Cecchino Malfanti, Camillo Ferrari, Luciano Pagani, Bruno Bernasconi, Otto Scerri, Felice Lazzarotto, Fausto Quattrini. I meno giovani si ricorderanno di loro. Probabilmente con nostalgia. Pietro Belardelli, Enrico Preziosi, Giambattista Pastorello, Gianmarco Calleri, Gabriele Giulini. Nomi che invece suscitano preoccupazioni e mal di pancia. I primi sono stati paladini di un calcio ticinese ruspante, legato al territorio, e vincente. I secondi si sono distinti per avere portato il nostro football in un vortice fallimentare, dal quale si sta tentando di emergere. Con molto impegno e tantissima fatica.
I meno giovani ricorderanno anche i nomi dei calciatori di un tempo: Brenna, Gottardi, Riva, Chiesa, Bionda, Tagli, Prosperi, Boffi, Abächerli, Caccia... e la lista potrebbe essere molto più lunga. Si tratta di giocatori che hanno vestito a lungo la maglia di uno dei 6 club che negli anni ’60-’70 militavano in Lega Nazionale. C’era il Lugano, senza dubbio la società dal palmares più prestigioso, con i suoi 3 titoli e le sue 3 coppe svizzera. C’erano Bellinzona e Chiasso, spesso a ridosso dell’élite, a lottare con mezzi ridotti, ma con una montagna di coraggio e di volontà. C’era pure il Locarno, tornato in alto, a provarci, a crederci. C’era il Mendrisio, che per un decennio ha tentato di sottrarre al Chiasso la supremazia nel profondo sud del Cantone. In quegli anni, ci fu, per un brevissimo periodo, anche l’apparizione del Gambarogno. E questo senza andare a pescare in un passato più remoto. Vacche grasse, a fronte dell’asfittico panorama odierno. In Superleague resiste, per ora piuttosto bene, il Lugano. Chissà, forse perché Angelo Renzetti sta facendo salti mortali affinché la società non perda l’identità locale? In Challenge League soffre ed arranca il Chiasso. Bellinzona e Locarno, dopo il fallimento, si sono avviate verso il recupero di una collocazione più consona al loro blasone.Ci sono altre due macro differenze fra passato e presente. Ieri, lo statuto che prevaleva era quello del semiprofessionista. I calciatori trovavano facilmente un imprenditore locale disposto a corrispondere loro un salario, in cambio di un impegno part-time. Molto part-time. Oggi, tutti i calciatori della National League sono professionisti. Alcuni sono pagati piuttosto bene. Altri ricevono lo stretto necessario per potersela cavare. Altri ancora percepiscono ingaggio e salario dai reali proprietari del loro cartellino, ovvero i club (nazionali o esteri) che contano di lucrare su un loro positivo impegno nel nostro campionato, per poi piazzarli in società più prestigiose. A titolo di esempio cito il brasiliano Raffael, che, dopo essere giunto giovanissimo a Chiasso, è emigrato dapprima a Zurigo, trampolino per un’eccellente carriera in Bundesliga.
Il secondo dato rilevante? Allora gli stadi erano pieni. Oggi decisamente meno. Non stiamo a scomodare i 32.500 spettatori che a Cornaredo assistettero il 25 novembre del 1951 alla sfida tra Rossocrociati e Azzurri (1 a 1 con reti di Puci Riva e Giampiero Boniperti). Ok, lasciamoli tutti lì, tranquilli ed esultanti a ricordare quegli attimi di estasi. Devo però sottolineare che a Lugano e a Bellinzona spessissimo si andava ampiamente oltre i 10mila spettatori, mentre a Chiasso e a Locarno il pubblico lo si contava pure a migliaia, non a centinaia o a decine come oggi. Come mai? Cosa è cambiato? Potrei riassumere in una parola: tutto. In ordine sparso: la sentenza Bosmann, che ha spalancato il mercato, favorendo la libera circolazione, più o meno indiscriminata, di calciatori proveniente dai 5 continenti. L’incremento delle produzioni televisive, in chiaro o a pagamento, che consentono una visione serena delle partite dal divano di casa. La nascita di una nuova categoria professionale, quella degli agenti, o procuratori, che ha fatto lievitare i costi del fenomeno calcio. La trasformazione dei Club sportivi in vere e proprie aziende, con obiettivi dapprima finanziari, poi agonistici, anche se va da sé, che i due aspetti siano strettamente legati. Questi fattori hanno contribuito a parcellizzare la carriera ed il percorso di ogni singolo calciatore. Tizio oggi è a Chiasso, fra un mese a Lugano, a gennaio prende le valigie, direzione Cluj, Salisburgo o Singapore. Nel frattempo Caio lascia la sua squadra in Azerbaigian per approdare sulle rive del Ceresio. Salvo poi deludere le aspettative, quindi salire nuovamente su un treno (difficile di questi tempi con l’aereo) per raggiungere la destinazione successiva. E Sempronio? Sempronio è ticinese. È cresciuto nelle giovanili del Lugano, ha vestito anche la maglia del Team Ticino. È bravo, ma non bravissimo. E allora? Qualche scampolo di partita in Superleague con i bianconeri. Poi via, in Challenge League, a Wil, a macinare minuti di gioco, con la speranza che migliori. E gli spettatori? Non ci capiscono più nulla. Non hanno più eroi, non hanno più bandiere. Si accendono solo se i risultati sono eccellenti, cosa che il Lugano ottiene a singhiozzo. Si spengono rapidamente, non appena si inanellano 2 o 3 risultati negativi. Morale? Stadi semivuoti, entusiasmo scarso, e calcio ticinese a rischio, a meno di un recupero, sia pure parziale, di un’identità locale. Da appassionato mi auguro di sbagliare.