Ricreazione. Gli allievi della scuola speciale e delle scuole regolari corrono uniti nella loro libertà. Siamo alla Scuola Media di Lugano Besso, dove si trovano tre classi di scuola speciale e una sede del Servizio dell’educazione precoce speciale.
È qui che incontriamo Massimo Scarpa, capo della sezione della pedagogia speciale del Decs, classe 1968, dal 2014 attivo in questo importante universo della formazione dopo vent’anni trascorsi nel Servizio di sostegno pedagogico. Parliamo di inclusione nella scuola anche alla luce di un meraviglioso documentario presentato la scorsa edizione al Festival del film di Locarno dal regista vodese, Fernand Melgar, À l’école des philosophes, coprodotto dalla televisione svizzera Srg Ssr, storia di cinque bambini disabili mentali e fisici seguiti passo a passo all’interno di una classe di scuola speciale della Fondation de Verdeil di Yverdon-les-Bains. Ogni bambino è un essere unico nella sua singolarità e la pellicola mostra i progressi di ogni allievo e lo stupore e la felicità dei loro genitori. Come si pone il Ticino in tema di integrazione e inclusione? «In Ticino – e questo è un dato storico importante – le classi di scuola speciale sono inserite negli stabili di scuola regolare. In linea teorica e nel concreto, questa convivenza architettonica favorisce progetti di integrazione. Quindi dei ragazzi che in un certo ambito hanno delle capacità di adattamento o degli interessi particolari possono essere inseriti alle lezioni delle classi di scuola regolare. Avviene piuttosto regolarmente. Poi è naturale che vi siano contesti in cui è più facile metterlo in atto, perché abbiamo istituti scolastici più abituati, più pronti, e contesti dove invece è più difficile. È una questione di cultura di ogni singolo istituto, ve ne sono alcuni che per storia e tipologia di popolazione sono più abituati ad avere una diversità al loro interno e quindi più pronti ad accogliere la disabilità. Che è solo una delle tante forme di diversità che possiamo avere nel mondo scolastico».
Come è strutturata la sezione della pedagogia speciale da lei guidata? «I nostri servizi coprono complessivamente la fascia da 0 a 20 anni. Abbiamo il Servizio dell’educazione precoce speciale (sei ambulatori cantonali): è un servizio pluridisciplinare formato da un capo servizio, solitamente psicologa o pedagogista, che gestisce un team composto da ergoterapisti, logopedisti, psicomotricisti e pedagogisti dell’età precoce, da 0 a 6 anni. Questi servizi, che sono sotto il cappello del Decs sono a orientamento pedagogico-clinico, quindi svolgono un lavoro terapeutico. Qui a Besso le mamme portano i loro figli non ancora in età della scuola dell’infanzia, che vengono ricevuti su segnalazione solitamente dei pediatri. Bambini con difficoltà di sviluppo, che mostrano ritardi negli apprendimenti di base, difficoltà nel linguaggio, problemi motori, deficit sensoriali, disabilità sociali e comunicative. Vi è poi l’Istituto delle scuole speciali cantonali per allievi in età scolastica (dai 6 ai 18-20 anni), presente alle Elementari, alle Medie e nel post obbligatorio delle scuole speciali, che prevede nei casi più leggeri l’inserimento professionale, fino a percorsi protetti (laboratori protetti e centri diurni gestiti dalle diverse fondazioni, Diamante, La Fonte, e altre ancora che hanno un mandato dal Cantone). Infine vi sono gli operatori pedagogici per l’integrazione che accompagnano nel percorso scolastico bambini con bisogni educativi particolari. Si cerca sempre di più, tramite queste figure professionali, di favorire percorsi integrati. La legge stessa prevede di tenere i ragazzi e le ragazze con disabilità il più a lungo possibile nel percorso regolare».
Con quale esito? «Abbiamo molti allievi con autismo che un tempo avrebbero fatto un percorso di scuola speciale e che invece oggi sono inseriti nel curricolo regolare. Noi abbiamo previsto che tutti i bambini, nella scuola dell’infanzia, possano seguire un percorso regolare nella fascia 4-6 anni, più o meno sostenuto con risorse in sezione o gruppi terapeutici di supporto. Indipendentemente dal tipo di profilo di difficoltà. Il nostro principio è che si designi la scuola speciale solo nel momento in cui tutti i tentativi a supporto di un percorso nella scuola regolare ci dimostrano che quel contesto non è adatto. Questo significa che sempre di più il passaggio alla scuola speciale è posticipato in là nel tempo».
Massimo Scarpa fornisce alcune cifre significative. «Su una popolazione attuale di poco meno di 500 allievi inseriti nelle scuole speciali cantonali del canton Ticino, circa i due terzi sono di età pari o superiore ai 12 anni. Quindi vuol dire che si cerca di tenere sempre di più il bambino in un percorso regolare».
E l’integrazione passa anche attraverso le classi inclusive presenti in diverse realtà ticinesi «Sì, sono progetti che si stanno facendo strada da qualche anno. Sono stati pensati per sostenere determinati allievi con bisogni educativi speciali in un percorso incluso nella classe regolare il più a lungo possibile. Nelle scuole dell’infanzia sono presenti classi inclusive a Stabio, Ruvigliana, Breganzona, Caslano, Giubiasco, Orselina; mentre nelle Elementari abbiamo classi inclusive a Massagno, Rancate, Stabio, Locarno, Ronco Sopra Ascona, Biasca e Arbedo. Infine due classi inclusive sono presenti alle Medie di Losone. L’idea di fondo è quella di lavorare nel contesto regolare ma mettere un docente di scuola speciale che lavori in partenariato con il docente di scuola regolare. La scommessa è quella di andare verso l’inclusione sì, ma lo scopo non è solo di inserirli ma anche ridefinire una pianificazione didattica che permetta veramente di includerli in un percorso di senso. Si lavora in partnership tra docenti. Questa formula diventa interessante per tutti gli allievi. Non si lavora separatamente in classe, ma insieme, a gruppi misti. Le prime esperienze risalgono a sei sette anni fa, mentre dal 2014 questi progetti si svolgono in maniera più sistematica».
Qual è il consuntivo? «A breve è atteso un rapporto allestito dal Centro competenze innovazione e ricerca sui sistemi educativi (Cirse) della Supsi che ci darà un feedback sull’inclusione. Sono progetti che necessitano di una grande preparazione e di un accompagnamento importante. Sono esperienze nuove, rappresentano una primizia a livello svizzero. Le esperienze stanno andando complessivamente piuttosto bene e sono stimolanti, anche se particolarmente impegnative. Ci tengo a sfatare un pregiudizio: la letteratura nell’ambito della ricerca pedagogica ci conferma che l’inserimento di bambini con disabilità non rallenta l’apprendimento degli allievi a sviluppo normotipico. Lo smentisce anche la pratica: sono state svolte delle prove pedagogiche, ad esempio a Biasca, alla fine di una seconda, in cui si trovavano una classe inclusiva e due regolari. Ebbene, le prove pedagogiche degli allievi non hanno rilevato nessuna differenza tra gli allievi. Va anzi considerato il valore aggiunto per gli allievi, che imparano una moltitudine di competenze di ordine sociale, prime fra tutte la conoscenza della diversità».
E concrete esperienze inclusive avvengono anche in seno all’Associazione ticinese di genitori ed amici dei bambini bisognosi di educazione speciale (Atgabbes). Donatella Oggier-Fusi, segretaria d’organizzazione, menziona la creazione dei preasili inclusivi di Atgabbes, i primi sorti già trent’anni fa e che oggi contano quattro sedi, l’ultima delle quali aperta a Locarno nel 2017. La novità più recente è invece la realtà degli asili nido comunali e privati, per cui Atgabbes mette al servizio le proprie competenze con l’inserimento in queste strutture riservate alla fascia 0-3 anni di una propria educatrice di sostegno.
Ma qual è – chiediamo ancora a Massimo Scarpa – il suo orizzonte futuro nell’ambito della pedagogia speciale? «La mia speranza è che anche le storiche classi di scuola speciale possano ottenere sempre maggiori possibilità di progetti in comune con il contesto di sede in cui operano».