asse microbiota-intestino-cervello è in continua evoluzione. Si è osservato che la somministrazione di alcuni tipi di probiotici – in particolare Bifidobacterium e Lactobacillus – ha prodotto effetti positivi su stress, ansia e depressione in studi condotti sia sugli animali, sia sull’uomo. In un tempo nel quale si sta facendo ampio uso di psicofarmaci, sono sicuramente di grande interesse gli studi che stanno esaminando se la composizione del microbiota intestinale può aiutare a prevedere la suscettibilità di un individuo allo stress.
In questo contesto di ricerca, non è meno rilevante il fatto che i prebiotici (sostanze, contenute in alcuni alimenti, che promuovono la crescita o l’attività di batteri intestinali benefici) si sono rivelati in grado di cambiare la composizione e la funzione del microbiota. Il trattamento di animali o persone con prebiotici come inulina, amido resistente e altre fibre alimentari ha comportato una riduzione di stati come l’ansia e la depressione e un miglioramento delle attività cognitive e dell’apprendimento. Ma occorre continuare ad approfondire gli studi perché, per ora, non è affatto chiaro come i prebiotici influenzino il cervello e il comportamento, così come non è chiaro quali metaboliti prodotti dal nostro microbioma siano coinvolti. Ciò che nondimeno sta emergendo con chiarezza è che stile di vita e stile di alimentazione influiscono sul nostro microbiota, il quale concorre a modulare il nostro umore, e che prebiotici e probiotici possono modificare positivamente microbioma intestinale, con la conseguenza di influenzare la nostra relazione con noi stessi e con gli altri.
Microbiota e cervello sociale
Biologia - Pubblicato da «Science» uno studio sul ruolo del microbiota negli animali sociali
/ 23.03.2020
di Lorenzo De Carli
di Lorenzo De Carli