Non è semplice farsi venire l’idea che manca, che potrebbe fare la differenza. Esistono modi diversi per spremersi le meningi: c’è chi cammina, chi legge i tarocchi, chi entra in un rilassamento profondo, chi parla con tutte le persone che incontra di quello che sta cercando. 99 idee per trovare idee (Franco Angeli) suggerisce una serie di trucchi ed esercizi per diventare più creativi, allenando la mente e lo spirito. Il libro è il risultato di un lavoro di rete nato da seminari, sessioni formative, ricerche e letture. Gli autori sono Guy Aznar, psicologo e pioniere al mondo della creatività in Francia, Anne Bléas, consulente di marketing strategico e Gianni Clocchiatti, scrittore, docente e coach di innovazione, cambiamento personale e organizzativo. «Azione» ha raggiunto Clocchiatti al telefono.
Gianni Clocchiatti, come funziona la creatività?
La creatività funziona in maniera associativa, considerando il problema oppure la difficoltà da risolvere sotto punti di vista inediti, combinando piani e ambiti diversi. Ad esempio, se voglio creare un nuovo paio di scarpe e penso solo a quante e quali siano le calzature che esistono già, difficilmente mi verrà in mente qualcosa di originale. Se invece faccio un’associazione con qualcosa che non c’entra nulla, per esempio un orologio, potrò immaginare delle scarpe «a tempo», legate alla quantità di ore in cui cammino, oppure che uso in una certa ora del giorno. Le idee che mi verranno sono germogli, non soluzioni: vanno coccolate, fatte crescere e poi scelte. La creatività è metodo e tecnica, tutti quanti la possediamo, semplicemente dobbiamo sospendere il giudizio. Uno dei principali ostacoli, infatti, è il giudizio degli altri, perché il mondo è pieno di chi dice: non si può fare, è una sciocchezza, lascia perdere.
Come si può superare il giudizio degli altri?
Il giudizio è pericoloso, è il «killer» delle idee perché impedisce che germoglino. Una tecnica che propongo nei miei seminari per superare il giudizio è quella dei foglietti di carta. Lascio un blocchetto in mezzo al tavolo e quando una persona percepisce che qualcuno dei partecipanti ha espresso un giudizio, una «killerata» come la chiamo io, è autorizzata ad appallottolare un foglietto e a lanciarglielo addosso, senza spiegazioni. È un modo buffo e scherzoso per dare un feedback immediato e ha un’efficacia incredibile. Il primo giorno di formazione volano foglietti in continuazione, mentre dal secondo al terzo giorno il gioco finisce spontaneamente perché si imparano a riformulare i pensieri togliendo il giudizio.
Lei è un docente di creatività. Come è nata questa passione?
Ho un passato nel mondo del design: la creatività, così come la curiosità, sono sempre state importanti nella mia professione. Ho iniziato a indagare perché certe persone avessero più inventiva di altre, ho studiato le biografie di chi eccelle, ho lavorato con i migliori al mondo cercando di «rubare» la loro esperienza. Con prove ed esperimenti sul campo ho trovato il mio metodo. Si crede spesso che il creativo abbia un talento nascosto, un dono innato, ma è una mitologia: la creatività è democratica, semplicemente c’è chi sa di averla e si diverte e chi non lo sa e si arrabbia. È affascinante che ci sia un interstizio della società, ancora poco conosciuto, che si occupa di creatività in modo sistematico: esistono workshop, lezioni, corsi e incontri. Nei seminari internazionali persone con formazioni molto diverse si incontrano e sperimentano. Secondo me sono i momenti più fertili e divertenti. Alla fine del libro faccio un elenco di queste iniziative.
Nel vostro manuale vengono proposti vari percorsi per trovare nuove idee. Come funziona il metodo che prevede di «invitare un personaggio di un romanzo o di una serie TV»?
Si tratta di un metodo «a trasposizione». Se quando siamo di fronte a un problema immaginiamo di chiedere consiglio a un personaggio che ci piace, che provenga da un romanzo oppure da una serie tv, possiamo sperimentare nuovi modi di pensare. Immaginiamo di invitarlo al nostro tavolo e di esaminare il problema dal suo punto di vista, ipotizzando quali sarebbero le soluzioni che lui ci indicherebbe in base alla sua personalità e alle sue caratteristiche. Usiamo i suoi occhi.
Tra i suggerimenti c’è anche quello di «giocare ai tarocchi». Ce ne parla?
Questa è una tecnica «proiettiva». I tarocchi sono molto conosciuti, vengono usati come oracoli ma hanno anche dei personaggi simbolici. Utilizzando le carte, mettiamo in atto una proiezione di chi ci appare: il personaggio che incontriamo ci indica un percorso. In questo modo entriamo nel mondo dell’impossibile, dove i giudizi sono del tutto sospesi, e sperimentiamo la libertà di spaziare senza limiti. Troveremo germogli, punti di partenza, per elaborare soluzioni impreviste.
Anche i sogni ad occhi aperti sono un approccio per la ricerca di nuove idee. Come si fa?
Questa è una tecnica un po’ più complessa perché prevede un contesto adatto, un ambiente tranquillo e tecniche di rilassamento che si ritrovano in discipline come lo yoga. Serve un certo allenamento: attraverso la respirazione e stimoli uditivi, entriamo in uno stato di semi-trance, in un momento sospeso, in cui siamo vigili anche se stiamo sognando. Nella fase di abbandono controllato siamo liberi dal tempo, dalle scadenze e dal giudizio. Quasi non sentiamo la forza di gravità e le idee emergono, potenti. Dato che non possiamo scrivere perché altrimenti perdiamo la concentrazione, è importante che ci sia qualcuno che prenda nota di quello che diciamo, delle visioni che ci appaiono. Altrimenti possiamo fare da soli, con un registratore.
Un consiglio divertente che si trova nel libro è: «Parlate del vostro problema a tutti».
Tendiamo ad avere paura di essere invadenti e invasivi se parliamo dei nostri problemi. Invece può essere molto utile perché le persone che hanno voglia di ascoltarci – può succedere che qualcuno si infastidisca, certo, ma peggio per lui – tirano fuori delle idee interessanti, magari sotto forma di consigli, oppure con delle battute ironiche. È tutto materiale che può farci comodo. Inoltre, il fatto di parlare apertamente del nostro problema funziona da autoipnosi, ci porta cioè a doverlo risolvere. Quando, infatti, incontriamo di nuovo quelle persone ci chiederanno come procedono le cose, a che punto siamo. Se teniamo tutto in testa non otteniamo lo stesso risultato perché a un certo punto arriva lo scoraggiamento: è una fase naturale del processo creativo che, se non si supera, ci può bloccare.