Lo stupore è una grande risorsa

La storia della scienza ma anche della filosofia e dell’arte si è svolta attorno a questa attitudine umana
/ 16.03.2020
di Massimo Negrotti

Nonostante in medicina il termine stupore abbia un significato poco rassicurante e si riferisca a stati di torpore, nel linguaggio ordinario esso ha invece un chiaro riferimento alla sorpresa, alla meraviglia, talvolta persino all’incanto. Quasi sempre la parola in questione è associata ad emozioni positive anche se, non raramente, si pone come premessa dello spavento o persino del terrore. In ogni caso, ciò che sta alla base dello stupore è la constatazione, spesso improvvisa, di un fatto o un evento inattesi, un fenomeno che, insomma, non si colloca agevolmente nella «normalità» probabile delle cose. Definita in questo modo, la capacità di provare stupore può essere attribuita anche agli animali poiché, per loro, la normalità è assai più rigida e rilevante che non per l’uomo. D’altra parte, quando un animale si stupisce di qualcosa, pressoché inevitabilmente reagisce con la fuga proprio perché ogni novità disturba la mappa delle sue abitudini. Per l’uomo la risposta allo stupore prende invece forme appartenenti ad uno spettro molto più vasto, che vanno dal timore all’entusiasmo, dal tentativo di approfondire la conoscenza sul fatto che ci ha stupito alla tentazione di imitarlo e riprodurlo, senza escludere la pura contemplazione e l’attribuzione all’evento di caratteri trascendentali.

In tutti i casi, lo stupore si presenta come la prima reazione posta in essere dalla rottura di un andamento lineare e prevedibile. Ricordo che mia nonna raccontava del giorno in cui, ragazzina, uscendo in strada vide per la prima volta un’automobile. Spaventata, ma forse anche in parte divertita, corse in casa gridando alla madre di aver visto muoversi una «carrozza senza cavalli», ossia diversa e nuova rispetto ai veicoli che normalmente si vedevano muovere lungo le strade della città.Naturalmente il processo di classificazione e normalizzazione delle percezioni si sviluppa dalla nascita fino all’età adulta. Per un bambino tutto è novità e dunque tutto stupisce ma la sua relazione con le cose quotidiane non è affatto dettata dalla paura. Anzi, come tutti i genitori sanno, uno dei pericoli più grandi sta proprio nella tendenza di ogni bambino a mettere le mani in ogni luogo, in ogni cassetto e ovunque egli creda si possa celare qualcosa di nuovo. Poi si sbarazza rapidamente dell’esperienza appena vissuta e passa ad altro, testimoniando, con ciò, quanto sia elevata la frequenza con la quale l’essere umano, nei primi anni di crescita, ha un bisogno congenito di variazioni, cioè di rottura della continuità.

Tuttavia, se il bambino cerca costantemente eventi e cose che generino stupore, diversa è la condizione dell’adulto poiché la continuità prende gradatamente il posto della variazione e il concetto di «normalità» assume il valore preponderante. Allo stupore l’adulto riserva però una duplice funzione. Da un lato, poiché lo stupore positivo rimane pur sempre, di tanto in tanto, un retaggio attraente, lo vuole programmare, cosa che viene realizzata con la visione di un film o un viaggio in terre lontane, con l’acquisto di un bene innovativo, la visione, prevista, di un’eclissi o magari assistendo allo spettacolo di un prestigiatore. Dall’altro, cerca e spera di evitare lo stupore negativo, quello, cioè, che proverrebbe da fatti che si presenterebbero sicuramente sorprendenti ma che includano dinamiche o conseguenze altrettanto sicuramente pericolose, come correre a 200 km/h su strade urbane, puntare un laser di alta potenza su un serbatoio di gas o mettere insieme prodotti chimici diversi e sconosciuti. Ovviamente, a questa categoria di eventi appartiene anche tutta la classe dei fenomeni non controllabili dall’uomo, come terremoti , inondazioni o epidemie, durante i quali lo stupore si trasforma rapidamente in panico.

In questo quadro, i mille volti dello stupore lasciano però scorgere una sorta di area speciale che si può individuare nella scienza poiché essa è il luogo specifico in cui lo stupore svolge un ruolo motivante. Dato che la scienza, per definizione, lavora sull’ignoto da decifrare, essa è la sede in cui gli uomini guardano alla realtà come contesto dietro o sotto il quale si nascondo fatti inaspettati e possibili novità da portare alla luce. Non si tratta solo di lasciarsi affascinare da fenomeni noti e magari ancora in attesa di spiegazione, come accade in medicina, ma anche, se non soprattutto, di accedere a nuovi modi di guardare alla stessa realtà, quella che viene assunta come ovvia e scontata nella vita quotidiana di ogni epoca. In fondo, tutta la storia della scienza – ma anche, in termini diversi, della filosofia e dell’arte – si è svolta attorno a questa attitudine umana, non molto diffusa ma strategica.

Einstein ha scritto che «Chi non è più in grado di provare né stupore né sorpresa è per così dire morto; i suoi occhi sono spenti» e, di conseguenza, dovremmo forse tornare o rimanere tutti un po’ bambini. In effetti, per lo scienziato, quello teorico in particolare, l’individuazione di un problema nuovo, con lo stupore che l’accompagna, è il motore fondamentale ed esso entra in azione, paradossalmente, persino nei confronti di fenomeni apparentemente normali, che, cioè, non destano alcuna pubblica meraviglia. È nata così, per esempio, la fisica quantistica quando uomini come Werner Heisenberg si sono chiesti «…perché, nel mondo della materia, vi sono forme e qualità che ricorrono continuamente» ossia secondo le modalità che ogni giorno constatiamo senza vedervi alcun problema degno di nota. Anche qui, la lezione che ci arriva dalla scienza consiste nell’invito a guardare al mondo come un pozzo inesauribile di problemi potenziali, fatto di discrepanze, asimmetrie o incongruenze. Senza lo stupore, e lo stimolo che ne deriva, per cose di questa natura non vi sarebbe stato alcuno sviluppo né spirituale né materiale per l’umanità né sussisterebbe alcuna speranza per un ulteriore avanzamento.