Opere d’arte viventi

La notizia è della primavera scorsa: l’artista inglese Melody Cannon effettua delle rasature decorative sul pelo dei cavalli trasformando il loro mantello in tele per le sue opere d’arte che, per questo, si possono definire davvero viventi. Cannon ha iniziato a realizzare forme molto semplici: stelle o cuori. A seguito della diffusione del suo modo particolare di decorare il pelo dei cavalli, un numero sempre maggiore di proprietari le ha portato da «decorare» il proprio cavallo. Ed ecco che, affinando la sua arte, Melody ha iniziato a realizzare abilmente forme molto complesse. Le critiche negative non sono però mancate e c’è chi ha asserito che un cavallo non dovrebbe essere «usato» in questo modo. D’altronde, è legittimo chiedersi se questo tipo di taglio faccia o meno bene agli animali. Gli esperti spiegano, a questo proposito: «Tagli di questo tipo sono benefici per i cavalli, perché rasare il pelo frequentemente aiuterebbe a mantenerlo più sano».
L’artista stessa assicura di eseguire più sedute per non stressare l’animale, e che tagliare il pelo non è sicuramente una forma di violenza verso il cavallo.


L’immagine dinamica per eccellenza

Mondoanimale - Incompiuta da Leonardo Da Vinci, la scultura del cavallo più grande del mondo è oggi realtà
/ 05.12.2016
di Maria Grazia Buletti

«Leonardo, maestro delle immagini in movimento, riconosce nel cavallo l’immagine dinamica per eccellenza e ne fa il simbolo della città che lo ospita»: a proposito della sofferta storia della scultura del cavallo più grande del mondo che il genio di Leonardo avrebbe voluto realizzare, così si esprime il professor Carlo Pedretti in uno dei suoi innumerevoli articoli riassuntivi focalizzati in quanto maggior esperto vivente di Leonardo Da Vinci. Professore emerito di Storia dell’arte italiana e titolare della cattedra di studi su Leonardo all’Università della California a Los Angeles, Pedretti traccia un interessante istoriato della relazione fra Leonardo e il suo cavallo che oggi ha terminato la sua odissea nell’atrio dell’Ippodromo di Milano che lo ospita.

Leonardo fu l’artista che studiò e amò i cavalli più di tutti: li esaminò nella loro vita di scuderia e provò a disegnarli sui suoi proverbiali taccuini, parecchi dei quali perduti dopo la sua morte. 

Leonardo Da Vinci accarezzò fino alla fine l’idea di realizzare una gigantesca scultura in bronzo che rappresentasse un cavallo di fronte al quale le sculture di Verrocchio e di Donatello «avrebbero fatto una misera figura». E tutto originò dalla richiesta che gli fece il Duca Lodovico Sforza di Milano di creare una scultura equestre in onore di suo padre. Pedretti racconta: «Da Vinci, allora trentenne, spende circa vent’anni di lavoro sul progetto, pensando a una statua enorme che avrebbe richiesto più di settanta tonnellate di bronzo».

L’artista radunò così a Palazzo Reale di Firenze tutti i suoi collaboratori più fidati. Loro fondevano il bronzo, lui studiava l’animale. La storia riporta che Leonardo dedicò gran parte dei suoi studi a Morel Fiorentino, un cavallo dalla testa perfetta, e a Ronzone che, dal canto suo, si caratterizzava per le sue cosce slanciate. Il Maestro raccolse nei suoi bozzetti (qui di fianco, un esempio) i lati migliori di ciascun esemplare, per creare un cavallo unico e perfetto. 

Parecchio fu il tempo che egli passò a progettare e molti i migliori fonditori di bronzo chiamati all’opera da Leonardo. Però, malgrado i ben tre tentativi di portare a termine l’opera, la gigantesca statua non fu mai realizzata. La prima volta che Leonardo abbandonò l’idea fu nel momento in cui si rese conto che, secondo il suo progetto, questo gigantesco cavallo avrebbe dovuto reggersi solamente sulle gambe posteriori. Quindi, probabilmente la struttura non avrebbe retto il peso e questo fu il motivo per cui il progetto si ridimensionò a un modello più fattibile, nel solco dei Marc’Aurelio. 

Del secondo tentativo di Leonardo di costruire il cavallo più grande del mondo sono giunti ai giorni nostri solo alcuni disegni (Madrid e Windsor), dei quali gli storici dicono siano «progetti da cui si può comprendere la bozza di un basamento che sia in grado di mettere in risalto i muscoli e la struttura del cavallo; in particolare la sua forza e, parallelamente, la virilità di chi lo cavalca nel casato Sforza». Ma anche stavolta l’imprevisto impedì la realizzazione dell’opera, come riferisce il professor Pedretti: «Nel 1494 la guerra con la Francia porta inevitabilmente a utilizzare il bronzo destinato alla statua per forgiare i cannoni a difesa della città».

Il «colpo di grazia» al povero prototipo del cavallo realizzato in creta da Leonardo fu inferto nel 1499, quando dopo l’invasione «gli arcieri francesi usano per le esercitazioni di tiro con l’arco il modello leonardesco che viene distrutto». Sappiamo infine che quando ritornò a Milano nel 1506, tentò una terza e ultima volta di realizzare la statua che, stavolta, sarebbe servita a celebrare la morte di Trivulzio. Ma il progetto rimase solo nella mente dell’artista. 

Non è stato davvero mai realizzato, dunque, il cavallo più grande del mondo? A chi non fosse ancora andato negli ultimi tempi all’Ippodromo di Milano, il professore riserva una sorpresa: «Ci sono voluti cinque secoli, tre committenti, numerosi scultori e sei milioni di dollari per realizzare uno dei progetti più ambiziosi di Leonardo: con un’altezza di otto metri e un peso di oltre quindici tonnellate, sono state donate due sculture identiche, una alla città di Milano (posta all’entrata dell’Ippodromo) e l’altra al Frederik Meijer Garden a Grand Rapid, nel Michigan».

L’artista che ha realizzato quella milanese è Nina Akamu che così si è espressa: «Questo monumento rappresenta il traguardo della storia e può essere considerato un simbolo di potere, energia creativa e una visione diretta e centralizzata a un obiettivo distante». A dimostrazione che il cavallo esercita sempre un sentimento di fascino e un’attrazione archetipica sull’essere umano, oggi quindi quel sogno di Leonardo è stato realizzato. Sul letto di morte, Leonardo (è il 1519) esprime il proprio rammarico per due cose, come ci racconta Pedretti: «Non essere mai riuscito a volare, e non aver mai terminato la sua statua equestre». Oggi potrebbe vedere che il suo cavallo più grande del mondo ha galoppato nella storia e fa bella vista della sua maestosità nell’atrio dell’Ippodromo milanese.