Signor Vittoz, come considera la condizione degli svizzeri e delle loro dipendenze?
La Svizzera non è molto diversa dai suoi vicini europei. Ci sono oggi 250’000 persone dipendenti dall’alcol e 100’000 bambini che vivono con loro, 75’000 che hanno un problema con il gioco e circa 9500 decessi precoci l’anno a causa del tabagismo. Ciò che constatiamo è che a differenti livelli siamo tutti vicini a qualcuno che ha un problema di dipendenza.
La fascia di popolazione a rischio è sempre la stessa o il suo profilo è cambiato?
Anche se nella pratica qualcosa è cambiato, il profilo della popolazione a rischio è rimasto invariato. Tra i giovani scolari il consumo di alcol continua a diminuire, e questa è una buona notizia. Constatiamo d’altro canto che malgrado inizino a bere più tardi, in seguito poi talvolta recuperano. Di conseguenza i giovani fanno sempre parte della popolazione a rischio, sia sul piano fisiologico sia su quello psicologico, anche perché quanto più si è confrontati con una dipendenza in una fase iniziale della vita, tanto più i danni sono gravi. Dall’altro lato negli ultimi anni abbiamo visto emergere una nuova fascia di popolazione colpita da dipendenze: gli anziani, con un consumo particolarmente elevato di benzodiazepine. Negli Stati Uniti muoiono ogni anno 30’000 persone per overdose e una gran parte di loro ha cominciato consumando analgesici oppiacei prescritti dal medico. Ciò deve spingerci a fare un’indagine sulla situazione in Svizzera.
Si potrebbe allora dire che chi ha un’età compresa tra i 25 e i 65 anni e non è mai incorso nell’alcolismo o nel tabagismo può considerarsi parte della popolazione non a rischio?
Al contrario. In un momento o l’altro della vita ognuno può trovarsi in una situazione di vulnerabilità: un lutto, la disoccupazione, una malattia o un divorzio possono rimettere tutto in discussione. Da qui l’importanza di una vera solidarietà da parte della società, la cui qualità e prestazione non si misura unicamente sulla base della cifra d’affari realizzata dalle industrie del tabacco, dell’alcol e del gioco, bensì anche dalla sua capacità di prendersi cura delle persone in situazione di vulnerabilità.
Qual è l’urgenza in materia di prevenzione dalle dipendenze?
Quando si parla di emergenza viene subito alla mente l’immagine della situazione creatasi in Svizzera negli anni ’80, con le scene aperte della droga. Fortunatamente non c’è più questo tipo di urgenza. Oggi l’imperativo consiste nel ristabilire l’equilibrio tra libertà e solidarietà. Quando si parla di libertà nell’ambito delle dipendenze si pensa spesso alla possibilità di decidere se consumare o meno, mentre quella difesa oggi a livello politico in Svizzera è piuttosto legata alle industrie e alla promozione illimitata dei loro prodotti.
Eppure sono state apportate delle restrizioni, come il divieto della pubblicità per il tabacco alla televisione e, in alcuni cantoni, anche delle affissioni…
L’unico settore in cui la pubblicità è strettamente regolamentata è quello radiotelevisivo. Negli altri ambiti la pubblicità del tabacco la si trova ovunque, anche in quei cantoni che hanno vietato le affissioni in spazi pubblici. Anche nel canton Vaud, che ha applicato questo divieto, basta uno sguardo alla Piazza San Francesco di Losanna per trovare senza alcun problema spazi pubblicitari occupati dai marchi di sigarette. Prova che la legge non viene applicata.
Gli sforzi a favore della prevenzione sono dunque ridotti a zero?
Non ho intenzione di tracciare un quadro peggiore di quello che è. Sono stati compiuti progressi, come il divieto del fumo nei luoghi pubblici. La prova che quando vogliamo, siamo perfettamente capaci di ricorrere a misure efficaci. Mettere in primo piano la sola responsabilità individuale, invece, non funziona e lo vediamo. Non si tutelano le persone inquadrando la loro vita con le leggi e non si può nemmeno far ricadere su di loro l’intera responsabilità di una dipendenza che con accanimento viene rinforzata attraverso misure di marketing iperaggressive e con riduzioni di prezzo.
A sentirla, il mondo politico non si assume le proprie responsabilità…
Il Parlamento federale al momento è purtroppo più sensibile agli argomenti delle industrie e degli ambienti economici che vivono grazie alle dipendenze, anziché agli argomenti di salute pubblica. I politici dimenticano di ascoltare la società. I nostri studi lo dimostrano: per esempio, la popolazione è contraria alla pubblicità del tabacco e il 58% delle persone intervistate vi si oppone. Invece di ascoltarli il Parlamento spazza ogni restrizione. Siamo di fronte a un vero e proprio divario tra le aspettative della popolazione e le decisioni politiche in materia di prevenzione. Il ruolo di Dipendenze Svizzera è rammentarlo.
Dove trovare la soluzione? Per esempio aumentando il prezzo del pacchetto di sigarette?
Aggiungere qualche centesimo ogni anno non porta a grandi risultati. Bisognerebbe osare un aumento massiccio e unico. A livello di prevenzione del tabagismo si nota che la comparsa del pacchetto neutro, senza pubblicità, risulta la misura più contestata nei tribunali da parte dell’industria del tabacco. Significa dunque che è efficace. D’altro canto il divieto della vendita di tabacchi ai minori è sostenuto dall’industria stessa e ciò dà l’idea dell’efficacia di una simile misura…
Non serve dunque a nulla vietare la vendita dei tabacchi ai minori?
Si tratta di una misura tra le tante, ma è lontana dall’essere sufficiente, soprattutto se non è accompagnata da test di acquisto. Per la sua efficacia bisogna da un lato diminuire l’accessibilità geografica e finanziaria di un prodotto e dall’altro renderlo meno attrattivo.
L’arrivo nei chioschi della cannabis legale, vale a dire contenente meno dell’1% di THC, è un nuovo e duro colpo a scapito della prevenzione?
Nella sostanza questo prodotto non riguarda l’ambito delle dipendenze, dal momento che il CBD, il cannabidiolo contenuto nella cannabis venduta nei chioschi, non ha le proprietà psicotrope della canapa alla quale ricorrono i fumatori di canne. D’altro canto mi disturba che sia proposta come prodotto da fumare con il tabacco. La combustione è fonte di rischi importanti per la salute e la nicotina crea forte dipendenza. Se la si vuole proporre perché no, ma non nella forma di prodotto da fumare.
Le immagini shock sui pacchetti di sigarette funzionano?
Queste immagini hanno una funzione innegabile, dal momento che occupano lo spazio precedentemente riservato al marketing. La loro efficacia dipende però dal pubblico a cui ci si indirizza. Se un bambino di 10 anni incappa in un pacchetto di sigarette e vede concretamente cosa succede fumando, ebbene sono allora convinto che per lui questo tipo di prevenzione è utile. Ma è illusorio sperare di far smettere un adulto di 40 anni. Affinché risulti efficace, è oggi necessario che la prevenzione adatti il suo messaggio e segmenti le sue campagne in funzione del destinatario che vuole raggiungere.
Marketing a parte, anche lo stile di vita gioca un ruolo nella prevenzione…
Certo, e il ruolo dei genitori è fondamentale nella prevenzione dalle dipendenze nei giovani. Per questo è necessario che siano attrezzati per mantenere il contatto con i loro figli, senza però stargli col fiato sul collo tutto il tempo. A breve intendiamo lanciare sui social media una campagna su questo tema.
Campagne ludiche, sul genere di quella da lei diretta per la Lega polmonare svizzera, con la cabina fototessera SmokeFree, rappresentano l’avvenire della prevenzione?
Nella prevenzione è indispensabile introdurre elementi di marketing. Dobbiamo essere sempre più venditori e meno moralisti nel modo di proporre dei comportamenti sani. Ciò si è verificato in occasione della campagna antifumo SmokeFree, che ho diretto nella Svizzera romanda: è stata la prima volta che ci siamo confrontati con fumatori che chiedevano prevenzione, tutti volevano farsi fotografare.
Chi è attivo nella prevenzione è spesso accusato di sopprimere le libertà. È un po’ vero, no?
Dipendenza Svizzera trae le sue origini dai movimenti degli astinenti, è vero. Bisogna ricordare che questa rispettabile istituzione è nata nel 1902, in un’epoca in cui l’alcolismo era una piaga concreta, mentre lo Stato non faceva nulla per arginare il problema. La sua creazione è dunque andata a colmare un vuoto, ma oggi la configurazione è completamente cambiata, così come la mentalità. Dobbiamo avere delle libertà e concederci dei piaceri.
Come bere un bicchiere di vino senza sentirsi in colpa?
Esatto, anch’io bevo volentieri un bicchiere di vino, ma dobbiamo rendere coscienti le persone sui rischi, dal momento che questi variano notevolmente a seconda dei comportamenti. Ognuno deve disporre delle informazioni necessarie per poter decidere con cognizione di causa. A chi ci accusa di reprimere le libertà, noi rispondiamo che la dipendenza è per l’appunto la perdita della libertà.
*Traduzione di Francesca Sala.