L’insostenibile pesantezza dell’urlo razzista

Sport - Negli stadi si insultano i giocatori con eccessiva leggerezza sottovalutando le conseguenze in chi, diverso per colore della pelle o orientamento sessuale, è costretto a subire
/ 15.04.2019
di Giancarlo Dionisio

La recente vicenda vissuta a Cagliari da Moise Kean, giovanissimo attaccante della Juventus, di origini ivoriane, nella sua tragica drammaticità, ha pure dei risvolti grotteschi. Il padre del calciatore – che, tra l’altro, aveva da poco debuttato con la maglia della Nazionale azzurra, segnando due reti in altrettante partite –, alcuni giorni prima che il figlio fosse subissato da una valanga di «buuuuu» di presunta matrice razzista da parte dei tifosi della squadra sarda, aveva dichiarato alla stampa di essere dalla parte del Vice Premier Matteo Salvini: «I migranti – avrebbe dichiarato in un’intervista – aiutiamoli a casa loro!».

Sta di fatto che, negli stadi di calcio, essere nero di pelle, può comportare reazioni verbalmente violente da parte di alcune frange becere delle tifoserie. Quello di Moise è l’ultimo esempio di una serie infinita che parte dai campetti di periferia e giunge fino ai massimi livelli. Alcuni mesi fa, l’accoglienza riservata in Montenegro ai calciatori inglesi di origini africane è andata vicino allo scatenare un vero e proprio incidente diplomatico. Il risvolto positivo è da ricercare nelle testimonianze di solidarietà che giungono generalmente proprio dal mondo del calcio, il quale reagisce con fierezza, a salvaguardia di un’immagine che rischierebbe di essere contaminata da cotanta stoltezza. 

Kean ha incassato, immagino con enorme soddisfazione, il sostegno del proprio compagno di club Blaise Matuidi (al quale pure sono giunti dei «buuuu» durante la stessa partita), campione del mondo lo scorso anno con la nazionale francese, di origini angolane, il quale, sul suo profilo Instagram, ha scritto: «Bianco+neri, no al razzismo», aggiungendo una foto in cui i due amici sorridono felici. 

Dal canto suo Mario Balotelli, uno dei calciatori più bersagliati del recente passato, anche in virtù della sua forte ed eccentrica personalità, dal suo «esilio» francese, dove le tensioni sociali e razziali sono molto forti, si è espresso così : «Sebbene siamo divisi e diversi nel nostro destino, nient’altro deve dividerci. Condanno il razzismo in qualunque forma e luogo, sempre». Possono sembrare delle parole improntate a uno sterile buonismo, tant’è che Tommaso Giulini, presidente del Cagliari ha minimizzato la vicenda Kean, affermando che non si è trattato di un episodio razzista, e che la curva avrebbe riservato lo stesso trattamento a Federico Bernardeschi, bianchissimo trequartista, se fosse stato lui a segnare il gol decisivo, presentandosi poi sotto la curva avversaria. 

Può darsi. Le intenzioni sono sempre indecifrabili, mentre gli effetti sono più quantificabili. C’è chi è capace di farsi scivolare con eleganza il fango di dosso senza apparentemente dare un’impressione di sofferenza, ma c’è anche chi sta male. E di brutto, perché non capisce come un essere umano possa essere maltrattato in virtù del colore della sua pelle, delle sue origini, o del suo orientamento sessuale. Sono discriminazioni che la società e il mondo dello sport non possono e non devono tollerare, in primo luogo perché la dignità di tutti va salvaguardata, d’altro canto perché il rischio che dalle parole si passi ai fatti, è tutt’altro che remoto. Nel frattempo, il giudice sportivo ha girato il caso degli urli ai danni di Matuidi e Kean durante Cagliari-Juventus alla procura federale della Figc per «accertamenti istruttori supplementari, riservandosi di disporre l’acquisizione di ulteriori elementi da parte degli organi competenti».

Anche alcuni club calcistici stanno reagendo in proprio. L’Inter, ad esempio, ha aderito all’evento «Stop Racism» in occasione del Memoriale della Shoah, invitando le centinaia di ragazzini del suo settore giovanile a partecipare, affinché possano conoscere, capire e condividere idealmente il dramma vissuto alcuni decenni prima da migliaia di loro coetanei. Da più parti, in Germania, Francia, Spagna, e altrove, si chiedono sanzioni esemplari, in modo che non ci si limiti alle pene pecuniarie per le società di appartenenza dei tifosi bacati. Per ora nessuno si è spinto oltre le multe, con l’aggiunta eventuale di una partita da disputare a porte chiuse. Una sanzione che potrebbe sembrare iniqua poiché penalizza tutti i tifosi, non solo le minoranze violente. In realtà, credo che sia corretta poiché è un primo, timido passo verso lo sgretolamento dell’omertà all’interno delle curve. Nell’era in cui quasi quasi rischi di essere filmato, a tua insaputa, nel bagno di casa, è inammissibile che la tecnologia non possa o non voglia fornire alle società sportive, alle federazioni e ai tribunali, i supporti filmati che consentano loro di perseguire i rei. Ne va della serenità e della credibilità di quello che si picca di essere il gioco più bello del mondo.